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Per una testata giornalistica (Il Messaggero) una nuova condanna definitiva nei confronti di un redattore ordinario

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso proposto dalla nota testata giornalistica avverso la sentenza resa dalla Corte d’Appello di L’Aquila.
Iln primo grado, il Tribunale di L’Aquila aveva accertato la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso dal 19/9/97 al 5/11/02 fra Il Messaggero s.p.a. e B.C.G. quale redattore ordinario, e aveva condannato l’azienda al pagamento della somma di Euro 181.232,13 per differenze retributive oltre accessori di legge.
Aveva altresì dichiarato l’inefficacia e comunque l’illegittimità del licenziamento intimato alla lavoratrice, condannando la società alla reintegra di quest’ultima nel posto di lavoro e al risarcimento del danno L. n. 300 del 1970, ex art. 18.
Detta pronuncia veniva parzialmente riformata dalla Corte di appello degli Abruzzi – L’Aquila – che giudicava fondata la ragione di impugnazione formulata in via principale da “Il Messaggero” SpA con riferimento all’accertamento della risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo – consenso. La Corte distrettuale respingeva, quindi, le ulteriori censure articolate dalla società, intese a denegare il riconoscimento della ascrivibilità delle mansioni svolte dalla B. all’ambito della locatio operarum, e, specificamente, della qualifica di redattore. Nel pervenire a tali conclusioni osservava che le effettive modalità di svolgimento ed i contenuti della attività lavorativa espletata dalla B., come delineata alla luce dei dati desumibili dal compendio istruttorie acquisito, deponevano nel senso della sussistenza di un vincolo di dipendenza fra le parti, correlato alla continuità della prestazione, alla quotidianità della presenza in redazione, alla responsabilità del servizio, alla sottoposizione della attività giornalistica al controllo da parte del capo servizio. Respingeva altresì la doglianza formulata con riferimento alla omessa applicazione del regime prescrizionale di cui all’art. 2948 c.c. al credito per differenze retributive, rimarcando che il rapporto inter partes, improntato ad una formale autonomia, doveva ritenersi privo di stabilità, non decorrendo i termini prescrizionali nel corso dello stesso.
La Corte territoriale rigettava, infine, l’appello incidentale proposto dalla B. avverso la sentenza non definitiva, avente ad oggetto il pagamento di ulteriori indennità previste dagli accordi integrativi aziendali, stante la novità delle questioni sottoposte al suo scrutinio.
Il ricorso per Cassazione proposto è stato rigettato dalla S.C. per questi motivi.

  • Il rapporto di lavoro giornalistico si caratterizza per il peculiare carattere intellettuale e creativo della prestazione;
  • la natura subordinata del rapporto può essere riconosciuta a quell’attività che per ampiezza di prestazioni ed intensità della collaborazione, comporti l’inserimento stabile del lavoratore nell’assetto organizzativo aziendale, costituendo aspetti qualificanti la continuità della prestazione e la responsabilità del servizio;
  • detti caratteri ricorrono quando il giornalista abbia l’incarico di trattare in via continuativa un argomento o settore dell’informazione e metta costantemente a disposizione la sua opera in favore dell’imprenditore, nell’ambito delle istruzioni ricevute, non rilevando, in contrario, il notevole grado di autonomia con cui la prestazione viene svolta;
  • la Corte territoriale ha ritenuto smentita la tesi di parte appellante relativa alla natura autonoma della collaborazione prestata dalla lavoratrice, essendo emerso con chiarezza dai dati istruttori acquisiti, un vincolo di dipendenza correlato alla continuità della prestazione ed alla piena responsabilità del servizio di cronaca cittadina a lei affidato;
  • il giudice di merito ha ritenuto, infatti, dimostrata, la quotidianità e sistematicità dell’impegno profuso dalla B., mediante:
  1. la giornaliera frequentazione e presenza presso la redazione di Teramo;
  2. l’abituale utilizzazione di strutture e mezzi aziendali;
  3. la retribuzione erogata con cadenza mensile la cui variabilità era definita non tanto in relazione al rapporto qualitativo – quantitativo della prestazione resa, quanto alle variazione di budget di cui disponeva la redazione di Teramo;
  4. la responsabilità di un servizio (cronaca cittadina) con sistematica redazione di articoli sull’argomento definito e con vincolo di dipendenza, in linea con i contenuti precettivi dell’art. 2094 c.c. consistente nell’impegno a porre continuativamente la sua opera professionale a disposizione della società editrice anche negli intervalli fra una prestazione e l’altra, ivi comprese le riunioni mattutine con il capo servizio e le corrispondenze esterne, assicurando il servizio anche nel periodo feriale estivo mediante inserimento in un piano di turnazioni del personale sempre con il rispetto di un orario di lavoro quotidiano.
  • Deve quindi affermarsi che la sentenza impugnata si colloca nel solco della giurisprudenza di questa Corte che ha avuto modo di rimarcare (vedi ex aliis, Cass. 2 aprile 2009 n. 8068) come in tema di attività giornalistica, siano configurabili gli estremi della subordinazione – tenuto conto del carattere creativo del lavoro – ove vi sia lo stabile inserimento della prestazione resa dal giornalista nell’organizzazione aziendale (vedi ex plurimis, Cass. 7 ottobre 2013 n.22785) così da poter assicurare, quantomeno per un apprezzabile periodo di tempo, la soddisfazione di un’esigenza informativa del giornale attraverso la sistematica compilazione di articoli su specifici argomenti o di rubriche, con permanenza, nell’intervallo tra una prestazione e l’altra, della disponibilità del lavoratore alle esigenze del datore di lavoro.
  • Nel lavoro giornalistico subordinato è stato pure posto in rilievo il carattere collettivo dell’opera redazionale, stante la peculiarità dell’orario di lavoro e dei vincoli posti dalla legge per la pubblicazione del giornale e la diffusione delle notizie (Cass. 9 giugno 1998 n. 5693), con la puntualizzazione che la figura professionale del redattore, implica pur essa il particolare inserimento della prestazione lavorativa nell’organizzazione necessaria per la compilazione del giornale, vale a dire in quella apposita e necessaria struttura costituita dalla redazione, caratterizzata dalla funzione di programmazione e formazione del prodotto finale e delle attività organizzate a tal fine, quali la scelta e la revisione degli ‘articoli, la collaborazione all’impaginazione, la stesura dei testi redazionali ed altre attività connesse (vedi in motivazione, Cass. 21 ottobre 2000 n. 13945, cui adde Cass. 6 maggio 2015 n. 9119), che si realizza nella quotidianità dell’impegno lavorativo, a differenza di quella che connota l’attività del collaboratore fisso di cui all’art. 2 c.c.n.l.g. che richiede solo la continuità della prestazione (cfr. cass. 8 febbraio 2011 n. 3037).
  • Alla stregua delle esposte considerazioni deve affermarsi che, anche sotto tale profilo la pronuncia impugnata si presenta del tutto corretta sul versante giuridico, essendosi attenuta ai principi di diritto sopra richiamati laddove ha ravvisato nella quotidianità delle prestazioni consistenti nella ricerca, valutazione ed elaborazione degli avvenimenti di cronaca, il precipuo elemento distintivo della qualifica di redattore, risultando, sotto il profilo motivazionale – per quello che riguarda i complessivi accertamenti – formalmente coerente con equilibrio dei vari elementi che ne costituiscono la struttura argomentativa, sottraendosi in tal guisa, a qualsiasi sindacato di legittimità.

 

La Cassazione torna a pronunciarsi in tema di "giornalista di fatto" (Cass. 23695/2015)

Presupposto indefettibile per la rivendicazione dello status professionale di giornalista è l’iscrizione al relativo albo, e ciò non solo per quanto previsto dal contratto collettivo di lavoro della categoria, ma anche per il disposto normativo (L. 3 febbraio 1963, n. 69, artt. 29 e 45, rispettivamente per i praticanti e per i giornalisti professionisti).
Tuttavia le mansioni giornalistiche – in particolare di redattore – ben possono essere di fatto espletate anche da chi non possieda lo status di giornalista professionista, la cui mancanza non può incidere sulla natura del rapporto e sul diritto del dipendente a percepire le competenze corrispondenti alle mansioni svolte, atteso che il contratto in questione – ancorchè nullo per violazione della indicate disposizioni della L. 3 febbraio 1963, n. 69, sull’esercizio della professione giornalistica – produce pur sempre, ai sensi dell’art. 2126 c.c. (trattandosi di nullità non derivante da illiceità della causa o dell’oggetto), gli effetti del rapporto giornalistico per il tempo della sua esecuzione.
All’accertato espletamento di fatto delle mansioni giornalistiche conseguono sia il diritto al trattamento economico secondo l’entità del lavoro svolto e le previsioni di sviluppo della carriera, sia il diritto al corrispondente trattamento previdenziale (ex multis: Cass. 27 maggio 2000, n. 7020; Cass. 11 febbraio 2011, n. 3385; Cass. 21 febbraio 2011, n. 4165; Cass. 17 giugno 2008, n. 16383; Cass. 13 agosto 2008, n. 21591; Cass. 1 luglio 2004, n. 12095); b) nella predetta ipotesi la retribuzione cui il lavoratore ha diritto, per tutto il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, è la “giusta retribuzione”, che il giudice del merito deve determinare ai sensi dell’art. 36 Cost., e con riferimento alla contrattazione collettiva (vedi, per tutte: Cass. 22 novembre 2010, n. 23638; Cass. 10 marzo2004, n. 4941).
Difatti, l’attività giornalistica di ordine intellettuale che, pur se in violazione delle norme della L. 3 febbraio 1963, n. 69, sia svolta in regime di subordinazione, secondo le caratteristiche della continuità, dell’inserimento nell’organizzazione aziendale e della sottoposizione alle direttive dell’imprenditore, non da luogo ad un rapporto nullo per illiceità dell’oggetto o della causa del relativo contratto, sicchè, ai sensi dell’art. 2126 c.c., comma 1, la prestazione di detta attività non può ritenersi improduttiva di effetti, ma da diritto al trattamento economico corrispondente all’entità del lavoro svolto, con conseguente applicabilità della disciplina collettiva concernente la retribuzione e le indennità accessorie nonchè le previsioni di sviluppo della carriera, atteso che, nel caso di sopravvenuta iscrizione del lavoratore all’albo, il passaggio dal contratto nullo (per violazione delle norme predette) al contratto valido non fa venir meno la continuità e unicità dell’intero rapporto ai fini della progressione della carriera e della determinazione dell’indennità di cessazione del rapporto (tra le altre: Cass. 10 novembre 1983, n. 6673; Cass. 10 gennaio 1987, n. 109);
In particolare, in caso di esercizio di fatto di attività giornalistica da parte di soggetti non iscritti all’albo professionale, la nullità del rapporto, che deriva dalla violazione della norma imperativa di cui alla L. 3 febbraio 1963, n. 69, art. 45, e non da illiceità dell’oggetto o della causa, comporta – secondo l’espresso disposto dell’art. 2126 c.c. – che, in caso di sopravvenuta iscrizione del lavoratore all’albo professionale e di instaurazione di un contratto valido, non viene meno la continuità ed unicità del rapporto ai fini della progressione in carriera, perchè sino al verificarsi di tale evento la nullità inficiante l’originario contratto non ha avuto, in conseguenza dell’esecuzione del contratto stesso, effetto alcuno (Cass. 4 febbraio 1998, n. 1157; Cass. 27 maggio 2000, n. 7020; Cass. 3 gennaio 2005, n. 28)”.

Giornalista, redattore, collaboratore fisso

Non può essere ritenuto redattore chi non è giornalista, e chi svolge un lavoro che non ha caratteristiche redazionali.
Ai fini del riconoscimento della qualifica di collaboratore è necessario soltanto che l’attività sia continuativa, con un minimo mensile obbligatorio di almeno otto collaborazioni al mese.
E’ irrilevante che la pubblicazione degli articoli sia soggetta al vaglio discrezionale dei redattori e dei capi servizio.
Va tenuta in considerazione la competenza in alcuni campi specie se alcune rubriche vengono affidate in maniera pressochè esclusiva, nonchè l‘elevata produzione di articoli che provano di essere in presenza di una attività lavorativa caratterizzata dalla costanza dell’impegno e dalla continuità della prestazione.
Il rapporto di collaborazione fissa può sussistere anche il difetto di un obbligo di orario e di una postazione fissa.
Ai fini della integrazione della qualifica di redattore e della sua distinzione dalie altre figure di giornalisti, è imprescindibile il requisito della quotidianità della prestazione in contrapposizione alla semplice sua continuità, caratterizzante la figura del collaboratore fisso.
Non è di per sè sufficiente lo svolgimento di compiti propri di ogni attività giornalistica (quali il controllo della notizia e la sua elaborazione, la stesura di pezzi o di articoli) e l’esecuzione di inchieste (modalità di acquisizione e verifica delle notizie su un tema, di cui possono servirsi anche i redattori in sede, i corrispondenti e i collaboratori fissi), in caso, poi, di accertata eccedenza delle attività svolte dal lavoratore rispetto a quelle del normale corrispondente, può configurarsi il diritto del medesimo ad un’integrazione della retribuzione ex art. 36 Cost.” (Cass. civ., 28 luglio 1995, n. 8260).

Un caso di responsabilità di un dentista

Queste in sintesi le motivazioni del Tribunale.

  • Il contratto di prestazione professionale va risolto in caso di grave inadempimento.
  • Nel caso in esame la prestazione eseguita dal medico è stata giudicata sostanzialmente inutile per l’attrice,
    la quale non solo non ha risolo i propri problemi, ma ha dovuto per effetto di cure incongrue perdere altri due denti, pur essendo già portatrice di una situazione odontostamotologica compromessa.
  • Per quanto attiene infine alla colpa, va ricordato che secondo l’ormai consolidato orientamento della Suprema Corte chi lamenta l’inadempimento di una obbligazione contrattuale deve soltanto dimostrare l’esistenza e l’efficacia del contratto, mentre è onere del convenuto dimostrare o di avere adempiuto, ovvero che l’inadempimento non è dipeso da propria colpa, ai sensi dell’art. 1218 c.c. (cfr., da ultimo, Cass. sez. un. 30.10.2001 n. 13533, in Dir. e giust., 2001, fasc. 42, 26) e tali princìpi trovano applicazione anche nell’ipotesi di responsabilità professionale del medico.
  • In questi casi, è dunque onere del medico dimostrare che il danno non sussiste, ovvero non è dipeso da propria colpa (ex permultis, Cass., sez. III, 23-05-2001, n. 7027, in Danno e resp., 2001, 1165; Cass., sez. III, 06-10-1997, n. 9705, in Giust. civ., 1998, I, 424; nonché, per la giurisprudenza di questo Tribunale, ex multis, Trib. Roma 30.11.2003, Plaitano c. Toscana, inedita; Trib. Roma 30.6.2003, Felix c. Marcorelli, inedita; Trib. Roma 1.8.2003, Nardozi c. Diotallevi, inedita).
  • Dall’accoglimento della domanda di risoluzione discende sul piano degli effetti che:(a) è dovuta la restituzione delle somme già versate (effetto restitutorio scaturente dalla risoluzione);(b) è dovuto il risarcimento del danno (effetto risarcitorio scaturente dalla risoluzione).
  • Per quanto attiene agli obblighi restitutori scaturenti dalla risoluzione di un contratto di prestazione d’opera professionale, ritiene il Tribunale di Roma che il medico sia tenuto alla restituzione del corrispettivo ricevuto, a nulla rilevando che la prestazione da lui resa non sia ripetibile in natura. Ostano all’accoglimento della conclusione contraria (sostenuta da Trib. Roma 30.6.2004, in Giurispr. romana, 2004, 367, invocata da parte convenuta), almeno due rilievi:
    • Innanzitutto, l’irripetibilità dell’onorario già pagato dal cliente contrasta con l’esigenza di salvaguardare il sinallagma tra le reciproche prestazioni. Se si ritenesse irripetibile l’onorario versato dal paziente, infatti, quest’ultimo verrebbe costretto a pagare una
      prestazione inutile, se non dannosa. Si consideri, del resto, che il controvalore pecuniario di una prestazione professionale che abbia arrecato un danno alla salute del paziente non può non essere pari a zero, e dunque per esso non sarebbe dovuto alcun corrispettivo.
    • In secondo luogo v’è da considerare che, se prima della risoluzione
      del contratto il cliente ancora non abbia pagato l’onorario
      professionale, egli potrebbe legittimamente rifiutare tale pagamento,
      ai sensi dell’articolo 1460 c.c.. Appare pertanto illogico, a fronte
      dell’inadempimento del professionista, consentire al cliente di non
      pagare l’onorario se il contratto è ancora in vita, e fargli perdere
      l’onorario già pagato se il contratto è risolto.

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Liquidazione del danno: riduzione in ragione del potere di acquisto della moneta

Laddove il danneggiato viva in un paese in cui il potere della moneta con cui viene pagato il risarcimento è maggiore rispetto a quella in uso, può disporsi una riduzione?
Tribunale di Roma, 27 gennaio 2007
Il Tribunale di Roma accorda il risarcimento a cittadini del Perù, che hanno perso un congiunto in Italia.
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Multe senza preavviso

Sono valide le multe, inflitte per infrazioni al codice della strada, anche se il vigile si è dimenticato di lasciare il preavviso della contravvenzione sul veicolo multato in assenza del conducente. Nessuna norma impone, infatti, il rilascio di un preavviso di violazione la cui mancanza non ostacola in alcun modo il diritto di difesa.
Cassazione civile , sez. II, 09 marzo 2007, n. 5447

Furto auto in parcheggi custoditi

In tema di parcheggi custoditi, in caso di furto dell’auto il gestore è responsabile e deve risarcire il proprietario. L’eventuale clausola che esclude la responsabilità del primo verso il secondo, infatti, ha carattere vessatorio ed è inefficace se non è stata approvata specificamente per iscritto.
Cassazione civile , sez. III, 13 marzo 2007, n. 5837

Chirurgo – responsabilità

Il chirurgo non deve tenere in considerazione soltanto le esigenze cliniche e terapeutiche immediate ma deve anche considerare le ripercussioni di ordine fisico e psicologico che il suo intervento può produrre sul paziente. Non si applica la limitazione di responsabilità ex art.2236 c.c.al professionista generico che consapevolmente non ha consultato lo specialista, il quale invece poteva indirizzarlo a un’operazione con conseguenze meno dannose.
Cassazione civile , sez. III, 13 marzo 2007, n. 5846

Prodotti difettosi

Il consumatore che dimostra il nesso di causalità fra il danno subito e l’utilizzazione del prodotto venduto in commercio non prova automaticamente anche il difetto del prodotto stesso e, dunque, la responsabilità del produttore.
Cassazione civile , sez. III, 15 marzo 2007, n. 6007