Come è noto costituisce attività giornalistica – presupposta, ma non definita dalla L. 3 febbraio 1963, n. 69, sull’ordinamento della professione di giornalista – la prestazione di lavoro intellettuale diretta alla raccolta, commento ed elaborazione di notizie volte a formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso gli organi di informazione, ponendosi il giornalista quale mediatore intellettuale tra il fatto e la diffusione della conoscenza di esso, con il compito di acquisire la conoscenza dell’evento, valutarne la rilevanza in relazione ai destinatari e confezionare il messaggio con apporto soggettivo e creativo; assume inoltre rilievo, a tal fine, la continuità o periodicità del servizio, del programma o della testata nel cui ambito il lavoro è utilizzato, nonché l’inserimento continuativo del lavoratore nell’organizzazione dell’impresa.
Presupposto indefettibile per la rivendicazione dello status professionale di giornalista è l’iscrizione al relativo albo, e ciò non solo per quanto previsto dal contratto collettivo di lavoro della categoria, ma anche per il disposto normativo (L. 3 febbraio 1963, n. 69, artt. 29 e 45, rispettivamente per i praticanti e per i giornalisti professionisti).
Peraltro, le mansioni giornalistiche – in particolare di redattore – ben possono essere di fatto espletate anche da chi non possieda lo status di giornalista professionista, la cui mancanza non può incidere sulla natura del rapporto e sul diritto del dipendente a percepire le competenze corrispondenti alle mansioni svolte, atteso che il contratto in questione – ancorché nullo per violazione della indicate disposizioni della L. 3 febbraio 1963, n. 69, sull’esercizio della professione giornalistica – produce pur sempre, ai sensi dell’art. 2126 c.c. (trattandosi di nullità non derivante da illiceità della causa o dell’oggetto), gli effetti del rapporto giornalistico per il tempo della sua esecuzione, sicché all’accertato espletamento di fatto delle mansioni giornalistiche conseguono sia il diritto al trattamento economico secondo l’entità del lavoro svolto e le previsioni di sviluppo della carriera, sia il diritto al corrispondente trattamento previdenziale (ex multis: Cass. 27 maggio 2000, n. 7020; Cass. 11 febbraio 2011, n. 3385; Cass. 21 febbraio 2011, n. 4165; Cass. 17 giugno 2008, n. 16383; Cass. 13 agosto 2008, n. 21591; Cass. 1 luglio 2004, n. 12095);
In queta ipotesi la retribuzione cui il lavoratore ha diritto, per tutto il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, è la “giusta retribuzione“, che il giudice del merito deve determinare ai sensi dell’art. 36 Cost., e con riferimento alla contrattazione collettiva (vedi, per tutte: Cass. 22 novembre 2010, n. 23638; Cass. 10 marzo2004, n. 4941).
Difatti, l’attività giornalistica di ordine intellettuale che, pur se in violazione delle norme della L. 3 febbraio 1963, n. 69, sia svolta in regime di subordinazione, secondo le caratteristiche della continuità, dell’inserimento nell’organizzazione aziendale e della sottoposizione alle direttive dell’imprenditore dà diritto al trattamento economico corrispondente all’entità del lavoro svolto, con conseguente applicabilità della disciplina collettiva concernente la retribuzione e le indennità accessorie nonchè le previsioni di sviluppo della carriera, atteso che, nel caso di sopravvenuta iscrizione del lavoratore all’albo, il passaggio dal contratto nullo (per violazione delle norme predette) al contratto valido non fa venir meno la continuità e unicità dell’intero rapporto ai fini della progressione della carriera e della determinazione dell’indennità di cessazione del rapporto (tra le altre: Cass. 10 novembre 1983, n. 6673; Cass. 10 gennaio 1987, n. 109).
In particolare, in caso di esercizio di fatto di attività giornalistica da parte di soggetti non iscritti all’albo professionale, la nullità del rapporto, che deriva dalla violazione della norma imperativa di cui alla L. 3 febbraio 1963, n. 69, art. 45, e non da illiceità dell’oggetto o della causa, comporta – secondo l’espresso disposto dell’art. 2126 c.c. – che, in caso di sopravvenuta iscrizione del lavoratore all’albo professionale e di instaurazione di un contratto valido, non viene meno la continuità ed unicità del rapporto ai fini della progressione in carriera, perché sino al verificarsi di tale evento la nullità inficiante l’originario contratto non ha avuto, in conseguenza dell’esecuzione del contratto stesso, effetto alcuno (Cass. 4 febbraio 1998, n. 1157; Cass. 27 maggio 2000, n. 7020; Cass. 3 gennaio 2005, n. 28).
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La Corte d'Appello d'Ancona sulla natura subordinata dell'attività svolta dal collaboratore fisso del giornale
La Corte d’Appello di Ancona ha respinto l’impugnazione principale riconoscendo la natura subordinata dell’attività svolta per oltre cinque anni da un collaboratore fisso del Messaggero, che aveva scritto oltre 3000 articoli.
La Corte sottolinea che nel caso in questione anche a prescindere dalla contrattazione collettiva, si ravvisavano tutti gli elementi del rapporto di lavoro subordinato, perché l’appellato era inserito nella organizzazione aziendale del datore di lavoro, rendeva prestazioni secondo le esigenze del datore, e le disposizioni datoriali (locatio operarum), e non ai fini di una opera specifica (locatio operis), seguendo le contingenti decisioni datoriali, ed in una posizione non solo di subordinazione, ma sostanzialmente priva di qualsiasi tutela, in condizioni quindi di assoluta inferiorità.
Qui tutte le notizie giuridiche sul lavoro giornalistico .
Qui come impostare una causa contro una impresa editoriale
CORTE D’APPELLO DI ANCONA
SEZIONE LAVORO
Sentenza n. 549/2013
M.B. = Avv. R. Paradisi
Il Messaggero SPA= Avv. M. Scaloni
Sentenza
In controversia in materia di lavoro, n. 226 del ruolo generale dell’anno 2012, appello proposto il 6 aprile 2012 dalla parte appellante contro la parte appellata, avverso sentenza numero 782 del 13 dicembre 2011, del giudice del lavoro del tribunale di Ancona.
Motivi della decisione
Sì controverte di un rapporto intercorso tra la appellante società editoriale, e l’appellato pubblicista; la società appella la sentenza per averla condannata al pagamento di somma a saldo della retribuzione all’appellato dovuta come “collaboratore fisso”, sostenendo che nulla è a costui dovuto oltre a quanto già corrisposto.
L’appellato pubblicista resiste, e propone appello incidentale per la reintegrazione in posto di lavoro dal quale assume di essere stato illegittimamente licenziato dalla società.
Gli appelli sono infondati, e devono quindi essere respinti entrambi.
L’appello principale contesta, innanzi tutto, che sia configurabile un rapporto di lavoro subordinato. La contestazione è infondata, anzi, inconsistente. “Collaboratore fisso” è infatti un soggetto che svolge attività finalizzata alla pubblicazione di un giornale periodico, contribuendo con articoli da lui scritti, e pubblicati sul giornale, con cadenza in costanza della sua prestazione, tale da dovere essere considerata una attività fissa. Ed è questo esattamente il lavoro svolto per anni ed anni (cinque e mezzo) dall’appellato, con opera intensa, fitta, costante, concretatasi in un numero rilevantissimo di articoli (3588 pezzi, secondo l’appellato, 3137 secondo la società appellante). Non vi è il benché minimo motivo per chi si possa dubitare che l’appellato abbia lavorato come collaboratore fisso, e che gli competa quindi il trattamento economico al collaboratore fisso spettante, alla stregua del contratto collettivo del settore. Ed è pellegrina la tesi dell’appellante, secondo cui non competerebbe la qualifica di collaboratore fisso all’appellato, poiché non sarebbe stata provata la sua condizione di lavoratore subordinato. Per il semplicissimo motivo che la stessa contrattazione collettiva, che ha costituito la qualifica di collaboratore fisso, ad attribuire ad essa valore, e regolamentazione, ed effetto di un posto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. E tanto basta. Ed è assolutamente superfluo affermare che, nel caso in questione, se la contrattazione collettiva non prevedesse affatto la qualifica di collaboratore fisso, si ravviserebbero comunque tutti gli elementi del rapporto di lavoro subordinato, perché l’appellato era inserito nella organizzazione aziendale del datore di lavoro, rendeva prestazioni secondo le esigenze del datore, e le disposizioni datoriali (locatio operarum), e non ai fini di una opera specifica (locatio operis), seguendo le contingenti decisioni datoriali, ed in una posizione non solo di subordinazione, ma sostanzialmente priva di qualsiasi tutela, in condizioni quindi di assoluta inferiorità.
Per quanto attiene alla determinazione del corrispettivo dovuto, è sufficiente osservare che ambo le parti si rimettono alle previsioni della contrattazione collettiva, per un compenso sostanzialmente “a cottimo”, proporzionato al numero dei pezzi pubblicati. La appellante società ne contesta il numero, e propugna una diminuzione; la Corte ritiene invece adeguata e corretta, la liquidazione compiuta dalla sentenza del primo grado, perché accettata dall’appellato, benché inferiore al numero dei pezzi da costui dedotti, e intermedia tra le due cifre contrapposte. Inoltre l’appellato ha contestato, con riferimento “a campione”, e con indicazione numerica specifica, una sottostima da parte della società appellante, che sul punto non ha replicato alcunché, sicché può ritenersi la sostanziale correttezza della liquidazione, con criterio equitativo che non può essere superato da una possibilità di vaglio e controllo più esatto, implicando questo un’attività onerosa, sproporzionata rispetto al costo, in considerazione dell’entità delle possibili discrepanze, e ingiustificata per eccessivo dispendio, a fronte della genericità della difesa dell’appellante.
Quanto all’appello riconvenzionale, il dipendente non ha assolto l’onere, che su di lui incombe a norma dell’articolo 2697 del codice civile, di fornire la prova del dedotto licenziamento. Non contesta, d’altronde, di avere ridotto la sua prestazione lavorativa nell’ultimo periodo della rapporto, finendo poi per ometterla del tutto. È ben vero che, con una lettera inviata al datore, ha lamentato di essere stato estromesso dal posto di lavoro, ed ha affermato la sua disponibilità a riprendere l’attività lavorativa. Ma si è espresso come un lavoratore che ha abbandonato il suo posto per difendere la sua dignità contro le vessazioni del datore, ribellandosi alla condizione di precarietà che induceva una remissività alla quale era costretto dall’impossibilità di reagire per il suo stato di inferiorità e l’assenza di tutela.
A questo suo peggioramento, ben comprensibile sicuramente giustificato, corrispondeva evidentemente una volontà del datore di disfarsi del dipendente, oramai scomodo perché non più disposto subire supinamente, ma ciò non può però essere interpretato come prova di un licenziamento, cioè di un negozio giuridico specifico preciso, per il quale manca una manifestazione di volontà comunicata la controparte. Diversamente dovrebbe ritenersi qualora il dipendente avesse reagito, mettendo in mora il datore di lavoro, ed intimandogli di proseguire il rapporto; in tale ipotesi, infatti, il contrasto tra volontà, e esplicitamente o implicitamente espresse, costituirebbe prova irrefutabile della volontà prevalente e sopraffattrice del datore di lavoro, interpretabile come manifestazione non di una mera intenzione, ma appunto di una volontà giuridicamente rilevante, e idonea a costituire, essendo come tale espressa, un negozio giuridico.
Ma ciò non è, nel caso in giudizio, desumibile né dalla condotta delle parti, né dalla espressione, da parte del dipendente, del rincrescimento per la sua estromissione, essendo compatibile, sia il comportamento, sia le manifestazioni dei contraenti, con un sostanziale mutuo consenso, consenso corrispondente alla intenzione del datore di lavoro, da un canto, e consenso, dal lato del lavoratore, semplicemente indotto da una esigenza di salvaguardare la sua dignità, seppure in contrasto con il suo desiderio di continuare il rapporto. Ciò costituisce peraltro un giusto motivo per addebitare le spese legali del grado, integralmente, alla società appellante, ai sensi dell’articolo 91 del codice di procedura civile, dovendosi considerare prevalente la soccombenza del datore di lavoro, per il suo comportamento scorretto e prevaricatore.
Per questi motivi
respinge l’appello principale e l’appello incidentale, e condanna all’appellante principale a rimborsare alla controparte le spese legali del grado, che liquida in euro 7000.
Il presidente
Dott. Stefano Jacovacci
Come impostare una causa contro una testata giornalistica per far accertare la natura subordinata del rapporto
Pochi sanno che moltissimi contratti di collaborazione autonoma tra giornalisti e testate sono simulati, ovviamente obtorto collo. Le testate, infatti, al fine di ridurre i costi e le garanzie stipulano contratti di collaborazione autonoma, nonostante il rapporto abbia vera e propria natura subordinata.
Quando poi escono le sentenze che accertano la natura subordinata sono dolori (per le testate, ovviamente), in quanto le condanne in caso di rapporti decennali superano spesso il mezzo milione di euro (v. recente sentenza Trib. Pesaro).
Fondamentale per riuscire nell’impresa è la dimostrazione dell’attività svolta. Occorre infatti produrre in giudizio se non tutti almeno la maggiorparte degli articoli (nel caso deciso dal Tribunale di Pesaro erano oltre diecimila).
Importante è lo scambio di email tra Redazione e collaboratore, specie quelle in cui si imparticono direttive.
Altrettanto importante è produrre la schermata con cui gli articoli ed eventualmente le foto vengono “caricate” nel sistema del giornale.
Naturalmente dovrà essere prodotta la documentazione relativa all’attività di pubblicista, praticante, giornalista.
Si dovranno produrre poi le buste paga e le dichiarazioni dei redditi specie se il rapporto è stato esclusivo.
Da utlimo non può mancare un conteggio delle retribuzioni dovute ben fatto.
Gli indici della subordinazione nel rapporto di lavoro giornalistico
Come è noto in tema di attività giornalistica sono configurabili gli estremi della subordinazione qualora ricorrano i requisiti:
- della quotidianità o continuità della prestazione (ossia, i servizi vengano dal lavoratore predisposti con continuità e con regolarità);
- della responsabilità di un servizio e
- del vincolo di dipendenza (seppur attenuato data la natura squisitamente intellettuale delle prestazioni caratterizzate da creatività e autonomia), e cioè qualora si sia in presenza dello svolgimento di un’attività non occasionale, rivolta ad assicurare le esigenze informative riguardanti uno specifico settore, della sistematica redazione di articoli su specifici argomenti e di rubriche, e della persistenza, nell’intervallo tra una prestazione e l’altra, dell’impegno di porre la propria opera a disposizione del datore di lavoro, in modo da essere sempre disponibile per soddisfarne le esigenze e ad eseguirne le direttive (Cass. 60/32006 n.4770).
E’ altrettanto noto che molti contratti di lavoro autonomo simulano in realtà un contratto di lavoro subordinato. Il più delle volte il collaboratore autonomo andrebbe inquadrato nel collaboratore fisso; più di rado si verifica un inquadramento nel redattore (che a differenza del collaboratore fisso deve prestare la propria attività quotidianamente e non solo continuatamente).
Quali sono gli indici da utilizzare per la dimostrazione del vincolo di subordinazione?
- il ruolo stabile ed essenziale nella produzione della pagina del quotidiano mediante la raccolta quotidiana delle notizie locali dei vari settori (giudiziario, istituzionale, di cronaca nera, cronaca nera);
- il ruolo di accreditamento presso le sedi istituzionali e le competenti autorità di polizia) (cfr. Cass.20/02/95 n.1827),
- ’inserimento stabile del ricorrente nell’organizzazione aziendale confermata dalla intensità della collaborazione;
- dai continui collegamenti con la redazione per le varie esigenze del giornale (con l’utilizzo di mezzi di telecomunicazioni multimediali quali: e-mail, fax ecc.);
- dal ruolo svolto (ad esempio in caso di responsabile della pagina di una città del quotidiano locale), dalla permanente disponibilità collaboratore ad eseguire le istruzioni e direttive ricevute dal Caposervizio o suoi delegati ;
- dalla necessità di concordare i periodi di vacanza;
- dall’impossibilità di rifiutare un incarico.
Come ha precisato la S.C. l’elemento caratterizzante la subordinazione nel lavoro giornalistico va individuato sostanzialmente dallo stabile inserimento della prestazione resa dal giornalista nella organizzazione aziendale, nel senso che attraverso tale prestazione il datore di lavoro assicura in via stabile o quantomeno per un apprezzabile periodo di tempo la soddisfazione di una esigenza informativa del giornale attraverso la sistematica compilazione di articoli su specifici argomenti o di rubriche e quindi esige, come tale, il permanere della disponibilità del lavoratore, pur nell’intervallo fra una prestazione e l’altra; né rilevano ai fini di cui trattasi il luogo della prestazione lavorativa, che ben può essere eseguita anche a domicilio, il mancato impegno in una attività quotidiana, la non osservanza di uno specifico orario di lavoro e la commisurazione della retribuzione a singole prestazioni” (così Cassazione civile, sez. lav., 09/09/2008, n. 22882).
Giornalisti e contratto: giurisprudenza
ANNO 2015
Cassazione civile, sez. lav., 19/11/2015, n. 23695
La mancanza dell’iscrizione all’albo dei giornalisti non incide sulla natura del rapporto di lavoro e sul diritto del dipendente a percepire le competenze corrispondenti alle mansioni svolte; pertanto, all’accertato espletamento di fatto delle mansioni giornalistiche, conseguono sia il diritto al trattamento economico secondo l’entità del lavoro svolto e le previsioni di sviluppo della carriera, sia il diritto al corrispondente trattamento previdenziale.
Tribunale Roma, sez. lav., 29/09/2015, n. 8064
In materia di lavoro giornalistico, la retribuzione spettante al collaboratore fisso (ex art. 2, comma 4, c.c.n.l.g.) non è una retribuzione fissa ed immutabile, bensì è una retribuzione di natura variabile in funzione della natura ed importanza delle materie trattate, dell’impegno di frequenza della collaborazione e del numero mensile delle collaborazioni.
Corte appello Roma, sez. lav., 21/07/2015, n. 6128
In tema di lavoro giornalistico, allorquando si ponga un problema di obbligo di “repechage” il giudizio di equivalenza non può essere espresso facendo riferimento alla sola capacità del soggetto di svolgere l’attività del giornalista, che è comune a tutte le qualifiche, dovendo, al contrario, tenere conto delle peculiarità che caratterizzano il redattore ordinario rispetto al collaboratore fisso: quest’ultimo, ove la sua posizione lavorativa venga soppressa, non ha titolo per pretendere di essere assegnato a svolgere le mansioni di redattore ordinario, poiché ciò comporterebbe una modifica sostanziale del rapporto di lavoro lì dove, al contrario, il diritto del lavoratore ad essere utilizzato in altra posizione lavorativa disponibile presuppone l’identità o quantomeno l’equivalenza delle qualifiche.
Cassazione civile, sez. lav., 06/05/2015, n. 9119
Ai sensi dell’art. 9 CNLG, l’articolista non è una figura professionale autonoma, posto che l’espressione riportata dalla disposizione esprime una generica definizione delle mansioni svolte dal giornalista (sia esso redattore che un’altra delle figure contrattualmente previste) ai fini del riconoscimento di determinate tutele, in particolare ai fini del diritto d’autore. Di conseguenza, il giornalista non può rifiutare il trasferimento dall’attività di cronista a quella di desk, trasferimento che non integra un demansionamento né un vulnus alla professionalità del lavoratore.
Cassazione civile, sez. lav., 06/05/2015, n. 9119
In tema di assegnazione del lavoratore a mansioni diverse, l’equivalenza alle “ultime effettivamente svolte”, di cui all’art. 2103 cod. civ., costituisce un parametro per valutare quali siano stati i compiti precedentemente adempiuti con sufficiente stabilità dal lavoratore, così da consentire un confronto con gli spostamenti disposti dal datore di lavoro, ma non costituisce titolo per una sostanziale inamovibilità di settore qualora le mansioni di nuova assegnazione siano coerenti con il bagaglio professionale già acquisito dal lavoratore. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto legittimo lo spostamento di un giornalista redattore dal settore politica e cronaca italiana a quello della cronaca locale, non risultando che la diversa attività fosse incoerente con il patrimonio professionale del ricorrente e tale da integrare una dequalificazione suscettibile di risarcimento).
T.A.R. Roma, (Lazio), sez. I, 07/04/2015, n. 5054
Va annullata la delibera del 19 giugno 2014 della commissione per la valutazione dell’equo compenso nel lavoro giornalistico (istituita ai sensi dell’art. 2, comma 1, l. n. 233 del 2012) in quanto i parametri dell’equo compenso ivi individuati non attuano il principio costituzionale (art. 36, comma 1, cost.) di proporzionalità alla quantità e qualità del lavoro svolto, espressamente richiamato dall’art. 1, commi 1 e 2, l. n. 233 del 2012.
Cassazione civile, sez. lav., 20/02/2015, n. 3474
L’assegnazione di un giornalista, che si era occupato di cronaca nera, giudiziaria e politica, a compiti di scarsa rilevanza, estranei alla cronaca politica, integra una lesione della personalità, con conseguente risarcimento del danno all’immagine – ove specificamente provato -, poiché si crea una cesura dello sviluppo delle competenze professionali acquisite sino a quel momento della carriera.
Cassazione civile, sez. lav., 20/02/2015, n. 3474
In tema di demansionamento, in professioni intellettuali, come quella del giornalista, anche a parità di qualifica e di retribuzione, può verificarsi una violazione del disposto dell’art. 2103 c.c. con conseguente vulnus della ‘professionalità’ nel caso in cui viene concretizzato un vulnus della personalità del lavoratore a seguito di una cesura dello sviluppo delle professionalità acquisite sino a quel momento della propria carriera lavorativa con conseguente possibile, se provato, risarcimento della sua immagine (confermato il demansionamento di un giornalista che dopo essersi per anni interessato come giornalista di cronaca nera e giudiziaria e poi di cronaca politica, era stato poi assegnato a compiti di scarsa rilevanza e del tutto estranei alla cronaca politica).
Tribunale Milano, sez. lav., 17/10/2014, n. 38792
In tema di attività giornalistica, il cd vincolo di dipendenza è ravvisabile in indici sintomatici quali la quotidiana presenza in redazione, il rispetto di un orario di lavoro comune, l’attuazione delle direttive del caporedattore e del caposervizio, l’assoggettamento a poteri disciplinari e di controllo, la fruizione di una postazione fissa di lavoro e di altri benefici tipici del rapporto di lavoro subordinato. Per converso, sono stati considerati indici negativi di subordinazione la pattuizione di prestazioni singolarmente convenute e retribuite, ancorché continuativa, secondo la struttura del conferimento di una serie di incarichi professionali ovvero in base alla successione di incarichi di natura fiduciaria.
Cassazione civile, sez. II, 31/03/2014, n. 7510
Per le prestazioni giornalistiche non esistono tariffe professionali, agli effetti dell’art. 2233 cod. civ., ma solo una tabella dei “compensi minimi”, varata di anno in anno, ai sensi della legge 3 febbraio 1963, n. 69, la quale, in assenza di specifiche disposizioni legislative che attribuiscano all’ordine dei giornalisti il potere di fissare compensi minimi inderogabili, ha carattere indicativo e non vincolante.
Cassazione civile, sez. lav., 09/01/2014, n. 290
In materia di lavoro giornalistico, il collaboratore fisso di una agenzia di informazioni quotidiane (nella specie, l’Ansa), da identificarsi nel giornalista che, pur non assicurando una attività giornaliera, fornisca con continuità ai lettori un flusso di notizie attraverso la redazione sistematica di articoli o la tenuta di rubriche, ha diritto, ai sensi dell’art. 2, comma 4, del c.c.n.l. lavoro giornalistico (applicabile “ratione temporis”), ad una retribuzione collegata al numero di collaborazioni fornite, ossia al numero di articoli redatti o rubriche tenute, nonché all’impegno di frequenza e alla natura e all’importanza delle materie trattate, ferma restando la soglia minima di quattro od otto collaborazioni al mese. Ne consegue che, ove il numero delle collaborazioni sia particolarmente elevato e superiore a quello pattuito, il giudice, ai fini della equa determinazione della retribuzione, nel provvedere ad un adeguamento della retribuzione, non può limitarsi ad un aumento proporzionale della stessa in rapporto al maggior numero di articoli o rubriche rispetto a quelli concordati, dovendo anche tenere conto di tutti gli altri parametri previsti dalla disposizione collettiva.
ANNO 2013
Tribunale Roma, sez. lav., 02/05/2013, n. 5991
Nel lavoro giornalistico, i connotati sostanziali della subordinazione del rapporto sono costituiti dal carattere di continuità e nel vincolo di dipendenza, che per la natura intellettuale dell’attività conserva pur nell’ambito delle direttive del datore di lavoro una certa autonomia e discrezionalità, mentre il contratto di lavoro autonomo si caratterizza in quanto le prestazioni sono singolarmente convenute in base ad una successione di incarichi fiduciari e la remunerazione è subordinata alla valutazione da parte del direttore del giornale e commisurata in relazione alla singola prestazione. (Nella specie, il Trib. ha accolto l’opposizione avverso decreto ingiuntivo di pagamento di somme a titolo di contributi assicurativi omessi, ritenendo che quanto accertato in sede ispettiva non aveva trovato conferma nel giudizio, giacché i giornalisti avevano effettivamente prestato la loro attività nella forma della collaborazione autonoma, non essendo emersa la prova in merito alla sussistenza di un impegno costante ed esclusivo dei lavoratori, e pertanto ha affermato la non sussistenza dei presupposti per l’obbligo contributivo nei confronti dell’INPGI).
Cassazione civile, sez. lav., 07/02/2013, n. 2932
Al lavoratore non iscritto all’albo dei giornalisti professionisti che abbia svolto mansioni di redattore ordinario, non spetta l’integrale trattamento economico previsto dal c.c.n.l., valutabile solo quale parametro e non come retribuzione tabellare spettante, posto che il rapporto di lavoro deve intendersi nullo, con diritto del lavoratore, ai sensi dell’art. 2126 c.c., unicamente a una equa retribuzione, in virtù dell’art. 36 cost., senza possibilità di applicazione integrale del trattamento economico previsto dal c.c.n.l.
ANNO 2012
Cassazione civile, sez. lav., 01/02/2012, n. 1425
Per l’esercizio dell’attività giornalistica di redattore ordinario è necessaria l’iscrizione nell’albo dei giornalisti professionisti; ne consegue che il contratto giornalistico concluso con il redattore – intendendosi per tale il giornalista professionista stabilmente inserito nell’ambito di una organizzazione editoriale o radiotelevisiva, la cui attività è caratterizzata dall’autonomia della prestazione, non limitata alla mera trasmissione di notizie, ma estesa alla elaborazione, analisi e valutazione delle stesse – che non sia iscritto nell’albo dei giornalisti professionisti, è nullo non già per illiceità della causa o dell’oggetto, ma per violazione di norme imperative, con la conseguenza che, a norma dell’art. 2126 c.c., detta nullità non produce effetti per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, periodo in relazione al quale il redattore ha diritto, ex art. 36 Cost., alla giusta retribuzione, la cui determinazione spetta al giudice del merito.
ANNO 2011
Cassazione civile, sez. lav., 29/08/2011, n. 17723Costituisce attività giornalistica — presupposta, ma non definita dalla l. 3 febbraio 1963 n. 69, sull’ordinamento della professione di giornalista — la prestazione di lavoro intellettuale diretta alla raccolta, commento ed elaborazione di notizie volte a formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso gli organi di informazione, ponendosi il giornalista quale mediatore intellettuale tra il fatto e la diffusione della conoscenza di esso, con il compito di acquisire la conoscenza dell’evento, valutarne la rilevanza in relazione ai destinatari e confezionare il messaggio con apporto soggettivo e creativo; assume inoltre rilievo, a tal fine, la continuità o periodicità del servizio, del programma o della testata nel cui ambito il lavoro è utilizzato, nonché l’inserimento continuativo del lavoratore nell’organizzazione dell’impresa. (In applicazione dell’anzidetto principio, si è ritenuto che l’attività svolta per conto di un’emittente radiofonica locale, e consistente nella raccolta delle notizie pubblicate dai notiziari Ansa o del Televideo, nella scelta di quelle ritenute più importanti, nella possibilità di apportarvi alcune modifiche e nella lettura del testo così predisposto data nel corso di una trasmissione radiofonica, avesse determinato la sussistenza di un rapporto di lavoro di natura giornalistica corrispondente alla qualifica di redattore).
Obbligo di repechage: collaboratore fisso e redattore non sono figure equivalenti
Il collaboratore fisso presta la propria attività con continuità, a differenza del giornalista, cui viene richiesto un impegno quotidiano.
Trattandosi di attività diverse, ai fini del repechage, il collaboratore fisso non può pretendere di svolgere mansioni da redattore ordinario.
Corte Appello di Roma, 6128/2015
La pretesa del ricorrente di andare a ricoprire una delle posizioni lavorative lasciate libere, presso le redazioni pugliesi, a seguito degli esodi anticipati è priva di fondamento.
E’ noto che “In tema di lavoro giornalistico, ai fini della integrazione della qualifica di redattore e della sua distinzione dalle altre figure di giornalisti, è imprescindibile il requisito della quotidianità della prestazione in contrapposizione alla semplice sua continuità, caratterizzante la figura del collaboratore fisso, mentre non è di per sé sufficiente lo svolgimento di compiti propri di ogni attività giornalistica (quali il controllo della notizia e la sua elaborazione, la stesura di pezzi o di articoli) e l’esecuzione di inchieste (modalità di acquisizione e verifica delle notizie su un tema, di cui possono servirsi anche i redattori in sede, i corrispondenti e i collaboratori fissi).” (Cass. n. 3037/2011).
E’ evidente, quindi, che allorquando in tema di lavoro giornalistico si ponga un problema di obbligo di repechage il giudizio di equivalenza non può essere espresso facendo riferimento alla sola capacità del soggetto di svolgere l’attività del giornalista, che è comune a tutte le qualifiche, dovendo, al contrario, tenere conto delle peculiarità che caratterizzano il redattore ordinario rispetto al collaboratore fisso.
Quest’ultimo, ove la sua posizione lavorativa venga soppressa, non ha titolo per pretendere di essere assegnato a svolgere le mansioni di redattore ordinario, poiché ciò comporterebbe una modifica sostanziale del rapporto di lavoro lì dove, al contrario, il diritto del lavoratore ad essere utilizzato in altra posizione lavorativa disponibile presuppone l’identità o quantomeno l’equivalenza delle qualifiche.
Retribuzione del collaboratore fisso: tribunale di Roma
Tribunale Roma, sez. lav., 29/09/2015, n. 8064
In materia di lavoro giornalistico, la retribuzione spettante al collaboratore fisso (ex art. 2, comma 4, c.c.n.l.g.) non è una retribuzione fissa ed immutabile, bensì è una retribuzione di natura variabile in funzione della natura ed importanza delle materie trattate, dell’impegno di frequenza della collaborazione e del numero mensile delle collaborazioni.
Mancata iscrizione all'albo e diritto alla retribuzione del giornalista; massima
Cassazione civile, sez. lav., 19/11/2015, n. 23695
La mancanza dell’iscrizione all’albo dei giornalisti non incide sulla natura del rapporto di lavoro e sul diritto del dipendente a percepire le competenze corrispondenti alle mansioni svolte; pertanto, all’accertato espletamento di fatto delle mansioni giornalistiche, conseguono sia il diritto al trattamento economico secondo l’entità del lavoro svolto e le previsioni di sviluppo della carriera, sia il diritto al corrispondente trattamento previdenziale.
Per una testata giornalistica (Il Messaggero) una nuova condanna definitiva nei confronti di un redattore ordinario
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso proposto dalla nota testata giornalistica avverso la sentenza resa dalla Corte d’Appello di L’Aquila.
Iln primo grado, il Tribunale di L’Aquila aveva accertato la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso dal 19/9/97 al 5/11/02 fra Il Messaggero s.p.a. e B.C.G. quale redattore ordinario, e aveva condannato l’azienda al pagamento della somma di Euro 181.232,13 per differenze retributive oltre accessori di legge.
Aveva altresì dichiarato l’inefficacia e comunque l’illegittimità del licenziamento intimato alla lavoratrice, condannando la società alla reintegra di quest’ultima nel posto di lavoro e al risarcimento del danno L. n. 300 del 1970, ex art. 18.
Detta pronuncia veniva parzialmente riformata dalla Corte di appello degli Abruzzi – L’Aquila – che giudicava fondata la ragione di impugnazione formulata in via principale da “Il Messaggero” SpA con riferimento all’accertamento della risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo – consenso. La Corte distrettuale respingeva, quindi, le ulteriori censure articolate dalla società, intese a denegare il riconoscimento della ascrivibilità delle mansioni svolte dalla B. all’ambito della locatio operarum, e, specificamente, della qualifica di redattore. Nel pervenire a tali conclusioni osservava che le effettive modalità di svolgimento ed i contenuti della attività lavorativa espletata dalla B., come delineata alla luce dei dati desumibili dal compendio istruttorie acquisito, deponevano nel senso della sussistenza di un vincolo di dipendenza fra le parti, correlato alla continuità della prestazione, alla quotidianità della presenza in redazione, alla responsabilità del servizio, alla sottoposizione della attività giornalistica al controllo da parte del capo servizio. Respingeva altresì la doglianza formulata con riferimento alla omessa applicazione del regime prescrizionale di cui all’art. 2948 c.c. al credito per differenze retributive, rimarcando che il rapporto inter partes, improntato ad una formale autonomia, doveva ritenersi privo di stabilità, non decorrendo i termini prescrizionali nel corso dello stesso.
La Corte territoriale rigettava, infine, l’appello incidentale proposto dalla B. avverso la sentenza non definitiva, avente ad oggetto il pagamento di ulteriori indennità previste dagli accordi integrativi aziendali, stante la novità delle questioni sottoposte al suo scrutinio.
Il ricorso per Cassazione proposto è stato rigettato dalla S.C. per questi motivi.
- Il rapporto di lavoro giornalistico si caratterizza per il peculiare carattere intellettuale e creativo della prestazione;
- la natura subordinata del rapporto può essere riconosciuta a quell’attività che per ampiezza di prestazioni ed intensità della collaborazione, comporti l’inserimento stabile del lavoratore nell’assetto organizzativo aziendale, costituendo aspetti qualificanti la continuità della prestazione e la responsabilità del servizio;
- detti caratteri ricorrono quando il giornalista abbia l’incarico di trattare in via continuativa un argomento o settore dell’informazione e metta costantemente a disposizione la sua opera in favore dell’imprenditore, nell’ambito delle istruzioni ricevute, non rilevando, in contrario, il notevole grado di autonomia con cui la prestazione viene svolta;
- la Corte territoriale ha ritenuto smentita la tesi di parte appellante relativa alla natura autonoma della collaborazione prestata dalla lavoratrice, essendo emerso con chiarezza dai dati istruttori acquisiti, un vincolo di dipendenza correlato alla continuità della prestazione ed alla piena responsabilità del servizio di cronaca cittadina a lei affidato;
- il giudice di merito ha ritenuto, infatti, dimostrata, la quotidianità e sistematicità dell’impegno profuso dalla B., mediante:
- la giornaliera frequentazione e presenza presso la redazione di Teramo;
- l’abituale utilizzazione di strutture e mezzi aziendali;
- la retribuzione erogata con cadenza mensile la cui variabilità era definita non tanto in relazione al rapporto qualitativo – quantitativo della prestazione resa, quanto alle variazione di budget di cui disponeva la redazione di Teramo;
- la responsabilità di un servizio (cronaca cittadina) con sistematica redazione di articoli sull’argomento definito e con vincolo di dipendenza, in linea con i contenuti precettivi dell’art. 2094 c.c. consistente nell’impegno a porre continuativamente la sua opera professionale a disposizione della società editrice anche negli intervalli fra una prestazione e l’altra, ivi comprese le riunioni mattutine con il capo servizio e le corrispondenze esterne, assicurando il servizio anche nel periodo feriale estivo mediante inserimento in un piano di turnazioni del personale sempre con il rispetto di un orario di lavoro quotidiano.
- Deve quindi affermarsi che la sentenza impugnata si colloca nel solco della giurisprudenza di questa Corte che ha avuto modo di rimarcare (vedi ex aliis, Cass. 2 aprile 2009 n. 8068) come in tema di attività giornalistica, siano configurabili gli estremi della subordinazione – tenuto conto del carattere creativo del lavoro – ove vi sia lo stabile inserimento della prestazione resa dal giornalista nell’organizzazione aziendale (vedi ex plurimis, Cass. 7 ottobre 2013 n.22785) così da poter assicurare, quantomeno per un apprezzabile periodo di tempo, la soddisfazione di un’esigenza informativa del giornale attraverso la sistematica compilazione di articoli su specifici argomenti o di rubriche, con permanenza, nell’intervallo tra una prestazione e l’altra, della disponibilità del lavoratore alle esigenze del datore di lavoro.
- Nel lavoro giornalistico subordinato è stato pure posto in rilievo il carattere collettivo dell’opera redazionale, stante la peculiarità dell’orario di lavoro e dei vincoli posti dalla legge per la pubblicazione del giornale e la diffusione delle notizie (Cass. 9 giugno 1998 n. 5693), con la puntualizzazione che la figura professionale del redattore, implica pur essa il particolare inserimento della prestazione lavorativa nell’organizzazione necessaria per la compilazione del giornale, vale a dire in quella apposita e necessaria struttura costituita dalla redazione, caratterizzata dalla funzione di programmazione e formazione del prodotto finale e delle attività organizzate a tal fine, quali la scelta e la revisione degli ‘articoli, la collaborazione all’impaginazione, la stesura dei testi redazionali ed altre attività connesse (vedi in motivazione, Cass. 21 ottobre 2000 n. 13945, cui adde Cass. 6 maggio 2015 n. 9119), che si realizza nella quotidianità dell’impegno lavorativo, a differenza di quella che connota l’attività del collaboratore fisso di cui all’art. 2 c.c.n.l.g. che richiede solo la continuità della prestazione (cfr. cass. 8 febbraio 2011 n. 3037).
- Alla stregua delle esposte considerazioni deve affermarsi che, anche sotto tale profilo la pronuncia impugnata si presenta del tutto corretta sul versante giuridico, essendosi attenuta ai principi di diritto sopra richiamati laddove ha ravvisato nella quotidianità delle prestazioni consistenti nella ricerca, valutazione ed elaborazione degli avvenimenti di cronaca, il precipuo elemento distintivo della qualifica di redattore, risultando, sotto il profilo motivazionale – per quello che riguarda i complessivi accertamenti – formalmente coerente con equilibrio dei vari elementi che ne costituiscono la struttura argomentativa, sottraendosi in tal guisa, a qualsiasi sindacato di legittimità.
La Cassazione torna a pronunciarsi in tema di "giornalista di fatto" (Cass. 23695/2015)
Presupposto indefettibile per la rivendicazione dello status professionale di giornalista è l’iscrizione al relativo albo, e ciò non solo per quanto previsto dal contratto collettivo di lavoro della categoria, ma anche per il disposto normativo (L. 3 febbraio 1963, n. 69, artt. 29 e 45, rispettivamente per i praticanti e per i giornalisti professionisti).
Tuttavia le mansioni giornalistiche – in particolare di redattore – ben possono essere di fatto espletate anche da chi non possieda lo status di giornalista professionista, la cui mancanza non può incidere sulla natura del rapporto e sul diritto del dipendente a percepire le competenze corrispondenti alle mansioni svolte, atteso che il contratto in questione – ancorchè nullo per violazione della indicate disposizioni della L. 3 febbraio 1963, n. 69, sull’esercizio della professione giornalistica – produce pur sempre, ai sensi dell’art. 2126 c.c. (trattandosi di nullità non derivante da illiceità della causa o dell’oggetto), gli effetti del rapporto giornalistico per il tempo della sua esecuzione.
All’accertato espletamento di fatto delle mansioni giornalistiche conseguono sia il diritto al trattamento economico secondo l’entità del lavoro svolto e le previsioni di sviluppo della carriera, sia il diritto al corrispondente trattamento previdenziale (ex multis: Cass. 27 maggio 2000, n. 7020; Cass. 11 febbraio 2011, n. 3385; Cass. 21 febbraio 2011, n. 4165; Cass. 17 giugno 2008, n. 16383; Cass. 13 agosto 2008, n. 21591; Cass. 1 luglio 2004, n. 12095); b) nella predetta ipotesi la retribuzione cui il lavoratore ha diritto, per tutto il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, è la “giusta retribuzione”, che il giudice del merito deve determinare ai sensi dell’art. 36 Cost., e con riferimento alla contrattazione collettiva (vedi, per tutte: Cass. 22 novembre 2010, n. 23638; Cass. 10 marzo2004, n. 4941).
Difatti, l’attività giornalistica di ordine intellettuale che, pur se in violazione delle norme della L. 3 febbraio 1963, n. 69, sia svolta in regime di subordinazione, secondo le caratteristiche della continuità, dell’inserimento nell’organizzazione aziendale e della sottoposizione alle direttive dell’imprenditore, non da luogo ad un rapporto nullo per illiceità dell’oggetto o della causa del relativo contratto, sicchè, ai sensi dell’art. 2126 c.c., comma 1, la prestazione di detta attività non può ritenersi improduttiva di effetti, ma da diritto al trattamento economico corrispondente all’entità del lavoro svolto, con conseguente applicabilità della disciplina collettiva concernente la retribuzione e le indennità accessorie nonchè le previsioni di sviluppo della carriera, atteso che, nel caso di sopravvenuta iscrizione del lavoratore all’albo, il passaggio dal contratto nullo (per violazione delle norme predette) al contratto valido non fa venir meno la continuità e unicità dell’intero rapporto ai fini della progressione della carriera e della determinazione dell’indennità di cessazione del rapporto (tra le altre: Cass. 10 novembre 1983, n. 6673; Cass. 10 gennaio 1987, n. 109);
In particolare, in caso di esercizio di fatto di attività giornalistica da parte di soggetti non iscritti all’albo professionale, la nullità del rapporto, che deriva dalla violazione della norma imperativa di cui alla L. 3 febbraio 1963, n. 69, art. 45, e non da illiceità dell’oggetto o della causa, comporta – secondo l’espresso disposto dell’art. 2126 c.c. – che, in caso di sopravvenuta iscrizione del lavoratore all’albo professionale e di instaurazione di un contratto valido, non viene meno la continuità ed unicità del rapporto ai fini della progressione in carriera, perchè sino al verificarsi di tale evento la nullità inficiante l’originario contratto non ha avuto, in conseguenza dell’esecuzione del contratto stesso, effetto alcuno (Cass. 4 febbraio 1998, n. 1157; Cass. 27 maggio 2000, n. 7020; Cass. 3 gennaio 2005, n. 28)”.