Giornalisti e contratto: giurisprudenza

ANNO 2015
Cassazione civile, sez. lav., 19/11/2015, n. 23695
La mancanza dell’iscrizione all’albo dei giornalisti non incide sulla natura del rapporto di lavoro e sul diritto del dipendente a percepire le competenze corrispondenti alle mansioni svolte; pertanto, all’accertato espletamento di fatto delle mansioni giornalistiche, conseguono sia il diritto al trattamento economico secondo l’entità del lavoro svolto e le previsioni di sviluppo della carriera, sia il diritto al corrispondente trattamento previdenziale.
Tribunale Roma, sez. lav., 29/09/2015, n. 8064
In materia di lavoro giornalistico, la retribuzione spettante al collaboratore fisso (ex art. 2, comma 4, c.c.n.l.g.) non è una retribuzione fissa ed immutabile, bensì è una retribuzione di natura variabile in funzione della natura ed importanza delle materie trattate, dell’impegno di frequenza della collaborazione e del numero mensile delle collaborazioni.
Corte appello Roma, sez. lav., 21/07/2015, n. 6128
In tema di lavoro giornalistico, allorquando si ponga un problema di obbligo di “repechage” il giudizio di equivalenza non può essere espresso facendo riferimento alla sola capacità del soggetto di svolgere l’attività del giornalista, che è comune a tutte le qualifiche, dovendo, al contrario, tenere conto delle peculiarità che caratterizzano il redattore ordinario rispetto al collaboratore fisso: quest’ultimo, ove la sua posizione lavorativa venga soppressa, non ha titolo per pretendere di essere assegnato a svolgere le mansioni di redattore ordinario, poiché ciò comporterebbe una modifica sostanziale del rapporto di lavoro lì dove, al contrario, il diritto del lavoratore ad essere utilizzato in altra posizione lavorativa disponibile presuppone l’identità o quantomeno l’equivalenza delle qualifiche.
Cassazione civile, sez. lav., 06/05/2015, n. 9119
Ai sensi dell’art. 9 CNLG, l’articolista non è una figura professionale autonoma, posto che l’espressione riportata dalla disposizione esprime una generica definizione delle mansioni svolte dal giornalista (sia esso redattore che un’altra delle figure contrattualmente previste) ai fini del riconoscimento di determinate tutele, in particolare ai fini del diritto d’autore. Di conseguenza, il giornalista non può rifiutare il trasferimento dall’attività di cronista a quella di desk, trasferimento che non integra un demansionamento né un vulnus alla professionalità del lavoratore.
Cassazione civile, sez. lav., 06/05/2015, n. 9119
In tema di assegnazione del lavoratore a mansioni diverse, l’equivalenza alle “ultime effettivamente svolte”, di cui all’art. 2103 cod. civ., costituisce un parametro per valutare quali siano stati i compiti precedentemente adempiuti con sufficiente stabilità dal lavoratore, così da consentire un confronto con gli spostamenti disposti dal datore di lavoro, ma non costituisce titolo per una sostanziale inamovibilità di settore qualora le mansioni di nuova assegnazione siano coerenti con il bagaglio professionale già acquisito dal lavoratore. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto legittimo lo spostamento di un giornalista redattore dal settore politica e cronaca italiana a quello della cronaca locale, non risultando che la diversa attività fosse incoerente con il patrimonio professionale del ricorrente e tale da integrare una dequalificazione suscettibile di risarcimento).
T.A.R. Roma, (Lazio), sez. I, 07/04/2015, n. 5054
Va annullata la delibera del 19 giugno 2014 della commissione per la valutazione dell’equo compenso nel lavoro giornalistico (istituita ai sensi dell’art. 2, comma 1, l. n. 233 del 2012) in quanto i parametri dell’equo compenso ivi individuati non attuano il principio costituzionale (art. 36, comma 1, cost.) di proporzionalità alla quantità e qualità del lavoro svolto, espressamente richiamato dall’art. 1, commi 1 e 2, l. n. 233 del 2012.
Cassazione civile, sez. lav., 20/02/2015, n. 3474
L’assegnazione di un giornalista, che si era occupato di cronaca nera, giudiziaria e politica, a compiti di scarsa rilevanza, estranei alla cronaca politica, integra una lesione della personalità, con conseguente risarcimento del danno all’immagine – ove specificamente provato -, poiché si crea una cesura dello sviluppo delle competenze professionali acquisite sino a quel momento della carriera.
Cassazione civile, sez. lav., 20/02/2015, n. 3474
In tema di demansionamento, in professioni intellettuali, come quella del giornalista, anche a parità di qualifica e di retribuzione, può verificarsi una violazione del disposto dell’art. 2103 c.c. con conseguente vulnus della ‘professionalità’ nel caso in cui viene concretizzato un vulnus della personalità del lavoratore a seguito di una cesura dello sviluppo delle professionalità acquisite sino a quel momento della propria carriera lavorativa con conseguente possibile, se provato, risarcimento della sua immagine (confermato il demansionamento di un giornalista che dopo essersi per anni interessato come giornalista di cronaca nera e giudiziaria e poi di cronaca politica, era stato poi assegnato a compiti di scarsa rilevanza e del tutto estranei alla cronaca politica).
Tribunale Milano, sez. lav., 17/10/2014, n. 38792
In tema di attività giornalistica, il cd vincolo di dipendenza è ravvisabile in indici sintomatici quali la quotidiana presenza in redazione, il rispetto di un orario di lavoro comune, l’attuazione delle direttive del caporedattore e del caposervizio, l’assoggettamento a poteri disciplinari e di controllo, la fruizione di una postazione fissa di lavoro e di altri benefici tipici del rapporto di lavoro subordinato. Per converso, sono stati considerati indici negativi di subordinazione la pattuizione di prestazioni singolarmente convenute e retribuite, ancorché continuativa, secondo la struttura del conferimento di una serie di incarichi professionali ovvero in base alla successione di incarichi di natura fiduciaria.
Cassazione civile, sez. II, 31/03/2014, n. 7510 
Per le prestazioni giornalistiche non esistono tariffe professionali, agli effetti dell’art. 2233 cod. civ., ma solo una tabella dei “compensi minimi”, varata di anno in anno, ai sensi della legge 3 febbraio 1963, n. 69, la quale, in assenza di specifiche disposizioni legislative che attribuiscano all’ordine dei giornalisti il potere di fissare compensi minimi inderogabili, ha carattere indicativo e non vincolante.
Cassazione civile, sez. lav., 09/01/2014, n. 290 
In materia di lavoro giornalistico, il collaboratore fisso di una agenzia di informazioni quotidiane (nella specie, l’Ansa), da identificarsi nel giornalista che, pur non assicurando una attività giornaliera, fornisca con continuità ai lettori un flusso di notizie attraverso la redazione sistematica di articoli o la tenuta di rubriche, ha diritto, ai sensi dell’art. 2, comma 4, del c.c.n.l. lavoro giornalistico (applicabile “ratione temporis”), ad una retribuzione collegata al numero di collaborazioni fornite, ossia al numero di articoli redatti o rubriche tenute, nonché all’impegno di frequenza e alla natura e all’importanza delle materie trattate, ferma restando la soglia minima di quattro od otto collaborazioni al mese. Ne consegue che, ove il numero delle collaborazioni sia particolarmente elevato e superiore a quello pattuito, il giudice, ai fini della equa determinazione della retribuzione, nel provvedere ad un adeguamento della retribuzione, non può limitarsi ad un aumento proporzionale della stessa in rapporto al maggior numero di articoli o rubriche rispetto a quelli concordati, dovendo anche tenere conto di tutti gli altri parametri previsti dalla disposizione collettiva.
ANNO 2013
Tribunale Roma, sez. lav., 02/05/2013,  n. 5991
Nel lavoro giornalistico, i connotati sostanziali della subordinazione del rapporto sono costituiti dal carattere di continuità e nel vincolo di dipendenza, che per la natura intellettuale dell’attività conserva pur nell’ambito delle direttive del datore di lavoro una certa autonomia e discrezionalità, mentre il contratto di lavoro autonomo si caratterizza in quanto le prestazioni sono singolarmente convenute in base ad una successione di incarichi fiduciari e la remunerazione è subordinata alla valutazione da parte del direttore del giornale e commisurata in relazione alla singola prestazione. (Nella specie, il Trib. ha accolto l’opposizione avverso decreto ingiuntivo di pagamento di somme a titolo di contributi assicurativi omessi, ritenendo che quanto accertato in sede ispettiva non aveva trovato conferma nel giudizio, giacché i giornalisti avevano effettivamente prestato la loro attività nella forma della collaborazione autonoma, non essendo emersa la prova in merito alla sussistenza di un impegno costante ed esclusivo dei lavoratori, e pertanto ha affermato la non sussistenza dei presupposti per l’obbligo contributivo nei confronti dell’INPGI).
Cassazione civile, sez. lav., 07/02/2013,  n. 2932
Al lavoratore non iscritto all’albo dei giornalisti professionisti che abbia svolto mansioni di redattore ordinario, non spetta l’integrale trattamento economico previsto dal c.c.n.l., valutabile solo quale parametro e non come retribuzione tabellare spettante, posto che il rapporto di lavoro deve intendersi nullo, con diritto del lavoratore, ai sensi dell’art. 2126 c.c., unicamente a una equa retribuzione, in virtù dell’art. 36 cost., senza possibilità di applicazione integrale del trattamento economico previsto dal c.c.n.l.
ANNO 2012
Cassazione civile, sez. lav., 01/02/2012,  n. 1425
Per l’esercizio dell’attività giornalistica di redattore ordinario è necessaria l’iscrizione nell’albo dei giornalisti professionisti; ne consegue che il contratto giornalistico concluso con il redattore – intendendosi per tale il giornalista professionista stabilmente inserito nell’ambito di una organizzazione editoriale o radiotelevisiva, la cui attività è caratterizzata dall’autonomia della prestazione, non limitata alla mera trasmissione di notizie, ma estesa alla elaborazione, analisi e valutazione delle stesse – che non sia iscritto nell’albo dei giornalisti professionisti, è nullo non già per illiceità della causa o dell’oggetto, ma per violazione di norme imperative, con la conseguenza che, a norma dell’art. 2126 c.c., detta nullità non produce effetti per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, periodo in relazione al quale il redattore ha diritto, ex art. 36 Cost., alla giusta retribuzione, la cui determinazione spetta al giudice del merito.
ANNO 2011
Cassazione civile, sez. lav., 29/08/2011,  n. 17723Costituisce attività giornalistica — presupposta, ma non definita dalla l. 3 febbraio 1963 n. 69, sull’ordinamento della professione di giornalista — la prestazione di lavoro intellettuale diretta alla raccolta, commento ed elaborazione di notizie volte a formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso gli organi di informazione, ponendosi il giornalista quale mediatore intellettuale tra il fatto e la diffusione della conoscenza di esso, con il compito di acquisire la conoscenza dell’evento, valutarne la rilevanza in relazione ai destinatari e confezionare il messaggio con apporto soggettivo e creativo; assume inoltre rilievo, a tal fine, la continuità o periodicità del servizio, del programma o della testata nel cui ambito il lavoro è utilizzato, nonché l’inserimento continuativo del lavoratore nell’organizzazione dell’impresa. (In applicazione dell’anzidetto principio, si è ritenuto che l’attività svolta per conto di un’emittente radiofonica locale, e consistente nella raccolta delle notizie pubblicate dai notiziari Ansa o del Televideo, nella scelta di quelle ritenute più importanti, nella possibilità di apportarvi alcune modifiche e nella lettura del testo così predisposto data nel corso di una trasmissione radiofonica, avesse determinato la sussistenza di un rapporto di lavoro di natura giornalistica corrispondente alla qualifica di redattore).