Queste in sintesi le motivazioni del Tribunale.
- Il contratto di prestazione professionale va risolto in caso di grave inadempimento.
- Nel caso in esame la prestazione eseguita dal medico è stata giudicata sostanzialmente inutile per l’attrice,
la quale non solo non ha risolo i propri problemi, ma ha dovuto per effetto di cure incongrue perdere altri due denti, pur essendo già portatrice di una situazione odontostamotologica compromessa. - Per quanto attiene infine alla colpa, va ricordato che secondo l’ormai consolidato orientamento della Suprema Corte chi lamenta l’inadempimento di una obbligazione contrattuale deve soltanto dimostrare l’esistenza e l’efficacia del contratto, mentre è onere del convenuto dimostrare o di avere adempiuto, ovvero che l’inadempimento non è dipeso da propria colpa, ai sensi dell’art. 1218 c.c. (cfr., da ultimo, Cass. sez. un. 30.10.2001 n. 13533, in Dir. e giust., 2001, fasc. 42, 26) e tali princìpi trovano applicazione anche nell’ipotesi di responsabilità professionale del medico.
- In questi casi, è dunque onere del medico dimostrare che il danno non sussiste, ovvero non è dipeso da propria colpa (ex permultis, Cass., sez. III, 23-05-2001, n. 7027, in Danno e resp., 2001, 1165; Cass., sez. III, 06-10-1997, n. 9705, in Giust. civ., 1998, I, 424; nonché, per la giurisprudenza di questo Tribunale, ex multis, Trib. Roma 30.11.2003, Plaitano c. Toscana, inedita; Trib. Roma 30.6.2003, Felix c. Marcorelli, inedita; Trib. Roma 1.8.2003, Nardozi c. Diotallevi, inedita).
- Dall’accoglimento della domanda di risoluzione discende sul piano degli effetti che:(a) è dovuta la restituzione delle somme già versate (effetto restitutorio scaturente dalla risoluzione);(b) è dovuto il risarcimento del danno (effetto risarcitorio scaturente dalla risoluzione).
- Per quanto attiene agli obblighi restitutori scaturenti dalla risoluzione di un contratto di prestazione d’opera professionale, ritiene il Tribunale di Roma che il medico sia tenuto alla restituzione del corrispettivo ricevuto, a nulla rilevando che la prestazione da lui resa non sia ripetibile in natura. Ostano all’accoglimento della conclusione contraria (sostenuta da Trib. Roma 30.6.2004, in Giurispr. romana, 2004, 367, invocata da parte convenuta), almeno due rilievi:
- Innanzitutto, l’irripetibilità dell’onorario già pagato dal cliente contrasta con l’esigenza di salvaguardare il sinallagma tra le reciproche prestazioni. Se si ritenesse irripetibile l’onorario versato dal paziente, infatti, quest’ultimo verrebbe costretto a pagare una
prestazione inutile, se non dannosa. Si consideri, del resto, che il controvalore pecuniario di una prestazione professionale che abbia arrecato un danno alla salute del paziente non può non essere pari a zero, e dunque per esso non sarebbe dovuto alcun corrispettivo.
- In secondo luogo v’è da considerare che, se prima della risoluzione
del contratto il cliente ancora non abbia pagato l’onorario
professionale, egli potrebbe legittimamente rifiutare tale pagamento,
ai sensi dell’articolo 1460 c.c.. Appare pertanto illogico, a fronte
dell’inadempimento del professionista, consentire al cliente di non
pagare l’onorario se il contratto è ancora in vita, e fargli perdere
l’onorario già pagato se il contratto è risolto.
- Innanzitutto, l’irripetibilità dell’onorario già pagato dal cliente contrasta con l’esigenza di salvaguardare il sinallagma tra le reciproche prestazioni. Se si ritenesse irripetibile l’onorario versato dal paziente, infatti, quest’ultimo verrebbe costretto a pagare una
Tantissimi spunti interessanti in questa sentenza del Tribunale di Roma, che ha condannato un dentista per una serie di errori professionali.
Tribunale Roma, 30 aprile 2007, sez. XIII
REPUBBLICA ITALIANA
In Nome Del Popolo Italiano
IL TRIBUNALE DI ROMA
– Sez. XIII Civile –
in persona del giudice unico, dott. Marco Rossetti, ha pronunciato la seguente SENTENZA
nella causa civile in primo grado iscritta al n° 32680/06 del R.G.A.C., trattenuta in decisione all’udienza del 27.11.2006,
vertente tra
– S.P., elettivamente domiciliata in Roma, v. E. Q. V. 103, presso
l’Avv. Francesco Maria Segnalini che la rappresenta e difende per
procura apposta in margine all’atto di citazione;
– attrice -;
e
-) P.B., elettivamente domiciliato in Roma, lungotev. F. 26, presso
l’Avv. Francesco Baldi che lo rappresenta e difende per procura
apposta in calce alla copia notificata dell’atto di citazione;
– convenuto -;
OGGETTO: risarcimento danni;
CONCLUSIONI DELLE PARTI: all’udienza del 27.11.2006 le parti
concludevano come da verbale in pari data;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione regolarmente notificato, S.P. conveniva dinanzi a questo Tribunale P.B..
L’attrice esponeva che:
– tra il 2000 ed il 2005 si era sottoposta ad una serie di cure
dentarie, eseguite da P.B., consistenti tra l’altro nella esecuzione di
cure canalari e nella realizzazione di protesi dentarie;
– tali cure erano state eseguite in modo negligente, ed avevano aggravato le sue condizioni di salute.
Concludeva pertanto chiedendo:
– la risoluzione del contratto concluso col convenuto;
– la restituzione delle somme pagate;
– la condanna del convenuto al risarcimento dei danni patiti in conseguenza dei fatti sopra descritti.
Il convenuto si costituiva regolarmente, eccependo:
– la inesigibilità della restituzione del compenso professionale già pagato;
– ne merito, l’insussistenza di qualsiasi propria responsabilità.
Nel corso dell’istruzione venivano acquisiti documenti, disposta
consulenza tecnica medico-legale sulla persona dell’attore dell’attrice.
Esaurita l’istruzione e precisate le conclusioni, la causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 27.11.2006.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. L’attrice ha domandato la risoluzione ex art. 1453 c.c. del
contratto di prestazione d’opera professionale stipulato del convenuto.
Occorre dunque in primo luogo stabilire se inadempimento vi sia stato,
se esso sia stato grave ex art. 1455 c.c. e se sia ascrivibile a colpa
del convenuto.
1.1. Al primo quesito va data risposta affermativa: dalla consulenza
d’ufficio sono infatti emerse varie imprecisioni nell’esecuzione delle
prestazioni richieste al convenuto.
Le più gravi di queste sono rappresentate dalla inadeguatezza delle
terapie endodontiche effettuate sugli elementi dentari 1.7, 2.4, 2.5,
2.7, 4.4 e 4.5 (cfr. c.t.u., p. 2), ma non lievi vanno ritenute altresì:
(a) la imprecisione nella contornazione del margine delle protesi in
metallo ceramica applicate sugli elementi 1.6 e 1.7 (cfr. c.t.u., p. 2);
(b) la inadeguata terapia endodontica degli elementi 3.8 e 4.7, che con
alta verosimiglianza ne hanno determinato la successiva estrazione
(cfr. c.t.u., p. 5).
1.2. La gravità ex art. 1455 c.c. dell’inadempimento sopra descritto è
in re ipsa. La prestazione eseguita dal convenuto è stata infatti
sostanzialmente inutile per l’attrice, la quale non solo non ha risolo
i propri problemi, ma ha dovuto per effetto di cure incongrue perdere
altri due denti, pur essendo già portatrice di una situazione
odontostamotologica compromessa.
1.3. Per quanto attiene infine alla colpa, va ricordato che secondo
l’ormai consolidato orientamento della Suprema Corte chi lamenta
l’inadempimento di una obbligazione contrattuale deve soltanto
dimostrare l’esistenza e l’efficacia del contratto, mentre è onere del
convenuto dimostrare o di avere adempiuto, ovvero che l’inadempimento
non è dipeso da propria colpa, ai sensi dell’art. 1218 c.c. (cfr., da
ultimo, Cass. sez. un. 30.10.2001 n. 13533, in Dir. e giust., 2001,
fasc. 42, 26).
Tali princìpi trovano applicazione anche nell’ipotesi di responsabilità
professionale del medico. In questi casi, è dunque onere del medico
dimostrare che il danno non sussiste, ovvero non è dipeso da propria
colpa (ex permultis, Cass., sez. III, 23-05-2001, n. 7027, in Danno e
resp., 2001, 1165; Cass., sez. III, 06-10-1997, n. 9705, in Giust.
civ., 1998, I, 424; nonché, per la giurisprudenza di questo Tribunale,
ex multis, Trib. Roma 30.11.2003, Plaitano c. Toscana, inedita; Trib.
Roma 30.6.2003, Felix c. Marcorelli, inedita; Trib. Roma 1.8.2003,
Nardozi c. Diotallevi, inedita).
Ciò, premesso, è agevole rilevare come nel caso di specie il convenuto
non ha fornito prova alcuna della propria assenza di colpa.
2. Deve, in definitiva, essere accolta la domanda di risoluzione del contratto.
Dall’accoglimento della domanda di risoluzione discende sul piano degli effetti che:
(a) è dovuta la restituzione delle somme già versate (effetto restitutorio scaturente dalla risoluzione);
(b) è dovuto il risarcimento del danno (effetto risarcitorio scaturente dalla risoluzione).
3. Restituzioni.
Per quanto attiene agli obblighi restitutori scaturenti dalla
risoluzione di un contratto di prestazione d’opera professionale,
ritiene questo Tribunale che il medico sia tenuto alla restituzione del
corrispettivo ricevuto, a nulla rilevando che la prestazione da lui
resa non sia ripetibile in natura. Ostano all’accoglimento della
conclusione contraria (sostenuta da Trib. Roma 30.6.2004, in Giurispr.
romana, 2004, 367, invocata da parte convenuta), almeno due rilievi.
Innanzitutto, l’irripetibilità dell’onorario già pagato dal cliente
contrasta con l’esigenza di salvaguardare il sinallagma tra le
reciproche prestazioni. Se si ritenesse irripetibile l’onorario versato
dal paziente, infatti, quest’ultimo verrebbe costretto a pagare una
prestazione inutile, se non dannosa. Si consideri, del resto, che il
controvalore pecuniario di una prestazione professionale che abbia
arrecato un danno alla salute del paziente non può non essere pari a
zero, e dunque per esso non sarebbe dovuto alcun corrispettivo.
In secondo luogo v’è da considerare che, se prima della risoluzione del
contratto il cliente ancora non abbia pagato l’onorario professionale,
egli potrebbe legittimamente rifiutare tale pagamento, ai sensi
dell’articolo 1460 c.c.. Appare pertanto illogico, a fronte
dell’inadempimento del professionista, consentire al cliente di non
pagare l’onorario se il contratto è ancora in vita, e fargli perdere
l’onorario già pagato se il contratto è risolto.
Deve, pertanto, concludersi che il paziente non è tenuto a versare al
medico libero professionista il corrispettivo pattuito e, se versato,
ha diritto a pretenderne la restituzione, quando l’intervento sia stato
eseguito in modo imperito (così Trib. Roma 20.10.2003, in Giurispr.
romana, 2004, fasc. 12).
Nel caso di specie, parte attrice ha dimostrato di avere versato a più
riprese al convenuto la somma complessiva di euro 8.447,79 (cfr. all.ti
7-11 fasc. attoreo).
Poiché l’obbligo restitutorio scaturente dalla risoluzione del
contratto ha natura di obbligazione di valuta e non di valore (Cass.,
sez. un., 04-12-1992, n. 12942, in Foro it., 1993, I, 401), l’importo
suddetto non deve essere rivalutato, mentre sono dovuti gli interessi
nella misura legale con decorrenza dalla data della solutio, e cioè:
– su euro 3.253,68 dal 8.11.2000;
– su euro 1.032,91 dal 24.11.2000;
– su euro 2.374,41 dal 28.3.2001;
– su euro 515,17 dal 4.5.2001;
– su euro 516,46 dal 10.10.2001;
– su euro 101,29 dal 4.3.2004;
– su euro 201,29 dal 8.3.2004;
– su euro 351,29 dal 19.7.2004 .
4. Risarcimento del danno.
Il danno patito da S.P. deve così liquidarsi:
4.1. Danno alla persona:
secondo le conclusioni cui è pervenuto il Consulente Tecnico d’Ufficio,
in conseguenza del fatto di cui è causa S.P. ha subìto un evento
biologico, inteso quale lesione della struttura complessa
dell’organismo umano, consistito nella perdita di due elementi dentari
(3.8 e 4.7); nella grave compromissione degli elementi 1.6 ed 1.7;
nella necessità di ritrattamento dell’elemento 2.7.
Tale evento biologico si sostanzia in una lesione della salute così quantificata dal C.T.U.:
-) 7% di invalidità permanente, riducibile al 2% attraverso le cure opportune;
-) 0 giorni di invalidità temporanea assoluta;
-) 35 giorni di invalidità temporanea relativa al 50%.
Le conclusioni cui è pervenuto il C.T.U. non sembrano congruamente motivate e pienamente condivisibili.
4.2. Per quanto concerne il grado di invalidità permanente che sarebbe
residuato ai futuri interventi correttivi, era stato domandato
all’ausiliario di determinarlo facendo riferimento al Baréme curato da
Bargagna ed all., Guida orientativa per la valutazione del danno
biologico permanente, Milano 1996. Secondo tale autorevole criterio
nosografico, la perdita di un elemento dentario protesizzabile comporta
una invalidità dell’1%. Nel caso di specie gli elementi perduti sono
stati 3 (cfr. c.t.u., p. 7), ed a tale danno deve aggiungersi quello da
indebolimento degli impianti fissi preesistenti.
Pertanto, tenendo conto del fatto che il grado complessivo di
invalidità permanente, nel caso di lesioni monocrone concorrenti è
funzione, e non somma, delle singole invalidità, il grado complessivo
di i.p. che residuerà agli interventi di protesizzazione degli elementi
mancanti va determinato più appropriatamente nella misura del 4%.
4.4. Le conclusioni cui è pervenuto il c.t.u. non possono essere
condivise nemmeno per quanto concerne la durata della invalidità
temporanea.
Secondo la costante giurisprudenza di questo Tribunale, nel caso in cui
il danno alla salute sia emendabile con appositi interventi, il danno
biologico risarcibile è costituito dal grado di invalidità permanente
che presumibilmente residuerà all’intervento, mentre il costo di
quest’ultimo va liquidato a titolo di risarcimento del danno
patrimoniale (ex multis, Trib. Roma 25.1.2004, Giuliani c. Milano,
inedita; Trib. Roma, 17-07-1998, in Riv. giur. circolaz. e trasp.,
1999, 798, nonché in Dir. ed economia assicuraz., 1999, 680).
Tuttavia dal momento del fatto illecito sino alla pronuncia della
presente sentenza (e cioè fino al momento della aestimatio del danno e
della condanna al relativo risarcimento) S.P. ha dovuto comunque
sopportare in corpore una menomazione più grave (7% di invalidità
permanente) di quella posta a base della liquidazione (4% di invalidità
permanente). Questo pregiudizio costituisce una forma di invalidità
temporanea relativa, che potremmo definire “danno funzionale
temporaneo”, e rappresenta un danno biologico meritevole di
risarcimento.
Per la aestimatio di tale danno, può stimarsi la maggior invalidità
temporanea patita dall’attrice nelle more tra il fatto illecito e la
data odierna in misura pari al 3% della totale, per un periodo di 2.043
giorni, e cioè quanti ne sono trascorsi tra il 10.10.2001 ed oggi.
4.5. Pertanto, in ragione delle considerazioni che precedono e di
quanto risulta dagli atti, si ritiene corretto quantificare la lesione
della salute residuata a S.P., in conseguenza del sinistro di cui è
causa, come segue:
– 4%, di invalidità permanente;
– 0 giorni di invalidità temporanea assoluta;
– 35 giorni di invalidità temporanea relativa al 50%;
– 2043 giorni di invalidità temporanea relativa al 3%.
Di conseguenza, tenuto conto della gravità effettiva delle lesioni e
dell’età del soggetto leso; posto in relazione il concreto evento
biologico con il quadro completo delle funzioni vitali in cui poteva e
potrà estrinsecarsi l’efficienza psicofisica del danneggiato, si
ritiene equo ex art. 1226 c.c. liquidare il danno alla persona nel caso
concreto, secondo l’insegnamento del giudice di legittimità (Cass.,
sez. III, 11-08-2000, n. 10725; Cass., sez. III, 25-05-2000, n. 6873;
Cass., sez. III, 13-04-1995, n. 4255, in Resp. civ., 1995, 519; Cass.,
sez. III, 18-02-1993, n. 2008, in Riv. giur. circolaz. e trasp., 1993,
790), come segue:
1) a titolo di risarcimento di quell’aspetto del danno non patrimoniale
rappresentato dalla lesione permanente dell’integrità psicofisica,
nella misura di euro 3.328,52 attuali (pari a euro 832,13 per ogni
punto di invalidità permanente, valore che nel caso di specie si
ritiene costituire un equo ristoro del pregiudizio personale subìto dal
danneggiato).
Si perviene a tale valore facendo applicazione analogica (analogia
legis) del criterio dettato, con riferimento al risarcimento del danno
alla salute causato da sinistri stradali, dall’art. 139 d. lg. 209/05
(codice della assicurazioni), e dei relativi valori monetari dettati
dal d.m. 31.5.2006.
Il ricorso all’estensione analogica delle norme appena ricordate appare doveroso in base alle seguenti considerazioni.
La legge non detta criterio alcuno per il risarcimento del danno
biologico, eccezion fatta per l’ipotesi in cui tale danno sia stato
causato da un veicolo a motore soggetto all’obbligo dell’assicurazione.
Questo Tribunale, pertanto, dovrebbe liquidare il danno in esame
facendo ricorso al criterio equitativo di cui all’art. 1226 c.c..
Tuttavia, tra gli infiniti criteri astrattamente adottabili per
procedere alla liquidazione equitativa del danno (media dei precedenti,
criterio equitativo puro, costituzione di una rendita, ecc.) nessuno
può ritenersi più equo, ovvero meno iniquo, di quello che lo stesso
legislatore ha ritenuto di adottare.
2) A titolo di risarcimento di quell’aspetto del danno non patrimoniale
rappresentato dalla invalidità temporanea, appare equo liquidare a S.P.
la somma di euro 3.164,21 attuali (pari a euro 40,16 per ogni giorno di
invalidità assoluta, proporzionalmente ridotti in funzione del grado
percentuale della invalidità medesima). Anche in questo caso si
perviene a tale importo facendo applicazione analogica dei criteri
stabiliti dal ricordato d.m. 31.5.2006, per le ragioni già esposte.
3) Poiché l’illecito civile di cui è causa integra gli estremi del
reato di cui all’art. 590 c.p. (e comunque, anche a prescindere
dall’esistenza di reato, trattasi di illecito che ha leso interessi
della persona di rango costituzionale, e quindi obbliga l’offensore al
ristoro del danno morale anche a prescindere dall’esistenza di un
reato, secondo il più recente orientamento del giudice di legittimità:
cfr. Cass. 31.5.2003 n. 8827 e Cass. 31.5.2003 n. 8828, nonché Corte
cost. 11.7.2003 n. 233), ha altresì diritto al risarcimento di
quell’aspetto del danno non patrimoniale rappresentato dalla sofferenza
morale in senso stretto.
Considerata la natura del fatto, i postumi del sinistro, la durata
prolungata delle cure, la circostanza che la imperizia del convenuto ha
costretto l’attrice a patire l’estrazione di due elementi dentari (più
un terzo che dovrà essere estratto in futuro), notoriamente dolorosa e
stressante anche da un punto di vista psicologico; la giovane età ed il
sesso dell’attrice, circostanze rilevanti in questa sede essendo
notorio (art. 116 c.p.c.) che per le persone di sesso femminile e di
giovane età la eumorfia del proprio aspetto costituisce fonte di
gratificazione morale e di benessere psichico, appare equo liquidare
tale danno nella misura di euro 5.000 attuali.
4.6. Danno patrimoniale.
Per le spese mediche da sostenere in futuro in conseguenza dei fatti di
causa, letta e valutata la documentazione allegata, appare equo
liquidare all’attrice la somma di euro attuali.
Si perviene a tale importo sommando:
(a) l’importo di euro 8.955 indicato dal c.t.u., che può ritenersi congruo;
(b) l’importo di euro 1.000 (pari ad euro 200 per ogni dente) per la
cura degli elementi 2.4, 2.5, 2.7, 4.4 e 4.5, che il c.t.u. ha
riconosciuto essere stati oggetto di terapie endodontiche incongrue,
omettendo però di indicare il costo delle terapie necessarie per sanare
tali “incongruenze”.
4.7. Alla danneggiata va inoltre attribuita la somma di euro 3.418,85 a
titolo di risarcimento del danno da lucro cessante consistito nel
mancato godimento della somma liquidata a titolo di risarcimento, somma
che – ove posseduta ex tunc – sarebbe stata presumibilmente investita
per ricavarne un lucro finanziario.
Tale importo è stato determinato equitativamente ex art. 2056 co. I
c.c., secondo l’insegnamento della S.C. (cfr. Cass. Sez. Un. 17
febbraio 1995, n. 1712), col metodo seguente:
– a base di calcolo si è assunta non la somma sopra liquidata (cioè
espressa in moneta attuale), ma una somma pari alla media tra
l’ammontare del risarcimento devalutato all’epoca in cui è sorto il
credito (in base all’indice FOI elaborato dall’Istat), e l’ammontare
del risarcimento espresso in moneta attuale;
– su tale importo si è applicato un saggio di rendimento ricavato –
equitativamente – dalla media ponderata del rendimento dei titoli di
stato e dal tasso degli interessi legali (3,00%), in base alla
considerazione che parte attrice, se fosse tempestivamente entrata in
possesso della somma a lei spettante a titolo di risarcimento,
l’avrebbe verosimilmente impiegata (arg. ex art. 2727 c.c.) nelle più
comuni forme di investimento accessibili al piccolo risparmiatore (BOT,
CCT, obbligazioni);
– il periodo di temporanea indisponibilità della somma liquidata a
titolo di risarcimento è stato computato con decorrenza dalla data
dell’illecito, individuata nel 10.10.2006 .
Sull’intera somma liquidata a titolo di risarcimento, pari a euro
24.866,58, decorrono gli interessi legali dal giorno della
pubblicazione della sentenza.
5. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
il Tribunale, definitivamente pronunciando, così provvede:
-) condanna P.B. alla restituzione in favore di S.P. della somma di euro 8.447,79, oltre interessi come in motivazione;
-) condanna P.B. al pagamento in favore di S.P. della somma di euro 24.866,58, oltre interessi come in motivazione;
-) condanna P.B. alla rifusione in favore di S.P. delle spese del
presente giudizio, che si liquidano in euro 2960 per spese (comprensive
di compenso al c.t.u. ed al c.t.p.); euro 1258 per diritti di
procuratore; euro 2907 per onorari di avvocato, per complessivi euro
7125, oltre spese generali ex art. 14 d.m. 8.4.2004 n. 127, I.V.A. e
C.N.A..
Così deciso in Roma, nella tredicesima sezione civile del Tribunale, addì 30.4.2007.
Il Giudice est.
(dott. Marco Rossetti)