La Cassazione torna a pronunciarsi in tema di "giornalista di fatto" (Cass. 23695/2015)

Presupposto indefettibile per la rivendicazione dello status professionale di giornalista è l’iscrizione al relativo albo, e ciò non solo per quanto previsto dal contratto collettivo di lavoro della categoria, ma anche per il disposto normativo (L. 3 febbraio 1963, n. 69, artt. 29 e 45, rispettivamente per i praticanti e per i giornalisti professionisti).
Tuttavia le mansioni giornalistiche – in particolare di redattore – ben possono essere di fatto espletate anche da chi non possieda lo status di giornalista professionista, la cui mancanza non può incidere sulla natura del rapporto e sul diritto del dipendente a percepire le competenze corrispondenti alle mansioni svolte, atteso che il contratto in questione – ancorchè nullo per violazione della indicate disposizioni della L. 3 febbraio 1963, n. 69, sull’esercizio della professione giornalistica – produce pur sempre, ai sensi dell’art. 2126 c.c. (trattandosi di nullità non derivante da illiceità della causa o dell’oggetto), gli effetti del rapporto giornalistico per il tempo della sua esecuzione.
All’accertato espletamento di fatto delle mansioni giornalistiche conseguono sia il diritto al trattamento economico secondo l’entità del lavoro svolto e le previsioni di sviluppo della carriera, sia il diritto al corrispondente trattamento previdenziale (ex multis: Cass. 27 maggio 2000, n. 7020; Cass. 11 febbraio 2011, n. 3385; Cass. 21 febbraio 2011, n. 4165; Cass. 17 giugno 2008, n. 16383; Cass. 13 agosto 2008, n. 21591; Cass. 1 luglio 2004, n. 12095); b) nella predetta ipotesi la retribuzione cui il lavoratore ha diritto, per tutto il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, è la “giusta retribuzione”, che il giudice del merito deve determinare ai sensi dell’art. 36 Cost., e con riferimento alla contrattazione collettiva (vedi, per tutte: Cass. 22 novembre 2010, n. 23638; Cass. 10 marzo2004, n. 4941).
Difatti, l’attività giornalistica di ordine intellettuale che, pur se in violazione delle norme della L. 3 febbraio 1963, n. 69, sia svolta in regime di subordinazione, secondo le caratteristiche della continuità, dell’inserimento nell’organizzazione aziendale e della sottoposizione alle direttive dell’imprenditore, non da luogo ad un rapporto nullo per illiceità dell’oggetto o della causa del relativo contratto, sicchè, ai sensi dell’art. 2126 c.c., comma 1, la prestazione di detta attività non può ritenersi improduttiva di effetti, ma da diritto al trattamento economico corrispondente all’entità del lavoro svolto, con conseguente applicabilità della disciplina collettiva concernente la retribuzione e le indennità accessorie nonchè le previsioni di sviluppo della carriera, atteso che, nel caso di sopravvenuta iscrizione del lavoratore all’albo, il passaggio dal contratto nullo (per violazione delle norme predette) al contratto valido non fa venir meno la continuità e unicità dell’intero rapporto ai fini della progressione della carriera e della determinazione dell’indennità di cessazione del rapporto (tra le altre: Cass. 10 novembre 1983, n. 6673; Cass. 10 gennaio 1987, n. 109);
In particolare, in caso di esercizio di fatto di attività giornalistica da parte di soggetti non iscritti all’albo professionale, la nullità del rapporto, che deriva dalla violazione della norma imperativa di cui alla L. 3 febbraio 1963, n. 69, art. 45, e non da illiceità dell’oggetto o della causa, comporta – secondo l’espresso disposto dell’art. 2126 c.c. – che, in caso di sopravvenuta iscrizione del lavoratore all’albo professionale e di instaurazione di un contratto valido, non viene meno la continuità ed unicità del rapporto ai fini della progressione in carriera, perchè sino al verificarsi di tale evento la nullità inficiante l’originario contratto non ha avuto, in conseguenza dell’esecuzione del contratto stesso, effetto alcuno (Cass. 4 febbraio 1998, n. 1157; Cass. 27 maggio 2000, n. 7020; Cass. 3 gennaio 2005, n. 28)”.