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Affidamento condiviso. Tribunale Bari, ordinanza 11/07/2006

TRIBUNALE DI BARI
I l P r e s i d e n t e
sciogliendo al riserva di cui al verbale di udienza del */*/2006 nella procedura di separazione personale dei coniugi D. G. e F. V. (n. ****/** R.G.);
letti gli atti, sentite le parti ed i loro difensori;
dà i seguenti provvedimenti temporanei ed urgenti (art. 708 cpc):
1-autorizza i coniugi a vivere separati con l’obbligo di rispettarsi e di comunicarsi eventuali cambiamenti di residenza;
2-affida, ai sensi dell’art. 155 c.c. (n.t.), il figlio minore G. (n. **/*/**) ad entrambi i genitori e:
I) dispone che il minore rimanga con la madre:
-a) il lunedì, il martedì, il mercoledì, il giovedì ed il venerdì di ogni settimana dalle 17,30 alle 19,30 e per il week-end – a settimana alterne – dalle ore 10,30 del sabato alle 20,00 della domenica successiva;
-b) nel periodo natalizio un anno a cominciare da quello in corso dalle ore 10,00 del 23/12 alle ore 20,00 del 3/1 e così per gli anni successivi;
-c) nel periodo pasquale dalle ore 10,00 del giorno di pasqua alle ore 20,00 del lunedì dell’angelo di tutti gli anni dispari;
-d) nel periodo estivo per 15 giorni a luglio e/o ad agosto, da individuarsi dai coniugi entro il 30/6 precedente (e per l’anno in corso entro il 20/7/2006);
II) dispone che la D. si faccia carico di tutte le esigenze del figlio durante il tempo della sua permanenza presso di lei, comprese quelle alimentari;
III) dispone che per il tempo restante il minore rimanga con il padre, il quale si curerà di tutte le sue restanti necessità di istruzione, educazione e mantenimento;
IV) spiega che la regolamentazione vuole contemperare il diritto del minore alla bigenitorialità con la esigenza che il suo attuale consolidato assetto di vita risulti il meno alterato possibile (da circa un anno il ragazzo convive, insieme alla sorella, con il solo padre e a carico di questo non sono emerse notazioni di inadeguatezza educativa); ricorda inoltre che la regolamentazione è suscettibile di tutte le modifiche che in futuro anche prossimo si rendessero necessarie o solo opportune;
V) dispone che ciascun genitore eserciti in maniera esclusiva la potestà genitoriale limitatamente alle questioni di ordinaria amministrazione durante il tempo in cui il minore resterà con ognuno di essi, rimanendo confermato che invece le decisioni di maggiore interesse relative alla sua istruzione, educazione e salute dovranno essere assunte dai coniugi di comune accordo;
3-attribuisce il godimento della casa familiare sita in A., via *** ** (di proprietà del genitore del F.), con i mobili ivi esistenti, al F. L., essendo conforme all’interesse del minore che egli continui a vivere nel suo consueto habitat domestico per il tempo in cui rimane con il padre (tempo che è maggiore di quello che trascorrerà con la madre); dispone che la D. possa ritirare i propri effetti personali, che ancora ivi si trovassero, entro il 31/8/2006;
4-tenuto conto delle statuizioni di cui sopra e nel rispetto del principio secondo il quale ciascuno dei genitori deve provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito, considerati i criteri determinativi indicati dall’art. 155, quarto comma, cc (n.t.), valutata altresì la capacità lavorativa della ricorrente, pone a carico della D. l’obbligo di versare al F., a decorrere dal 1/8/2006, la somma mensile di €. 100,00 per contributo al mantenimento del figlio minore;
5-dispone che il pagamento dell’assegno – soggetto ad adeguamento annuale ISTAT – avvenga entro il giorno 5 di ogni mese;
6- nomina giudice istruttore della causa il dott. Labellarte e fissa per il giorno **-**-**, ora di rito, l’udienza di comparizione e trattazione della causa innanzi a lui;
e
1) dispone che questa ordinanza sia comunicata al P.M.;
2) assegna alla parte ricorrente il termine del giorno 14-10-06 per il deposito di memoria integrativa, che deve avere il contenuto di cui all’art. 163 cpc, terzo comma, n. 2) 3), 4) 5) e 6);
3) assegna alla parte convenuta il termine del giorno 14-11-06 per la costituzione in giudizio ai sensi degli artt. 166 e 167, primo e secondo comma, cpc, nonché per la proposizione delle eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili di ufficio;
4) avverte la parte convenuta che la costituzione oltre il suddetto termine implica le decadenze di cui all’art. 167 e che oltre il termine stesso non potranno più essere proposte le eccezioni processuali e di merito non rilevabili di ufficio.
Si comunichi.
Bari, 10 luglio 2006
Il Presidente
Depositato in Cancelleria il 11 LUG 2006.

Affidamento condiviso. Corte Appello Trento, ordinanza 15/06/2006

La Corte d’Appello di Trento,
Sezione Prima,
riunita in camera di consiglio nelle persone dei Signori Magistrati:
1)Dott. Giuseppe Chimenz Presidente
2)Dott. Paola De Falco Consigliere
3)Dott. Bernardetta Santaniello Consigliere Rel.
ha emesso la seguente
ORDINANZA

nel procedimento in grado di appello iscritto a ruolo al n. 110/06 C.C. promosso con ricorso depositato in data 22/5/2006
DA
F. G., rappresentato e difeso dall’ avv.
RECLAMANTE
CONTRO
J. B. R., rappresentata e difesa dall’ avv. Roberta Toldo di Rovereto, con domicilio eletto presso lo studio dell’ avv.
RESISTENTE
E CON L’ INTERVENTO DEL
PROCURATORE GENERALE, nella persona del dott. Stefano Diez
OGGETTO / Separazione giudiziale
Reclamo avverso l’ ordinanza 11/5/2006 del Presidente del Tribunale di Trento, notificata il 19/5/2006
*******
Il Presidente del Tribunale di Trento, a seguito del ricorso per separazione presentato in data 27/2/2006 da J. B.R. nei confronti dell’odierno reclamante, stante l’esito negativo del tentativo di conciliazione ed in mancanza della disponibilità delle parti ad una soluzione consensuale, adottava i provvedimenti provvisori diretti a disciplinare i rapporti tra i coniugi e l’affidamento della figlia minore L. di anni quattro, fissando udienza davanti al G.I. per la fase di trattazione della vertenza.
In particolare il Presidente, tralasciato qualsiasi provvedimento in ordine all’assegnazione della casa coniugale, per la quale era stato sottoscritto solo un preliminare di vendita ed erano insorti contrasti tra i due acquirenti in merito alla risoluzione o al mantenimento del contratto:
– affidava la figlia alla madre, con il diritto/dovere per il padre di tenerla con sé un pomeriggio alla settimana ed il sabato o la domenica a settimane alterne, nonché per due settimane non consecutive nelle vacanze estive, eventualmente anche con i nonni paterni, ed anche in caso di impedimento lavorativo della moglie e della sorella unilaterale della stessa, avvalendosi se necessario dell’aiuto dei nonni;
– poneva inoltre a carico del padre l’obbligo di contribuire al mantenimento della minore con il versamento di un assegno mensile rivalutabile di € 250,00 e con l’accollo del 50% delle spese mediche e scolastiche;
– demandava al Servizio Sociale di proseguire nell’attività di monitoraggio già disposta dal Tribunale per i minorenni, in precedenza investito dal reclamante per eventuali provvedimenti limitativi della potestà genitoriale della B..
La decisione, in merito all’affidamento della minore ed alla disciplina del diritto di visita del padre, risultava sommariamente motivata dalla forte conflittualità caratterizzante i rapporti tra i coniugi ed i rispettivi nuclei familiari, in un contesto in cui il Presidente poneva tuttavia l’accento sulla responsabilità per il padre di partecipare attivamente alle decisioni di maggior rilievo concernenti l’educazione, cura ed istruzione della figlia e sulla possibilità di esercitare disgiuntamente la potestà genitoriale nei confronti di terzi (scuola, insegnati, medici, etc.).
Con il reclamo il F. evidenziava che quanto statuito dal Presidente del Tribunale collideva con le previsioni della l. 54/06, non sussistendo valide ragioni per non disporre l’affidamento condiviso a tutela dell’interesse della minore ed anzi emergendo profili di inaffidabilità della figura materna; aggiungeva che il provvedimento era caratterizzato da una motivazione contraddittoria ed illogica e finiva per privilegiare la controparte senza valorizzare adeguatamente il forte legame esistente tra la minore e la famiglia del padre, idonea ad assicurarle una maggiore stabilità di cura ed assistenza anche in considerazione del lavoro svolto dalla B. con reiterate turnazioni notturne; riteneva inoltre ingiustificata la forte compressione del suo diritto di visita in contrasto anche con le richieste avanzate dalla stessa controparte.
Chiedeva pertanto che, previa ampia istruttoria con espletamento di consulenza psicologica sulla minore e sulla capacità genitoriale della madre ed acquisizione di relazione aggiornata del Servizio Sociale, le statuizioni adottate dal Presidente del Tribunale fossero modificate con affido della minore ad entrambi i genitori, con ampliamento dei tempi di frequentazione tra lui, i nonni e la minore, con revoca dell’obbligo di versamento dell’assegno di mantenimento e ripartizione paritaria degli oneri economici tra i due coniugi e con imposizione del divieto di espatrio della figlia senza il consenso di entrambi i genitori.
Si costituiva in questa sede la B. per sollecitare il rigetto del reclamo e la conferma dei provvedimenti presidenziali, evidenziandone il carattere provvisorio e comunque la correttezza sostanziale in considerazione della forte conflittualità esistente tra le parti e del prevalente interesse di tutela della minore.
Interveniva il Procuratore Generale, dichiarandosi favorevole ad un ampliamento del diritto di visita del reclamante anche per le ferie estive ed all’imposizione dell’assenso di entrambi i genitori per eventuali spostamenti all’estero della minore; in via subordinata instava per la conferma del provvedimento impugnato.
Questa Corte ritiene che il reclamo proposto sia parzialmente fondato e debba trovare accoglimento nei limiti di seguito specificati.
In via preliminare, va evidenziato il carattere necessariamente sommario delle decisioni presidenziali e conseguentemente i limiti dei poteri di controllo affidati al giudice del reclamo, con la conseguenza che possono assumere rilievo ed essere eliminati soltanto errori decisionali evidenti e frutto di una non corretta valutazione degli elementi di massima acquisiti nella fase iniziale del processo di separazione, senza alcuna anticipazione dell’istruttoria vera e propria demandata al G.I.
Ciò premesso, si rileva che nella fattispecie concreta la scelta di privilegiare l’affidamento della minore in via esclusiva alla madre non appare giustificata dagli elementi acquisiti e dalla storia personale della minore, la quale dopo la cessazione della convivenza dei genitori e fino al momento della scelta operata in sede di separazione ha sostanzialmente frequentato liberamente anche la casa paterna senza subire particolare pregiudizio rispetto a quello cui è stata indebitamente esposta per l’irresponsabile condotta di entrambi i genitori e dei relativi familiari, alla luce delle denunce fatte da entrambi gli schieramenti.
Non vi è pertanto specifico motivo per disattendere la scelta prioritaria dell’affidamento condiviso, secondo la recente riforma degli artt. 155 e seg. cc, ferma restando, in relazione all’età della minore, che da poco ha compiuto i quattro anni, la sua collocazione prevalente presso l’abitazione della madre, risultando pregiudizievole una modifica dell’assetto raggiunto dopo la fine della convivenza tra i genitori, in quanto costituirebbe solo fonte di nuovo disagio per la stessa.
È auspicabile che la comune e paritaria corresponsabilità dei genitori nella cura della figlia possa far maturare negli stessi la necessità di mantenere rapporti civili, dimostrando con i fatti e non a parole l’effettivo volontà di farsi carico del benessere della stessa, raggiungendo possibilmente una definizione consensuale della separazione: è comunque opportuno in ragione dell’attuale situazione di forte conflitto che l’esercizio della potestà genitoriale per le questioni di ordinaria amministrazione avvenga in modo disgiunto da parte del genitore che di volta in volta sia materialmente preposto alla cura della minore.
Per quanto riguarda l’estensione del diritto di visita padre/figlia, non risultano addotte e non sono emerse ragioni che ne giustifichino la compressione rispetto a quanto finora avvenuto con eliminazione della possibilità che la minore dorma nella casa della famiglia paterna.
Va quindi fissato, anche in adesione al parere espresso dal Procuratore Generale, il seguente prospetto dei periodi in cui la minore starà con il padre o con i nonni paterni, compatibilmente con gli impegni lavorativi del primo e tenuto conto dell’età della minore:
– un fine settimana, comprendente il sabato e la domenica con relativo pernottamento, a settimane alterne;
– un pomeriggio nella settimana in cui L. trascorre il fine settimana con il padre;
– due pomeriggi nella settimana in cui L. trascorre il fine settimana con la madre;
– due settimane non consecutive nel periodo delle vacanze estive;
– tre giorni nelle vacanze natalizie comprendenti alternativamente il Natale o il Capodanno;
– due giorni nelle vacanze pasquali comprendenti ad anni alterni il giorno di Pasqua;
– eventuali altri giorni in cui la B., per motivi di lavoro, non possa accudire la figlia direttamente o a tramite la sorella, Assabio Natalie.
In relazione alle altre doglianze espresse dal reclamante, si ritiene che:
– le articolate richieste istruttorie debbano trovare adeguato riscontro nella fase ancora da svolgere davanti al G.I.;
– debba essere confermato l’obbligo per il padre di corrispondere alla controparte l’assegno di mantenimento fissato dal Presidente in ragione del fatto che la minore è collocata prevalentemente presso la casa materna;
– non sia stata operata alcuna compressione dei rapporti nonni/nipote dal momento che è stato espressamente previsto che quando la minore è con il padre possa liberamente frequentare anche i nonni;
– non sussistano le condizioni per limitare la facoltà della B. di far ricorso all’aiuto e sostegno della sorella, stante la modestia ed il carattere occasionale dell’episodio denunciato dal reclamante in rapporto ad un piccolo livido riscontrato sulla figlia e ricondotto da questa ad un intervento sanzionatorio della zia;
– il problema dei turni di lavoro della B., con la conseguente difficoltà di programmare gli spostamenti della minore, risulti adeguatamente affrontato dal competente Servizio Sociale in base alla delega ricevuta, come emerge dalla relazione trasmessa in data 14/6/2006;
– sia invece opportuno, in ragione della diversa nazionalità di origine delle parti, disporre che eventuali viaggi all’estero della minore avvengano con il consenso espresso di entrambi i genitori, come richiesto anche dal Procuratore Generale.
La natura della vertenza ed il carattere interlocutorio della fase non consentono alcuna statuizione in ordine alle spese.
P.Q.M.
In parziale riforma dell’ordinanza presidenziale impugnata ed in parziale accoglimento del reclamo proposto
Dispone
l’affidamento condiviso della minore L. ad entrambi i genitori con collocamento prevalente della stessa presso l’abitazione della madre e con autorizzazione ai genitori all’esercizio disgiunto della potestà genitoriale per le questioni ordinaria amministrazione
stabilisce
che gli incontri della minore con il padre siano così disciplinati:
– un fine settimana, comprendente il sabato e la domenica con relativo pernottamento, a settimane alterne;
– un pomeriggio nella settimana in cui L. trascorre il fine settimana con il padre;
– due pomeriggi nella settimana in cui L. trascorre il fine settimana con la madre;
– due settimane non consecutive nel periodo delle vacanze estive;
– tre giorni nelle vacanze natalizie comprendenti alternativamente il Natale o il Capodanno;
– due giorni nelle vacanze pasquali comprendenti ad anni alterni il giorno di Pasqua;
– eventuali altri giorni in cui la B., per motivi di lavoro, non possa accudire la figlia direttamente o a tramite la sorella, Assabio Natalie;
dispone
che eventuali viaggi all’estero della minore avvengano previo il consenso di entrambi i genitori
conferma
per il resto il provvedimento impugnato.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di competenza e per la trasmissione di copia del presente provvedimento al Servizio Sociale del Comune di Trento per opportuna conoscenza in relazione ai compiti da svolgere.
Trento 15 giugno 2006
IL CONSIGLIERE EST. IL PRESIDENTE
(Dott.B.Santaniello) (Dott.G.Chimenz)

Affidamento condiviso.Trib. Catania, sentenza 12/07/2006

Repubblica Italiana
in nome del Popolo Italiano
__________
IL TRIBUNALE DI CATANIA
Prima Sezione Civile
__________
composto dai magistrati
dr Antonio Maiorana Presidente
dr Giovanni Dipietro Giudice
dr Francesco Distefano Giudice rel. ed est.
ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. (…) R.G.Sep., avente ad oggetto separazione personale promossa
DA
(…)
rappr. e dif. per mandato a margine del ricorso introduttivo del giudizio dall’avv (…)
presso il cui studio è elettivamente domiciliato.
Attrice
CONTRO
(…)
rappr. e dif. per mandato a margine del ricorso introduttivo del giudizio dall’avv (…)
presso il cui studio è elettivamente domiciliato.
Convenuto
Con l’intervento del pubblico ministero.
Rimessa al collegio per la decisione all’esito dell’udienza del (…), sulle conclusioni precisate come in atti.
*******
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il (…) (…) chiedeva a questo Tribunale la pronuncia della sua separaione personale da (…).
Esponeva la ricorrente che il matrimonio, celebrato con il rito concordatario il (…) e dal quale (in data (…) ) era nata la figlia (…) era entrato in crisi a causa del comportamento poco maturo del marito, fonte di incomprensioni e insanabili contrasti; chiedeva di pronunciare la chiesta separazione con affidamento a sé della minore ed un assegno a titolo di mantenimento per sé e per la minore (da quantificarsi quest’ultimo in €. 800,00 al mese) oltre all’assegnazione della casa coniugale (di sua proprietà).
Rimasto vano il tentativo di conciliazione delle parti all’udienza presidenziale del (…) il giudizio, emesso il provvedimento ex art. 708 c.p.c. (affidamento della minore alla madre, assegnazione alla stessa della casa coniugale ed assegno a carico del (…) per il mantenimento della figlia di €. 450,00) proseguiva nel merito.
Il convenuto si costituiva in giudizio e, nel chiedere l’addebito della separazione a carico della ricorrente per il comportamento tenuto, esponeva che le sue capacità economiche (quale insegnante di ruolo) non erano tali da assecondare le pretese della ricorrente.
Modificata in corso di causa l’ordinanza presidenziale (riduzione dell’assegno ad €. 330,00 con decorrenza dalla data dell’udienza presidenziale) ed acquisiti gli ulteriori documenti offerti in produzione, la causa veniva rimessa al collegio che la decideva sulle conclusioni precisate come in atti.
Il pubblico ministero chiedeva pronunziarsi la separazione dei coniugi.——–
MOTIVI DELLA DECISIONE
Nel merito la domanda di separazione è fondata.
Invero, la separazione di fatto tra i coniugi, l’insuccesso del tentativo di conciliazione, la natura delle doglianze esposte e il comportamento mantenuto da entrambe le parti nella conduzione del presente giudizio sono tutti elementi che comprovano la sussistenza di una situazione tale da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza.
La responsabilità della separazione non è da ritenersi peraltro addebitabile, sulla scorta di quanto emerso in giudizio, a nessuno dei coniugi.
Va ricordato infatti in proposito che, ai fini dell’addebitabilità della separazione, il giudice deve accertare che la crisi coniugale sia ricollegabile al comportamento oggettivamente trasgressivo di uno (o di entrambi) i coniugi e che sussista altresì un preciso nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell’intollerabilità della convivenza (Cass. n. 279/2000): ciò che nella specie, nel contesto della complessiva situazione di crisi matrimoniale venutasi a determinare, non emerge dagli atti di causa dai quali piuttosto si evince che la rottura del vincolo affettivo è scaturita da un progressivo logoramento del rapporto di coppia.
Quanto all’affidamento della minore (oggi di anni 6) deve senz’altro accogliersi l’istanza di affidamento condiviso avanzata dal resistente alla luce della recente L.54/2006 che ha profondamente innovato l’art.155 c.c.
La legge di riforma in esame infatti nel prevedere che il giudice valuti prioritariamente la possibilità che i figli restino affidati ad entrambi i genitori (art.155 comma 2 c.c.) ha inteso prevedere come regola quella che prima era un eccezione riaffermando così il diritto alla bigenitorialità.
L’affidamento condiviso non può ritenersi inoltre precluso di per sé dalla mera conflittualità esistente tra i coniugi, poiché altrimenti avrebbe solo un applicazione residuale, coincidente con il vecchio affidamento congiunto; e ciò anche considerato il fatto che l’uno dei coniugi potrebbe strumentalmente innescare in via unilaterale i conflitti al fine magari di orientare il decidente verso un affidamento esclusivo.
L’affidamento “esclusivo” (nel quale il coniuge non affidatario perde l’esercizio della potestà ordinaria – secondo una interpretazione sistematica delle norme che va al di là del dato meramente letterale come da questo Tribunale in altre occasioni rilevato) va quindi previsto in via di eccezione solo in presenza del manifestarsi di concrete ragioni contrarie all’interesse del minore (art. 155-bis) che lo giustifichino, quali in via esemplificativa – oltre quanto sopra precisato – la obiettiva lontananza del genitore, il suo stato di salute (specie psichica), l’insanabile contrasto con i figli, la sua anomala condotta di vita (ad esempio se detenuto o altro) – fattispecie tutte non sussistenti nel caso in esame.
Peraltro nell’ambito dell’affidamento condiviso in ipotesi di conflittualità o comunque di opportunità di programmazione l’intervento del giudice soccorrerà oltre a stabilire con quale dei genitori la prole debba prevalentemente convivere, a disciplinare i diversi tempi di permanenza e la “elasticità” o – viceversa – “rigidità” delle disposizioni impartite al riguardo verrà graduata caso per caso.
Nella specie la espletata CTU ha messo in rilievo da un lato che la minore non presente segni di particolare disagio dalla frequentazione della madre con altra persona (ciò che tuttavia sarà opportuno monitorare nel tempo poiché dalle non contestate allegazioni risulta che tale soggetto ha precedenti penali non meglio specificati); dall’altro che soffre quando il padre è assente e tende a frequentarlo assiduamente e con entusiasmo, tanto che la stessa ricorrente ha riferito alla consulente che quando non lo vede è nervosa e che spesso preferisce andare da lui; per tale ragione la frequentazione col padre (anche per la meritoria condotta della madre che a ciò ha consentito) è avvenuta in maniera alquanto elastica e anche al di là del pur ampio diritto di visita previsto con l’ordinanza presidenziale; inoltre la pur grave patologia ( (…), ancora allo stato iniziale) di cui soffre la ricorrente non comporta allo stato significativi impedimenti alla cura e all’accudimento della figlia.
Tutto quanto sopra induce il collegio a ritenere che non sia di pregiudizio alla minore una suddivisione paritaria dei tempi di permanenza nell’arco della settimana e precisamente i primi tre giorni con la madre e gli altri tre col padre, alternando le domeniche; nonché alternando 15 giorni consecutivi ciascuno nelle vacanze estive; durante la festività natalizie e quelle pasquali il periodo di rispettiva permanenza comprenderà la metà del periodo in modo che vengano ad alternarsi di volta in volta il giorno di natale e capodanno o quello di Pasqua e il lunedì dell’Angelo.——
Va altresì previsto l’esercizio separato della potestà, nel senso che nei periodi di rispettiva permanenza ciascuno – disgiuntamente – e quindi senza l’accordo interno dell’altro (o anche contro la sua volontà) potrà effettuare le scelte di ordinaria amministrazione che più riterrà opportune (per le questioni di maggior interesse invece in caso di disaccordo la decisione andrà rimessa al giudice art. 155 comma 3 c.c.).
Non v’è luogo inoltre per un formale provvedimento di assegnazione della casa coniugale di esclusiva proprietà della (…),che ne avrà la esclusiva disponibilità secondo le ordinarie regole civilistiche (inammissibile in questa sede è invece la domanda relativa ai bei mobili avanzata dal resistente).
Per quanto riguarda il profilo economico va premesso che il dovere contributivo previsto dagli artt. 30 Cost., 147 e 148 c.c. che su ciascun genitore grava in misura proporzionale al proprio reddito e che rimane intatto pur nel dissolvimento del consortium vitae, può assumere modalità diverse di soddisfacimento legate all’affidamento dei figli e al concreto atteggiarsi delle condizioni di vita, reddituali e lavorative dei coniugi in lite.
L’ottica in cui si muove il legislatore è quella per cui, tendenzialmente, nel rapporto con i figli nulla con l’affidamento condiviso dovrebbe mutare se non nei limiti in cui la non più costante presenza giornaliera dell’uno incide nel far fronte alle quotidiane necessità economiche della prole.
Il modo in cui far fronte al dovere contributivo può esser: – diretto (ciascuno dei genitori provvede al mantenimento, recita la norma) e cioè provvedendo in proprio all’acquisto dei beni e al pagamento delle spese necessarie; ovvero indiretto e cioè mediante il versamento all’altro coniuge della somma in denaro a conguaglio che residua ove il modo diretto non copra interamente il budget a proprio carico (art. 155 comma 4 “il giudice stabilisce”ove necessario” la corresponsione di un assegno”).
Nel caso in esame si tratta di genitori con pari potenzialità di reddito, in quanto entrambi insegnanti con una retribuzione mensile di circa €. 1.200,00 (gli eventuali maggiori introiti del resistente per altre occasionali attività di docenza verrebbero comunque compensati dalla maggiori spese a suo carico per la locazione di un immobile, invece non gravanti sulla stessa in quanto proprietaria della casa coniugale): pertanto a fronte del previsto pari periodo di permanenza non v’è necessita di imporre all’uno o all’altro il versamento di un assegno periodico, fermo restando che ciascuno dovrà provvedere al mantenimento diretto nei periodo di rispettiva permanenza e sarà tenuto al 50% delle spese scolastiche e di vestiario e di quelle per le attività sportive o ricreative cui abbia dato il suo assenso, nonché al 50% di quelle di carattere sanitario (e ciò dalla data di pubblicazione della presente sentenza avendo il collegio valutato ad oggi la situazione, mentre valgono per il pregresso le statuizioni adottate in via provvisoria).
Coerentemente infine va rigettata la domanda di assegno di mantenimento per sé avanzata dalla ricorrente
In relazione alla natura della controversia le spese processuali vanno interamente compensate tra le parti..
P.T.M.
Il Tribunale, definitivamente decidendo, pronuncia la separazione personale dei coniugi (…) e (…).
Affida la figlia minore ad entrambi i genitori.
Regolamenta i rispettivi tempi di permanenza come in parte motiva.
Fa carico a ciascuno dei genitori di provvedere al mantenimento diretto della minore nei periodo di rispettiva permanenza, nonché di far fronte al 50% delle spese scolastiche e di vestiario e di quelle per le attività sportive o ricreative cui abbia dato il suo assenso, nonché al 50% di quelle di carattere sanitario (e ciò dalla data di pubblicazione della presente sentenza ferme restando per il pregresso le statuizioni adottate in via provvisoria).
Rigetta ogni altra domanda.
Compensa interamente tra le parti le spese di giudizio.
Cosi deciso in Catania il 16.6.2006
Il Giudice est Il Presidente
Depositato in Cancelleria
oggi 12/7/2006

Affidamento condiviso. Tribunale Napoli 12/10/2006

Il Tribunale di Napoli
– I Sezione civile –
così composto:
Dott. Carlo Gagliardi Presidente
Dott. Marianna Lopiano Giudice rel.
Dott. Geremia Casaburi Giudice
riunito in camera di consiglio ha pronunziato il seguente
D E C R E T O
nella causa civile iscritta al n. (…) del ruolo generale degli affari contenziosi dell’anno 2006 avente ad oggetto: modifica condizioni divorzio (assegnazione della casa coniugale) – conflitto sull’esercizio della potestà genitoriale e vertente
TRA
(…), elettivamente domiciliato in (…), alla via (…) n. (…), presso lo studio dell’avv. (…), dalla quale è rappresentato e difeso per procura in calce al ricorso
Ricorrente
E
(…), elettivamente domiciliata in (…), al (…) n. (…), presso lo studio dell’avv. (…), dalla quale è rappresentata e difesa per procura a margine della comparsa di risposta
Resistente
E
Con l’intervento del Pubblico Ministero, che con nota del 10.10.2006, preso atto del superamento del motivo di ricorso attinente alla partecipazione della minore al catechismo in conseguenza della concorde volontà al riguardo manifestata dalle parti, ha concluso per l’accoglimento del ricorso quanto all’assegnazione della casa coniugale e per la prosecuzione della frequenza scolastica nell’attuale istituto, centro delle relazioni sociali ed affettive della minore, non risultando lo stesso inadeguato alla sua formazione, ferma la possibilità di rivedere la scelta nel prosieguo della carriera scolastica alla luce delle concrete offerte formative assicurate.
FATTO E DIRITTO
1.- Con ricorso depositato il (…) 2006, (…), premesso che con sentenza n. ***/04 il Tribunale di Napoli aveva pronunciato il suo divorzio da (…) (sentenza parzialmente riformata, quanto alla decorrenza dell’assegno divorzile, dalla sentenza n. ***/05 della Corte di Appello di Napoli, passata in giudicato), chiedeva revocarsi l’assegnazione in favore della (…) della casa coniugale, in comproprietà tra i coniugi, avendo la predetta contratto nuove nozze il (…).2005. Premesso altresì che con decreto ex art. 9 l. div. del 2-16/3/2006 il Tribunale di Napoli aveva disposto l’esercizio condiviso della potestà genitoriale e, dunque, l’assunzione concordata da parte dei genitori delle scelte più importanti relative alla figlia (quali quelle in materia di educazione religiosa e scolastica), che nel marzo 2006 la (…), nonostante il rifiuto del ricorrente, aveva iscritto la bambina alla Scuola (…) presso la (…), dove seguiva un programma di studio diverso da quello delle scuole italiane, mentre, nonostante le sollecitazioni dell’istante, ancora non aveva provveduto ad iscrivere la figlia, ormai di quasi dieci anni, al catechismo; tanto premesso chiedeva autorizzarsi ex art. 155 ter c.c. la reiscrizione della figlia alla V Classe della Scuola Elementare (…), previo rilascio del Nulla Osta della Scuola (…) presso la (…), e la iscrizione della stessa figlia al corso di Catechismo per la !^ Comunione presso la Parrocchia (…) in (…), viale (…). Con vittoria di spese, diritti ed onorario in caso di opposizione.
Instauratosi ritualmente il contraddittorio, con comparsa depositata il (…).2006 si costituiva la (…), la quale premetteva, in fatto, che tra gli ex coniugi permaneva una fortissima conflittualità ed una totale impossibilità di dialogo e confronto e che anche il suo secondo matrimonio era sfociato in un ricorso di separazione consensuale. Ciò posto, chiedeva rigettarsi la richiesta di revoca dell’assegnazione della casa coniugale per essere venuto meno, con la separazione dal secondo marito, il presupposto fondante l’iniziativa di controparte, per essere la istante comproprietaria dell’immobile e per il grave danno che certamente la figlia minore subirebbe a causa della perdita del suo habitat domestico, fondamentale punto di riferimento affettivo nel suo processo di crescita; in via gradata, in ipotesi di accoglimento dell’avversa domanda, chiedeva disporsi a carico del (…) un aumento dell’assegno pari alla metà del canone dell’immobile de quo e, in via riconvenzionale, aumentarsi di ulteriori € 500,00 mensili l’assegno di mantenimento della minore anche alla luce delle spese scolastiche da affrontare (come disposto dalla Corte d’Appello). Deduceva, altresì, di aver già comunicato al (…), a mezzo fax, l’iscrizione della minore al corso di catechismo a decorrere da settembre c.a. e si opponeva alla richiesta di reiscrizione della figlia alla V classe della scuola (…) ritenendo inopportuno e controproducente interrompere un ciclo di studi proprio nella sua fase conclusiva e spezzare le prime amicizie della bambina.
Con note depositate il (…).2006, il (…) si opponeva alla spiegata domanda riconvenzionale, inammissibile ed infondata anche in considerazione del rigetto già pronunciato dal Tribunale con il citato provvedimento 16.3.06, ribadiva la sussistenza del presupposto per la revoca dell’assegnazione della casa coniugale (nuove nozze) nonché l’opportunità di autorizzare il genitore ad iscrivere la bambina, per il successivo anno scolastico, alla Scuola Media Statale (…), attesi anche i modesti risultati scolastici della stessa (appena sufficiente).
All’udienza camerale del (…).2006, sentite le parti ed i difensori costituiti, formulata dalla difesa del ricorrente domanda di affido condiviso o alternato della minore, se del caso previa ctu, sul presupposto di ostacoli nuovamente frapposti al padre nei rapporti con la minore, il Tribunale si riservava la decisione, assegnando termine di giorni dieci per le conclusioni del P.M.
2.- Preliminarmente e con riferimento alle domande di modifica delle condizioni del divorzio avanzate in via principale e riconvenzionale dalle parti, va dichiarata ammissibile, nell’ambito del presente procedimento camerale, la domanda di affido condiviso o alternato della minore (con previsione di soggiorni quindicinali della stessa presso il padre o presso la madre) dalla difesa del (…) proposta solo all’udienza del (…).2006; trattasi, invero, di domanda formulata in applicazione della nuova disciplina introdotta dalla legge 8.2.2006 n. 54 e sul presupposto di difficoltà nei rapporti padre-figlia sopravvenute al deposito del ricorso, alla quale la difesa di controparte ha puntualmente resistito nel merito.
La domanda è, tuttavia, infondata e va, pertanto, rigettata.
Con decreto in data 16.3.2006 questo Tribunale ha, invero, già accolto la domanda di esercizio congiunto della potestà genitoriale e di ampliamento del diritto di visita avanzata dal (…) in precedente analogo procedimento, rilevando tuttavia che, come già evidenziato dal consulente psicologo nel giudizio di divorzio, <>.
Alla stregua delle riferite considerazioni è dunque, evidente, a giudizio del Tribunale, che le difficoltà nel rapporto con la figlia denunciate dal (…) e gli aspetti di resistenza-diffidenza ed ansietà che a dire della (…) caratterizzano il legame della minore con il padre, altro non rappresentano che specifiche conseguenze della persistente conflittualità e mancanza di collaborazione che, evidentemente, ancora oggi connota il rapporto all’interno della coppia genitoriale. Con riferimento a tale contesto relazionale risulta, quindi, assolutamente incongrua la domanda di affido condiviso o alternato della minore (di fatto tendente a sezionare tempi, spazi e modalità di rapporto con la figlia da parte di ciascun genitore piuttosto che a conseguire una gestione condivisa della stessa figlia), tanto più che, per quanto dedotto in udienza dal ricorrente, questi, benché anagraficamente ancora residente in (…), al (…) n. (…) (dove asseritamene vivrebbe con la minore), di fatto lavora a (…) presso la Banca (…) ed abita con la seconda moglie nella suddetta città.
3. – Analogamente va rigettata la domanda di revoca dell’assegnazione della casa coniugale proposta dal (…), in applicazione del nuovo disposto dell’art. 155 quater c.c. (applicabile anche in sede divorzile), sul presupposto del matrimonio contratto il (…) dalla (…), originaria assegnataria dell’immobile.
La norma in esame dispone testualmente al primo comma che <>; il comma prosegue prescrivendo che <<Dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà>> e che <>.
Il tenore letterale della richiamata disposizione evidenzia, a giudizio del Tribunale, una palese incoerenza tra il principio regolatore della materia affermato nell’incipit della norma (che collega il diritto di godimento della casa all’interesse dei figli, minorenni o maggiorenni non autosufficienti, conviventi) e la previsione della revoca pressochè automatica dell’assegnazione in ipotesi di convivenza more uxorio o di nuovo matrimonio da parte del genitore assegnatario, potendo quest’ultima comportare una irragionevole ricaduta sugli incolpevoli figli, effettivi beneficiari dell’assegnazione, delle conseguenze della condotta dei genitori.
Trattasi, allora, di verificare se ed in quali limiti la novella legislativa è effettivamente idonea a fondare la domanda del (…), vincolando l’interprete al prospettato automatismo della revoca, ovvero se, anche in queste ipotesi, residua spazio per un’interpretazione in grado di assicurare un adeguato contemperamento tra gli interessi, costituzionalmente rilevanti, concretamente in conflitto.
Al riguardo devesi, in primo luogo, rilevare che, nella parte iniziale, il primo comma dell’art. 155 quater ricalca sostanzialmente il tenore dei previgenti artt. 155 comma 4 c.c. e 6 comma 6 l. div. (secondo cui l’abitazione della casa coniugale spetta di preferenza, e ove sia possibile, al coniuge cui sono affidati i figli ovvero con il quale i figli convivono oltre la maggiore età). Invero, l’opzione prioritaria per l’affidamento del minore ad entrambi i genitori operata dal legislatore della novella ha fatto sì che al criterio dell’assegnazione preferenziale al genitore affidatario della prole si è sostituito, quale criterio di valutazione, il parametro dell’interesse prioritario dei figli, posto che anche in presenza di siffatta modalità di affidamento deve procedersi all’assegnazione della casa coniugale adottando la soluzione in concreto più rispondente all’interesse del figlio. Così, nell’ipotesi in cui sia indicata come residenza privilegiata dei figli la residenza dell’uno o dell’altro genitore, il godimento della casa coniugale sarà attribuito di preferenza al genitore con cui i figli minori convivono stabilmente, mentre in caso sia prevista una permanenza temporalmente paritaria del minore presso l’uno o l’altro genitore secondo periodi alternati periodici, qualora non si adotti la soluzione (invero di dubbia utilità per i minori) della stabile permanenza del minore nella ex casa coniugale e dell’alternanza dei genitori, dovranno venire in considerazione elementi ulteriori di valutazione, sempre alla stregua del parametro dell’interesse dei figli (ad esempio, per i figli minori in età scolare, in caso di vicinanza dell’abitazione familiare al plesso scolastico, potrà privilegiarsi la permanenza nell’abitazione del genitore che abitualmente abbia assolto il ruolo di accompagnare i figli a scuola e prelevarli al termine delle ore di lezione).
Risulta in ogni caso costante, in ipotesi di dissoluzione dell’unità familiare (sia con riferimento alla famiglia legittima che alla famiglia di fatto, stante l’equiparazione operata dall’art. 30 Cost), la scelta del legislatore di privilegiare l’interesse della prole nell’assegnazione della casa coniugale e tale scelta trova la sua ragione fondante nel rilievo che quell’insieme di regole che costituiscono l’essenza del rapporto di filiazione e che si sostanziano negli obblighi di mantenimento, di istruzione e di educazione della prole trova fondamento nell’art. 30 della Costituzione che richiama i genitori all’obbligo di responsabilità (cfr. Corte Costituzionale sent. 6-13 maggio 1998 n. 166). Al riguardo è, in effetti, sufficiente considerare che in base al disposto degli artt. 147 e 148 del c.c. in materia di mantenimento dei figli legittimi e di ripartizione dei relativi oneri tra i genitori, entrambi i genitori hanno l’obbligo, di carattere assoluto ed indissolubilmente legato al rapporto di filiazione, di mantenere, istruire ed educare la prole, sia essa legittima o naturale, tenendo conto delle capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, obbligo che incombe su di essi in proporzione delle rispettive sostanze e secondo la propria capacità di lavoro professionale o casalingo e che non è certamente limitato al soddisfacimento dei bisogni primari del beneficiario, ma comprende tutto quanto sia necessario per assicurargli, secondo criteri di normalità, un tenore di vita adeguato alla posizione socio-economica dei genitori (cfr. Corte di Appello di Roma, Sezione per i minorenni, sentenza 29.1.1998 n. 269).
Ebbene, proprio con la citata sentenza. 166/98, la Corte Costituzionale, dopo aver ribadito che il concetto di mantenimento comprende in via primaria il soddisfacimento delle esigenze materiali, connesse inscindibilmente alla prestazione dei mezzi necessari per garantire un corretto sviluppo psicologico e fisico del figlio, ha poi espressamente evidenziato come tra tali esigenze, in ordine all’effettivo adempimento del predetto obbligo, assumono profonda rilevanza la predisposizione e la conservazione dell’ambiente domestico, considerato quale centro di affetti, di interessi e di consuetudini di vita, che contribuisce in misura fondamentale alla formazione armonica della personalità del figlio. Sotto il profilo considerato, dunque, l’obbligo di mantenimento si sostanzia nell’assicurare ai figli l’idoneità della dimora, intesa quale luogo di formazione e sviluppo della personalità psico-fisica dei medesimi, onde il suo adempimento non può in alcun modo essere condizionato dall’assenza del vincolo coniugale tra i genitori trovando la sua fonte nel rapporto di filiazione.
Il giudice delle leggi, intervenuto in relazione ad un’ipotesi di famiglia di fatto, ha quindi sostenuto che anche in tale ipotesi, pur in difetto di una specifica norma che disciplini le conseguenze, rispetto ai figli, della cessazione del rapporto di convivenza di fatto tra i genitori, il parametro di riferimento per l’interprete è costituito, in coerenza con i principi costituzionali, dall’interesse del figlio alla abitazione come al mantenimento correlato alla posizione di dovere facente capo al genitore; ha poi ulteriormente precisato che il principio di tutela del minore attraverso l’assegnazione in godimento dell’abitazione, oltre che la determinazione di una somma dovuta per il suo mantenimento, è un principio immanente nell’ordinamento (desumibile dall’interpretazione sistematica degli artt. 261, 147 e 148 del codice civile in relazione all’art. 30 della Costituzione) e, in uno al correlato principio di responsabilità genitoriale, deve, pertanto, ispirare l’interprete nell’assegnazione della casa familiare in tutte le ipotesi di cessazione di un rapporto di convivenza more uxorio allorché vi siano figli minori (o maggiorenni non economicamente autosufficienti).
La rilevanza e prevalenza del principio di tutela della prole nelle indicate sue estrinsecazioni è stata, quindi, pienamente recepita dal legislatore, il quale, tuttavia, nel dettare la disciplina della materia nell’ambito dei giudizi di separazione e di divorzio (art. 155 comma 4 c.c. nella previgente formulazione e 155 quater novellato; art. 6 comma 6 Legge 898/1970, come modificato dalla legge 74/1987), ha del pari chiaramente espresso la volontà di non svincolare l’assegnazione (in favore del coniuge non titolare di diritti sulla casa o titolare di diritti pro quota) dal presupposto indefettibile che il beneficiario sia affidatario della prole e, in presenza di tale presupposto, ha da ultimo precisato (art. 155 quater) che il giudice deve tener conto dell’assegnazione nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, in considerazione dell’eventuale titolo di proprietà (in altri termini, della compressione del diritto di godimento si dovrà tener conto nella previsione e quantificazione dell’assegno di mantenimento eventualmente a carico o a favore del proprietario). Le norme citate evidenziano, infatti, l’eccezionalità delle relative disposizioni per il loro contenuto di compressione del diritto di godimento dell’immobile e legittimano siffatta compressione del diritto di proprietà solo per l’esigenza di tutelare con tale mezzo gli interessi, ritenuti prioritari e prevalenti, della prole (cfr. Cass. Sezioni Unite 28.10.1995 n. 11297) In caso contrario, il giudice non ha infatti il potere di emettere provvedimenti che incidano, sacrificandolo o limitandolo, sul diritto di godere e di disporre della casa familiare spettante all’uno o all’altro dei coniugi ovvero ad entrambi
Orbene, se alla stregua delle considerazioni in precedenza svolte, il parametro di riferimento per l’interprete è costituito, in coerenza con i principi costituzionali, dall’interesse del figlio alla abitazione (come al mantenimento) correlato alla posizione di dovere facente capo al genitore e se il principio di tutela del minore attraverso l’assegnazione in godimento dell’abitazione (oltre che la determinazione di una somma dovuta per il suo mantenimento) è un principio immanente nell’ordinamento, ne consegue che dal suddetto parametro l’interprete non potrà prescindere neanche laddove, in presenza delle specifiche situazioni ipotizzate dal legislatore, sarà chiamato a provvedere sulla domanda di revoca dell’originaria assegnazione.
Posto infatti che nelle ipotesi in cui risulterà accertato in fatto il mancato utilizzo o un utilizzo non più stabile della casa coniugale da parte del genitore assegnatario, alcuna ulteriore valutazione, nei termini dianzi precisati, l’interprete sarà tenuto a compiere ai fini della revoca dell’assegnazione (salvo che non venga contestualmente richiesta e disposta la modifica dell’affidamento e/o dell’assegnazione della casa familiare, in tale ipotesi la prole continuerà a risiedere presso la nuova abitazione del genitore già convivente ed assegnatario), a differenti conclusioni deve necessariamente pervenirsi con riferimento alle altre due ipotesi di caducazione del diritto di godimento previste dalla norma in commento ed in concreto verificatesi nel caso di specie (convivenza more uxorio e nuovo matrimonio del genitore assegnatario).
Al riguardo va, in primo luogo, evidenziato che la previsione in commento, espressione ulteriore e legittima di un principio di sfavore per l’assegnazione della casa familiare al genitore non proprietario, muove dalla considerazione che convivenza more uxorio e nuove nozze del genitore assegnatario creano nelle relazioni affettive dinamiche nuove ed estranee rispetto al precedente ambiente domestico e mira ad evitare che tali dinamiche, coinvolgenti anche i figli, possano svolgersi e radicarsi nell’immobile già adibito a casa familiare e sul quale l’altro genitore vanti la titolarità di un diritto di godimento.
Ciò posto, ritiene il Tribunale che effettivamente l’ingresso nella casa di una nuova persona può incidere sensibilmente sugli equilibri (a volte faticosamente) raggiunti, dopo la separazione, nelle dinamiche relazionali ed affettive del nucleo familiare e rendere quindi senz’altro necessaria o semplicemente opportuna, nell’interesse preminente della prole, una rivisitazione delle originarie determinazioni ad essa relative, a cominciare dalla sistemazione abitativa. In tal senso, quindi, può risultare quanto meno opportuna, in presenza di eventi siffatti, una richiesta di revoca dell’assegnazione della casa coniugale la quale, tuttavia, laddove non risulti pacifico o evidente il corrispondente interesse degli stessi figli all’invocato provvedimento ovvero venga espressamente prospettata la contrarietà della istanza alle loro aspettative rispetto alla fruizione dell’habitat domestico (sia pure con la presenza di un’altra persona), non potrà essere disgiunta da una contestuale richiesta di modifica delle determinazioni relative alla prole (affidamento, residenza e quant’altro) che tenga conto del preminente interesse della prole medesima.
Diversamente opinando e, quindi, accedendo ad un’opzione interpretativa favorevole all’automatismo della revoca dell’assegnazione della casa familiare in presenza di nuove convivenze del genitore assegnatario, si potrebbe addivenire all’immotivato allontanamento del figlio dalla casa familiare quando, ad esempio, non vi sia consuetudine di relazioni affettive con l’altro genitore richiedente la restituzione della casa già adibita a residenza familiare e non sia pertanto ipotizzabile una stabile permanenza del figlio con quest’ultimo in detta abitazione, laddove, invece, il contemperamento dei contrapposti interessi potrebbe efficacemente conseguirsi con una modifica delle statuizioni a contenuto patrimoniale che tenga conto dell’utilizzo dell’immobile da parte del nuovo nucleo familiare.
L’applicazione della norma in commento impone, dunque, all’interprete di temperare il rigoroso automatismo della causa di revoca dell’assegnazione in essa prevista con il principio prioritario ed immanente di tutela dell’interesse del figlio alla abitazione, in ossequio ad esigenze di ragionevolezza e di coerenza con il sistema di principi e di valori che informano l’ordinamento cui deve sempre parametrarsi l’interpretazione delle leggi.
Tanto premesso in via generale e di principio, trattasi quindi di verificare se nel caso di specie, risultando pacifico in causa che la (…) ad (…) ha contratto nuovo matrimonio, sussistono le condizioni per accogliere la domanda di revoca dell’assegnazione della casa coniugale proposta dal (…).
Al riguardo devesi in primo luogo considerare che il (…), comproprietario della casa familiare insieme alla ex moglie, assegnataria esclusiva della stessa in quanto genitore affidatario della figlia minore, ha chiesto la revoca della suddetta assegnazione sulla base del mero evento sopravvenuto previsto dall’art. 155 quater (nuove nozze della …). Egli, cioè, nulla ha dedotto in ordine alla condizione della figlia minore nel nuovo nucleo familiare materno né ha prospettato, in conseguenza della sua domanda, l’opportunità di modificare l’affidamento della minore e/o prevedere una sua diversa sistemazione abitativa (la richiesta di affidamento condiviso o alternato dalla difesa del (…) formulata all’udienza del (…).2006 ed in precedenza esaminata risulta, infatti, del tutto svincolata dalla domanda principale di revoca dell’assegnazione della casa familiare e da una eventuale situazione di disagio della minore nel nuovo nucleo familiare).
Ciò premesso, devesi altresì rilevare, in fatto, che per quanto dedotto in comparsa e documentato, la (…) ed il coniuge (…), per sopravvenute incomprensioni, hanno depositato ricorso per separazione consensuale (con udienza di comparizione dinanzi al Presidente fissata in data …2006) e che, nelle more, la convivenza tra i suddetti coniugi è già cessata (in tal senso le dichiarazioni rese dalla … nel corso dell’udienza camerale e non contestate neanche genericamente dal …).
L’insussistenza, in concreto, della situazione di stabile convivenza (more uxorio o in seguito a nuove nozze) che, alla stregua di un’interpretazione restrittiva della norma (assolutamente plausibile e ragionevole alla luce degli interessi coinvolti), integra le ipotesi di revoca dell’assegnazione della casa familiare in questa sede controverse ed il sostanziale ripristino dell’assetto delle relazioni familiari preso in considerazione dal tribunale nel dettare la disciplina dell’affidamento della minore e dell’assegnazione della casa familiare in sede divorzile, rendono evidente, a giudizio del Tribunale, l’assenza nel caso di specie, nonostante il contratto matrimonio, di circostanze sopravvenute concretamente idonee ad immutare, nei termini previsti dal legislatore della novella, l’assetto di interessi in precedenza regolato e quindi, per quanto in questa sede specificamente rileva, a giustificare la invocata revoca dell’assegnazione della casa familiare.
Il riferito convincimento è d’altro canto rafforzato dalla considerazione che, diversamente opinando e, quindi, optando per un’interpretazione formale ed automatica delle ipotesi di revoca previste dall’art. 155 quater, nel caso di specie, poiché entrambi i genitori comproprietari dell’immobile hanno contratto nuovo matrimonio, al Tribunale sarebbe definitivamente preclusa la possibilità di tutelare l’interesse della minore alla permanenza nella casa familiare con l’uno o con l’altro genitore, ostando all’assegnazione dell’immobile a ciascuno dei predetti le nuove nozze di entrambi. La riferita conclusione, del tutto irragionevole e contraria ai richiamati principi, immanenti nell’ordinamento, di tutela dei minori anche attraverso l’assegnazione in godimento dell’abitazione, non può trovare ingresso nel nostro ordinamento tanto più considerando l’età (circa dieci anni) e la delicata fase di crescita della piccola (…), già fortemente provata dalla crisi familiare vissuta nei primi anni di vita.
La domanda di revoca dell’assegnazione della casa familiare va dunque rigettata.
4.- Analogamente va rigettata la domanda proposta in via riconvenzionale dalla (…) diretta a conseguire l’aumento dell’assegno dovuto dal padre per il mantenimento della figlia minore (attualmente pari ad € 830,00 mensili oltre adeguamento istat ed al 50% delle spese scolastiche e mediche non coperte dal SSN). Come già evidenziato dal Tribunale nel citato decreto del 16.3.2006, non sono state dedotte né provate circostanze nuove atte a modificare il regime patrimoniale stabilito dalla sentenza di divorzio e d’altro canto, la contribuzione del padre alle spese mediche e scolastiche relative alla figlia, per quanto detto già prevista, è comunque subordinata al preventivo accordo dei genitori in ordine alle stesse.
5.- Con il ricorso il (…), deducendo un contrasto con il coniuge in ordine alle scelte scolastiche ed attinenti la preparazione alla comunione da parte della minore, ha altresì chiesto al tribunale di intervenire per dirimere tale contrasto autorizzando l’istante, ex art. 155 ter c.c., ad iscrivere la minore per il prossimo anno scolastico, alla Scuola Media Statale (…) sita in via (…) e nel corrente anno al corso di Catechismo per la 1^ comunione presso la Parrocchia (…) sita in (…) al (…).
In relazione alla suddetta domanda va, in primo luogo, affermata la competenza a provvedere di questo Tribunale.
L’istante deduce, infatti, l’esistenza di una controversia tra i coniugi in ordine all’esercizio della potestà genitoriale e tale controversia, in base al disposto del nuovo art. 709 ter c.p.c. (introdotto dalla legge 54/06), si propone al giudice del procedimento in corso. Trattasi, evidentemente, del giudice istruttore in caso di pendenza del giudizio di separazione o divorzio, del Tribunale in composizione collegiale in sede di decisione dei suddetti giudizi di separazione e divorzio ovvero, come nel caso di specie, in caso di controversie successive alla separazione e al divorzio. Sulla scorta del richiamato dettato normativo, quindi, proprio la pendenza del procedimento ex art. 9 legge div. concorre a radicare la competenza del Tribunale piuttosto che la competenza, ormai residuale, del Giudice Tutelare ai sensi dell’art. 337 c.c. e ciò pur se l’intervento del giudice nell’ipotesi in esame, dovendo tendere a sollecitare un accordo tra le parti prima ancora che all’adozione di provvedimenti autoritativi, non si differenzia sostanzialmente dall’attività di vigilanza di fatto svolta appunto dal Giudice Tutelare ai sensi dell’art. 337 c.c.
6.- Tanto premesso, va in primo luogo evidenziato, che al di là del contrasto in merito alla effettività delle formale iscrizione della minore al catechismo (dedotta dalla … e contestata dal …), dagli atti e dalle deduzioni di causa emerge pacifica la comune intenzione di entrambi i genitori di far frequentare alla figlia, a decorrere dall’anno 2006-2007, il corso di Catechismo per la 1^ Comunione presso la Parrocchia (…) sita in (…) al (…).
Da quanto detto discende che, nell’esercizio della potestà di cui è titolare, ciascun genitore potrà liberamente procedere alla formale iscrizione della figlia al corso suddetto per il corrente anno 2006-2007 e per il successivo.
7.- Quanto, invece, alle determinazioni da assumere con riferimento alle scelte scolastiche della minore, va in questa sede considerato che il (…), nel corso del giudizio, ha di fatto rinunciato alla originaria richiesta di trasferimento della figlia, già per il corrente anno, dalla scuola elementare (…) presso la (…) (dalla stessa frequentata) alla scuola elementare pubblica (…) e che la (…) nelle sue difese ha dedotto essenzialmente in ordine all’inopportunità della richiesta reiscrizione (sotto il profilo, certamente condivisibile, della improvvisa ed immotivata interruzione del ciclo di studi intrapreso nella sua fase conclusiva e del conseguente sradicamento della minore dal contesto amicale in cui è inserita).
Venuta meno la necessità di provvedere sul punto già per l’anno in corso, ritiene il Tribunale che ai fini delle determinazioni da prendere con riferimento alla scuola media presso cui iscrivere la minore per il prossimo anno scolastico sia indispensabile fissare nuova udienza di comparizione delle parti al fine di verificare gli intendimenti di entrambi al riguardo e le ragioni sottese alle soluzioni da ciascuno preferite ed avversate, ma anche allo scopo di acquisire documentazione informativa in ordine alle offerte formative in concreto assicurate dai percorsi scolastici, eventualmente differenti, da ciascuno preferiti ed al rendimento ed inserimento scolastico della minore nell’istituto dalla stessa attualmente frequentato.
8. Liquidazione delle spese riservata all’esito del procedimento.
P. Q. M.
Il Tribunale così provvede:
a) rigetta la domanda di revoca dell’assegnazione della casa familiare in favore di (…) e la domanda riconvenzionale di aumento dell’assegno per il mantenimento della figlia minore (…) a carico di (…);
b) autorizza entrambi i genitori, qualora non vi abbiano già provveduto, ad iscrivere la figlia (…) al corso di Catechismo per la 1^ Comunione presso la Parrocchia (…) sita in (…) al (…);
c) dispone la comparizione delle parti all’udienza camerale del (…) 2007 ore 10 per le deduzioni e l’allegazione della documentazione precisate in premessa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del 12 ottobre 2006. Il Presidente
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Affido condiviso. Tribunale La Spezia, 25/11/2006

TRIBUNALE LA SPEZIA

IL GIUDICE ISTRUTTORE

del processo civile in epigrafe, pendente fra

(…)

(…)

a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 23.11.2006 , osserva quanto segue:

a sostegno della domanda di modifica dell’ordinanza presidenziale 3.6.2006 non sono state allegate circostanze sopravvenute .

Non vi è quindi spazio per una modifica ad opera del giudice istruttore dell’ordinanza presidenziale, ex art. 709 ultimo comma c.p.c. (nel testo entrato in vigore per i procedimenti instaurati dopo l’1.3.2006, fra i quali è il presente).

Infatti il potere di revoca o di modifica riconosciuto al giudice istruttore non può sovrapporsi al potere di riesaminare l’ordinanza presidenziale concesso alla Corte di appello in sede di reclamo ex art. 708 ultimo comma c.p.c. pena una inaccettabile interferenza fra i due istituti processuali; i quali hanno finalità diverse e rispondono a specifiche esigenze.

Il reclamo alla Corte di appello ha lo scopo di permettere una rivisitazione (re melius perpensa) del provvedimento presidenziale, sulla base degli atti già da questo esaminati, in modo da porre in evidenza eventuali errori di valutazione o contrasti con le emergenze risultanti dalle produzioni delle parti e dalla limitata attività istruttoria concessa al Presidente in sede di tentativo di conciliazione.

La richiesta di modifica dell’ordinanza presidenziale rivolta al giudice istruttore ha, invece, lo scopo di adeguare i provvedimenti urgenti alle nuove emergenze risultanti dalla istruttoria svolta o, comunque, da fatti sopravvenuti e portati all’attenzione di tale organo (in tal senso vedi App. Bologna 17.5.2006 in www.affidamentocondiviso.it).

Una diversa interpretazione porterebbe a riconoscere la possibilità di una duplice impugnazione del medesimo provvedimento, soluzione da ritenersi inaccettabile da un punto di vista sistematico, salvo espressa previsione di legge.

La richiesta di modifica dell’ordinanza presidenziale è quindi inammissibile.

Il processo è rinviato all’udienza del 5 luglio 2007, con concessione dei termini di legge di cui all’art. 183 comma 6 c.p.c.

Si comunichi.

LA SPEZIA, 25 novembre 2006

IL GIUDICE ISTRUTTORE

Alberto CARDINO

Affido condiviso. Tribunale Messina, 13/12/2006

TRIBUNALE DI MESSINA

1a sezione civile

Il giudice istruttore,

sciogliendo la riserva assunta all’udienza del 7 dicembre 2006, letti gli atti del procedimento di separazione giudiziale promosso da S.S., nata a (…) il (…), ivi residente in (…), elettivamente domiciliata in Messina, via (…), presso lo studio dell’avvocato (…), che la rappresenta e difende per procura in atti, nei confronti di F.A., nato a (…) il (…), ivi residente, in (…), elettivamente domiciliato in Messina, viale (…), presso lo studio dell’avv. (…), che lo rappresenta e difende per procura in atti;

rilevato che con la comparsa di costituzione di nuovo procuratore depositata all’udienza del 7 dicembre 2006, ribadendo l’istanza contenuta nella memoria ex art. 183 c.p.c. depositata il 3 ottobre 2006, il resistente ha chiesto la modifica dell’ordinanza presidenziale del 22 luglio 2005, e specificamente, in ossequio alla normativa di cui alla legge n. 54 del 2006, l’affidamento condiviso dei tre figli e la previsione della possibilità di provvedere direttamente al mantenimento dei bambini in relazione ai tempi e alle modalità della permanenza dei minori presso di lui, nonché la cessazione dell’obbligo del versamento dell’assegno in favore della ricorrente;

che entrambi i procuratori delle parti hanno poi chiesto la concessione dei termini di cui all’art. 184 c.p.c. per articolare mezzi di prova e produrre documenti, ovvero per integrare le richieste già avanzate;

considerato che, dopo l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 708 c.p.c., avendo il resistente avanzato richiesta di ampliamento delle possibilità di incontro e dei tempi di permanenza con i figli minori ed essendosi a ciò opposta la resistente, il precedente giudice istruttore ha disposto una indagine ambientale e psicologica;

che dall’indagine, affidata ai Servizi sociali del comune di Messina e svolta con il supporto dell’equipe di neuropsichiatria infantile della Azienda U. S. L. (…), i cui risultati, condensati nella relazione pervenuta il 26 luglio 2006, non sono stati in alcun modo contestati dalle parti, è emerso che entrambi i minori, in condizioni di adeguato sviluppo cognitivo sebbene entrambi turbati sul piano psicologico ed emozionale dalle tensioni tra i genitori e dall’esperienza della separazione, hanno un ottimo rapporto con entrambi i genitori, sebbene caratterizzato da dinamiche relazionali in parte diverse, che verosimilmente inclinano più verso la dimensione del rispetto e dell’impegno per quanto concerne la madre, e maggiormente verso gli aspetti ludici e giocosi con riferimento alla figura paterna (secondo una polarizzazione che, a prescindere dai reciproci addebiti in merito alla responsabilità del fallimento del matrimonio, rispecchia probabilmente le rispettive personalità dei coniugi);

che in sede di indagine psicologica le parti hanno manifestato atteggiamenti di cui appaiono fedele espressione le posizioni rispettivamente assunte in questo giudizio, nel quale al resistente che chiede di ampliare tempi di permanenza e modalità di incontro con i figli si contrappone la ferma volontà della ricorrente di limitare tali possibilità nel timore, chiaramente esplicitato, che una presenza più ampia del padre nella vita dei bambini possa pregiudicarne un equilibrato sviluppo psicologico a causa degli atteggiamenti diseducativi che la donna addebita al marito e che, sul versante del rapporto con i figli, costituiscono espressione di una personalità i cui atteggiamenti, giudicati “puerili” ed “irresponsabili”, vengono indicati come la causa decisiva del fallimento dell’esperienza coniugale;

che sulla scorta di tali motivazioni la ricorrente, dopo avere manifestato una iniziale disponibilità, si è opposta anche al tentativo dei Servizi sociali di definire un programma concordato di incontri diretto ad ampliare le possibilità di incontro del resistente con i figli, esternando quale suo vero obiettivo la realizzazione di un graduale distacco dei figli dal padre;

ritenuto che gli elementi acquisiti, valutati anche alla luce del sopravvenuto quadro normativo (di immediata applicazione: arg. ex art. 4, 2° comma, legge 8 febbraio 2006, n. 54), consentono una revisione dell’ordinanza presidenziale e l’accoglimento dell’istanza di affidamento condiviso dei minori avanzata dal resistente;

che secondo la nuova normativa il giudice della separazione (e, più in generale, della crisi della famiglia) è chiamato a valutare prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati ad entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo in cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli, deve altresì prendere atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori, ed inoltre adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole (art. 155, 2° comma, c.c.);

che in tal modo l’affidamento condiviso, per espressa previsione di legge, è divenuto criterio ordinario preferenziale dell’affidamento dei minori nelle situazioni di crisi e di disgregazione della convivenza familiare, essendosi prescelta una soluzione esattamente speculare a quella previgente che privilegiava invece l’affidamento monogenitoriale, e rendeva residuale la possibilità di disporre l’affidamento congiunto o alternato (previsti dall’art. 6 della legge n. 898/70, ritenuto applicabile anche alla separazione ed oggi da considerare tacitamente abrogato in forza dell’art. 4, 2° comma, della citata legge n. 54);

che, sebbene la legge non abbia espressamente formulato una presunzione, anche relativa, di corrispondenza tra l’interesse del minore e l’affidamento condiviso, e non abbia previsto alcunché in merito ai criteri di scelta tra affidamento condiviso e affidamento monogenitoriale, la residualità di quest’ultimo emerge chiaramente dall’art. 155-bis c.c., il quale prevede la possibilità di affidare il figlio ad un solo genitore qualora l’affidamento (anche) all’altro sia contrario all’interesse del minore;

che in tal modo l’interesse del minore è il parametro fondamentale di riferimento, fermo restando che, come recita il 1° comma dell’art. 155 c.c., con disposizione che appare, a prescindere dalle modalità dell’affidamento, il vero fulcro del sistema (v. infatti il 2° comma dell’art. 155-bis c.c.), anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione ed istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale;

che peraltro, prescindendo dall’enfasi a volte anche polemica con cui la novità normativa è stata presentata ed accolta e riconoscendo il suo valore essenzialmente promozionale e simbolico, è innegabile che vada comunque stabilita la collocazione privilegiata del minore presso quello dei genitori con cui esso ordinariamente vive, non potendo in concreto i figli continuare a risiedere con entrambi i genitori, né apparendo ipotizzabile una collocazion
e alternata o l’alternanza dei genitori presso la casa in cui vive il minore (soluzioni che – a parte le intuibili ed insormontabili difficoltà pratiche – sono in contrasto con elementari esigenze di stabilità e di continuità);

che pertanto la rilevanza dell’istituto si apprezza soprattutto sotto il profilo di una maggiore corresponsabilizzazione dei genitori nell’esercizio dei compiti di educazione e cura dei figli, e di un più ampio coinvolgimento di entrambi nella vita del minore, auspicandosi che la disgregazione dell’unità familiare incida il meno possibile negativamente sulla prole e non pregiudichi il diritto del minore alla bigenitorialità (in questa chiave ben si comprende la generalizzata attribuzione dell’esercizio della potestà ad entrambi i genitori);

che il provvedimento con cui si dispone l’affidamento condiviso, ispirato, come tutti quelli relativi ai figli, esclusivamente dall’interesse morale e materiale della prole, non può ovviamente essere inteso come una “sanzione” a carico del genitore che in precedenza godeva dell’affidamento esclusivo, oppure concretizzarsi nello svuotamento o ridimensionamento degli obblighi di cui agli artt. 147 e 148 c.c., che assumono rilievo centrale nel sistema, mentre il novellato 4° comma dell’art. 155 c.c. si limita, su un piano diverso ed in relazione alla crisi dell’unità familiare, ad esplicitare solamente il principio di proporzionalità, peraltro in maniera incompleta, perché riferito ai soli redditi, laddove la norma generale ancora la misura del concorso dei coniugi negli oneri alle rispettive sostanze e alla capacità di lavoro professionale e casalingo;

che, dovendosi i principi e le argomentazioni sintetizzati adeguare alle peculiarità del caso concreto, nella specie il dato di partenza, al quale ancorare una decisione di carattere necessariamente provvisorio sebbene destinata a prefigurare l’assetto tendenzialmente definitivo delle relazioni dei coniugi separati con riferimento ai figli, è costituito dal rapporto positivo che il resistente ha instaurato e conserva con i figli V. e R., così come in parte riconosce anche la ricorrente, la quale non mette in discussione l’attaccamento del marito ai figli, ma più radicalmente ne contesta l’idoneità come genitore paventando il rischio che trascorrendo più tempo con i bambini egli possa avere maggiore possibilità di influenzarne negativamente la crescita e lo sviluppo;

che tuttavia, dovendosi necessariamente scindere l’aspetto della conflittualità di coppia (sempre avvertibile, sia pure con intensità diversa, in tutti i casi di disgregazione dell’unità familiare) da quello relativo al rapporto con i figli, deve escludersi che la valutazione negativa dell’idoneità genitoriale proveniente dal genitore che si oppone alla condivisione dell’affidamento, così come la conflittualità tra i genitori, di per sé, precludano l’affidamento condiviso;

che sotto il primo profilo la non condivisione di modelli comportamentali o di scelte di vita dell’altro genitore, che peraltro si intreccia – nella prospettazione della ricorrente – con la individuazione delle cause del fallimento del matrimonio addebitato al marito, non è certamente sufficiente a fondare l’opposizione all’affidamento (anche) all’altro genitore in quanto la valutazione dell’idoneità genitoriale ai fini dell’affidamento ormai da tempo viene scissa nella giurisprudenza di merito e di legittimità da quella concernente la ricerca della responsabilità della crisi del matrimonio (nei limiti in cui tale ricerca ancora rileva), così come viene respinto qualunque parallelismo tra contegni anche moralmente deplorevoli ed impostazioni di vita eccentriche o dissonanti dal comune modo di sentire, da un lato, ed attitudine genitoriale, dall’altro, sempre che non si riscontri in concreto la violazione dei doveri genitoriali, ovvero un pregiudizio per il minore;

che, non essendo emersi elementi che si oppongano all’affidamento dei figli anche al padre sotto il profilo della sua idoneità come genitore, occorre verificare se la situazione di accesa conflittualità tra le parti sia di ostacolo all’affidamento condiviso;

che infatti, secondo una interpretazione emersa tra i primi commentatori della riforma ed affiorata anche nelle prime applicazioni giurisprudenziali, la situazione di accesa conflittualità tra i genitori precluderebbe l’affidamento condiviso perché questo si rivelerebbe scelta in contrasto con l’interesse del minore, poiché quella scelta presupporrebbe comunque un atteggiamento collaborativo tra i genitori in mancanza del quale l’imposizione della gestione comune finirebbe per alimentare il clima di contrasto e di ripicca;

che tuttavia la mera intollerabilità dei rapporti tra i genitori, il clima di tensione anche aspra che eventualmente caratterizza le relazioni dopo la separazione, l’assenza della volontà di collaborare, non possono, di per sé, ostacolare l’applicazione di un sistema di affidamento che la legge privilegia ponendo quale unico limite l’interesse del minore, poiché, diversamente opinando, sarebbe agevole frustrare le finalità della normativa, ad es. creando o alimentando situazioni di conflitto, laddove l’interesse del minore è nel senso di conservare rapporti significativi con entrambi i genitori anche dopo la separazione e, potrebbe dirsi, proprio a cagione di essa, che inevitabilmente determina il venir meno della sicurezza costituita di regola dalla convivenza con entrambi i genitori;

che in questa prospettiva l’affidamento condiviso, ponendo auspicabilmente termine alla spirale delle reciproche rivendicazioni ed “imponendo” alle parti il perseguimento degli scopi dell’assetto privilegiato dalla legge, può anzi contribuire al superamento di quella conflittualità e al recupero di un clima di serenità di cui i figli sono i primi a trarre beneficio;

che alla luce di tali considerazioni appare rispettosa dell’interesse dei minori, fermo restando l’affidamento ad entrambi i genitori, la previsione della loro collocazione privilegiata presso la madre, mentre nella determinazione dei tempi e delle modalità della presenza dei bambini presso il padre va considerata a parte la posizione del piccolo G., nato dopo l’instaurazione del giudizio di separazione, e fino ad oggi incontrato dal padre presso l’abitazione materna (già casa coniugale), e alla presenza della ricorrente o dei genitori di lei;

che per quest’ultimo la gradualità della costruzione del rapporto con il padre impone, fino al raggiungimento dei trenta mesi di vita o anche oltre ove le reazioni del bambino lo rendessero necessario, di consentire al resistente di incontrarlo e di prenderlo anche con sé durante le ore diurne, congiuntamente alla sorella ed al fratello e secondo il medesimo calendario, ma di imporgli di ricondurlo sempre presso la madre entro le ore 20;

che va al contempo disposto, in relazione alle concrete modalità dell’affidamento, l’esercizio separato della potestà da parte del genitore con il quale i minori convivono limitatamente alle decisioni sulle questioni di ordinaria amministrazione;

che per quanto riguarda invece il profilo economico, deve essere allo stato disattesa la richiesta di riduzione;

che infatti per un verso l’imposizione del versamento di un assegno periodico da parte di un genitore all’altro ai fini della concretizzazione dell’obbligo di mantenimento sembra essere la soluzione pi&ugrav
e; appropriata in corrispondenza della previsione della residenza privilegiata dei minori presso l’abitazione di uno dei genitori, poiché trattasi di modalità che comporta di regola l’assunzione in via pressoché esclusiva da parte di quest’ultimo di oneri di varia natura (non solo le spese correnti di vitto e di alloggio, ma anche quelle di abbigliamento o quelle relative ad attività culturali, ricreative o ludiche non propriamente riconducibili ad oneri straordinari), mentre, per altro verso, la quantificazione, che è stata oggetto di censura e richiesta di modifica, appare congrua;

che infatti nella determinazione dell’assegno il criterio delle risorse economiche di entrambi i genitori (che è in ogni caso nozione più ampia del reddito, in quanto tiene conto anche, ad es., dell’attività professionale svolta e delle potenzialità che essa esprime, della situazione patrimoniale complessiva, del tenore di vita) è solo uno di quelli indicati dalla legge, insieme alle attuali esigenze della prole, al tenore di vita goduto in costanza di convivenza con entrambi i genitori, ai tempi di permanenza dei minori presso ciascuno dei genitori, e alla valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore;

che analogamente, in mancanza di nuove significative acquisizioni, va mantenuto anche l’obbligo di corresponsione della quota dell’assegno destinata alla ricorrente;

P. Q. M.

Visto l’art. 709, 4° comma, c.p.c., a parziale modifica dell’ordinanza presidenziale del 22 luglio 2005, così provvede:

a) affida i minori V., R. e G.F. ad entrambi i genitori;

b) dispone che i minori convivano ordinariamente con la madre nell’attuale domicilio;

c) dispone che V. e R. a trascorrano con il padre: 1) tre o due pomeriggi alla settimana, da concordare di volta in volta tra le parti, ed in mancanza di accordo coincidenti con le giornate di lunedì, mercoledì e venerdì, e, a settimane alternate, martedì e giovedì, dall’uscita dalla scuola dei bambini o, nei periodi di vacanza, dalle ore 15,30 fino alle ore 20, oltre che, a settimane alterne, dalle ore 12,30 del sabato alle ore 20 della domenica successiva, e ciò nelle settimane in cui i minori hanno trascorso con il padre due pomeriggi soltanto; 2) due giorni consecutivi durante le vacanze pasquali e cinque giorni durante le festività natalizie e di fine anno; 3) trenta giorni anche non consecutivi durante la stagione estiva, nei mesi di luglio o agosto; durante detto ultimo periodo competono alla dott. S., quanto alle possibilità di incontro con i figli V. e R., le stesse facoltà di cui al punto 1) che precede;

d) invita le parti, anche ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 709-ter c.p.c., al rispetto delle prescrizioni che precedono, compatibilmente con le esigenze anche scolastiche dei minori e con eventuali problemi di salute, ed impone di consentire gli incontri e la permanenza dei figli presso l’altro genitore, facendo carico al F., durante il tempo che i minori trascorrono insieme a lui, di curare lo svolgimento di compiti o altre attività di natura scolastica;

e) dispone che, fino al raggiungimento dei trenta mesi di vita o anche oltre ove il bambino manifestasse difficoltà a trascorrere la notte lontano dalla madre, il resistente possa incontrare e prendere anche con sé durante le ore diurne il figlio minore G., congiuntamente alla sorella R. ed al fratello V. e secondo il medesimo calendario, ma gli impone di ricondurlo sempre presso la madre entro le ore 20; a partire dall’età indicata competono al padre le medesime facoltà previste per gli altri due figli;

f) dispone l’esercizio separato della potestà da parte del genitore con il quale i minori convivono limitatamente alle decisioni sulle questioni di ordinaria amministrazione;

g) conferma per il resto l’ordinanza presidenziale.

Fissa per l’ammissione dei mezzi istruttori l’udienza del 3 maggio 2007, ore 11,30 ss., alla quale rinvia la causa, assegnando termine alle parti fino al 18 maggio 2007 per articolare mezzi di prova e produrre nuovi documenti, ovvero per integrare le richieste già avanzate, e fino al 18 giugno 2007 per l’eventuale richiesta di prova contraria.

Si comunichi.

Messina, 13 dicembre 2006
Il giudice istruttore

(dott. Giuseppe LOMBARDO)

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Affido condiviso. Tribunale Modena, 29/01/2007

Tribunale Civile Modena

Il Giudice istruttore

Nel procedimento iscritto come in epigrafe;

a scioglimento della riserva assunta in udienza 26/1/07;

sulle richieste di ammonimento ai sensi dell’art. 709-ter c.p.c. e di modifica delle condizioni temporanee di separazione, avanzate dalle parti;

rilevato che:

sulla richiesta di ammonimento ai sensi dell’art. 709-ter c.p.c.;

l’eccezione di incompetenza è infondata; il testo della norma espressamente prevede la competenza del giudice del procedimento in corso e tale è, in istruttoria, in giudice istruttore e non il Collegio, come sostenuto da parte resistente, né il Presidente; il semplice riferimento al tenore letterale della norma è di per sé sufficiente; d’altra parte, in dottrina un’opinione, per quanto autorevole ritiene, per la tipologia delle sanzioni, considerate definitive ed applicabili solo dal collegio, la competenza collegiale per i provvedimenti in questione, mentre altra dottrina afferma la competenza del giudice istruttore nei procedimenti di separazione e divorzio, del Tribunale per i minorenni nel caso di figli naturali e del Tribunale in sede collegiale nelle controversie successive alla separazione e divorzio, ovvero in fase di decisione delle stesse; e ciò perché l’attribuzione della competenza al collegio rischia di rallentare l’adozione di misure che, per essere efficaci, devono essere immediate; inoltre, perché il giudice istruttore in corso di causa è competente ad adottare i provvedimenti di risoluzione delle controversie insorte, sicché è irragionevole che egli non adotti anche le relative misure sanzionatorie; d’altro canto, in corso di causa il giudice istruttore può adottare le misure di cui ai provvedimenti di ordinanza-ingiunzione; inoltre, non risulta che le sanzioni siano definitive, potendosi, appunto, ritenere la modificabilità e revocabilità da parte del collegio in sede di decisione definitiva, se irrogate dal giudice istruttore; la giurisprudenza, anche di questo stesso giudice istruttore, si è già espressa implicitamente per la competenza del giudice istruttore in corso di causa (cfr. Trib. Modena, ordinanza 7/4/06, in www.giurisprudenzamodenese.it; cfr., anche, Trib. Termini Imerese, 12/7/06, in Foro it., 2007, I, 3243); in proposito è ora il caso di aggiungere, essendo espressamente stata posta la questione, che, se non ci si accontenta del riferimento al pur chiaro tenore letterale della norma, è utile rilevare che il dato testuale è accompagnato da ragioni logico-sistematiche: l’insieme di previsioni di cui all’art. 709-ter c.p.c., infatti, aventi ad oggetto da un lato la risoluzione di un contrasto sull’attuazione delle condizioni temporanee o l’esercizio della potestà, e d’altro lato l’irrogazione di apposite sanzioni al fine di ottenere il rispetto delle condizioni stesse, è uno strumento di cui nella pratica era sentita l’esigenza di introduzione e che il legislatore ha, appunto, introdotto, all’evidente fine di dotare il giudice dei poteri concretamente idonei ad ottenere il rispetto delle statuizioni presidenziali, eventualmente modificate dal giudice istruttore, per tutto lo sviluppo del procedimento; uno strumento che prevede un complesso duttile e graduale di sanzioni, che devono e possono intervenire tempestivamente al momento dell’inottemperanza, mentre rimane privo di senso e di funzione che l’irrogazione della sanzione venga rimandata alla fine della decisione o, comunque, ad un organo diverso da quello che ha il potere di modifica delle statuizioni; dalla corretta lettura della norma si evidenzia, infatti, che il potere sanzionatorio spetta in capo al giudice che, via via nel corso del procedimento, ha il potere di modifica delle condizioni: il giudice istruttore durante l’istruttoria, il collegio in fase di decisione e dopo la decisione;

nel merito della richiesta di ammonimento, va osservato che nel caso di specie è provato, per espressa ammissione della parte e del suo Difensore (cfr. atti difensivi e verbale l’udienza 26/1/07), che il padre non ha corrisposto la rata del mese di Gennaio 2007, ritenendo di compensarla con l’anticipazione, dallo stesso effettuata, della quota di spese straordinarie di spettanza della moglie ed effettuate nel mese precedente; interpretazione, questa, chiaramente contra legem del dovere di contribuzione, non essendo, com’è noto, il debito per la contribuzione alimentare soggetto a compensazione alcuna, se non per altro credito alimentare, e non essendo tale, ovviamente, il credito di rimborso eventualmente spettante al padre, giacché non incide sulla natura del credito tra i genitori l’oggetto dell’anticipazione effettuata, quand’anche la spesa straordinaria potesse ritenersi di natura alimentare; atteso, pertanto, che è provato l’inadempimento, e che nel caso di specie, benché non ancora protratta nel tempo, la violazione può considerarsi grave in considerazione della pericolosa interpretazione che vi sta alla base, in quanto l’anticipazione per l’intero importo di ingenti spese straordinarie potrebbe condurre all’eliminazione integrale del contributo periodico per un periodo in teoria anche lungo, e la gravità si apprezza sul piano, appunto, della necessità di dissuadere da ogni forma di autoriduzione ed autocompensazione del contributo alimentare, comportamento la cui gravità è soggetta ad apprezzamento sul piano penale come reato, e non può essere considerata meno grave dal giudice civile; il fatto che l’inadempimento riguardi una sola mensilità rileva, invece, sul piano della sanzione da adottare, ritenendosi in tal caso sufficiente la sanzione meno grave dell’ammonimento, espressamente richiesta, appunto, dalla madre; nell’irrogazione della sanzione minima è, d’altro canto, insita la riserva di progressivo inasprimento nel caso di ripetitività della condotta lesiva; quanto alla natura della violazione, questo giudice istruttore ha già avuto modo di affermare, e ribadisce in questo caso l’orientamento, che le sanzioni previste dall’art. 709-ter c.p.c. sono applicabili anche nell’ipotesi di inadempimenti concernenti le statuizioni d’ordine patrimoniale, e non soltanto concernenti l’affidamento (contra: Trib. Termini Imerese, 12/7/06, cit.); la norma, infatti, sanziona le gravi inadempienze, e tali possono sicuramente essere gli inadempimenti d’ordine economico, trattandosi di crediti alimentari sanzionati anche penalmente e, quindi, si ripete, già sottoposti a valutazione di gravità da parte del legislatore penale; inoltre sanziona gli atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento, e in tale ottica vanno comprese anche le violazioni d’ordine economico, atteso che la sufficienza di risorse economiche è condizione indispensabile di esplicazione e sviluppo della personalità del minore e, al tempo stesso, condizione indispensabile di indipendenza del genitore collocatario nell’esercizio delle proprie facoltà genitoriali nell’interesse del minore stesso; si deve ritenere, d’altra parte, che in una materia così delicata, se effettivamente il legislatore avesse voluto escludere la sanzionabilità di condotte pregiudizievoli delle condizioni economico-patrimoniali del minore, lo avrebbe espressamente disposto con una formulazione letterale precisa e ben diversa da quella adottata, che è lessicalmente riferibile ad ogni grave violazione
ed ad ogni modalità di condotta che sia di pregiudizio al minore; in altri termini, il legislatore non avrebbe tipizzato l’illecito come fattispecie causalmente orientata, come invece ha fatto;

sulle richieste di modifica delle condizioni vigenti;

con l’ordinanza in data 10/1/07 questo giudice istruttore aveva già provveduto a risolvere il conflitto insorto in ordine alla residenza dei minori a seguito del cambio di residenza della madre, rilevando che, atteso che la madre si era dovuta allontanare dall’abitazione coniugale a lei assegnata in quanto il marito non aveva ottemperato all’ordine di lasciare l’abitazione stessa, e dovendo prevalere l’interesse dei minori a permanere presso la madre collocataria in altra abitazione, piuttosto che presso l’abitazione senza la madre, la logica conseguenza era lo spostamento di residenza dei minori stessi al seguito della madre; il concetto era di più che facile comprensione e ulteriore logica conseguenza era lo spostamento di istituto scolastico del minore (…), a cui, peraltro, il padre si è opposto; quest’ultima questione è superata, in quanto attualmente lo spostamento risulta essere stato nelle more autorizzato (in modo insindacabile da questo giudice istruttore che ne prende atto come evento storico) ed attuato; nella presente fase, dunque, benché si fosse già disciplinata la materia con la precedente ordinanza, occorre risolvere espressamente il conflitto sulla residenza e la frequentazione scolastica dei minori prendendo, da un lato, atto del fatto che, come dichiarato dal dirigente scolastico, il minore (…) ha avuto fino ad ora un buon inserimento scolastico e normali rapporti con la classe di appartenenza e, quindi, non vi sono fondati motivi di temere che il cambio di ambiente scolastico abbia effetti negativi; d’altro lato considerando che, essendosi dovuta trasferire la madre collocataria da (…) a (…) (cambiamento peraltro di limitata portata, come già osservato nella precedente ordinanza), l’alternativa allo spostamento della residenza e della frequentazione scolastica dei minori sarebbe che i medesimi non fossero più collocati presso la madre, il che, indiscutibilmente, comporterebbe effetti negativi largamente maggiori, se non altro per i rapporti affettivi fino ad ora consolidati e la tenera età dei minori (4 e 6 anni: uno in prima elementare e l’altro in età prescolare); la risoluzione del conflitto sulla residenza e la frequentazione scolastica dei minori va, dunque, espressamente effettuata affermando:

la conferma delle precedenti statuizioni di questo giudice istruttore e della situazione di fatto attuale;

l’assenza di motivi per procedere ad ulteriori modifiche ed anzi la probabile nocività di repentini ulteriori cambiamenti di regime a breve termine;

l’opportunità che i genitori considerino attentamente – eventualmente anche mediante l’ausilio di una mediazione familiare – l’effetto negativo dell’elevata conflittualità posta in essere in ordine a questioni di semplice interpretazione delle statuizioni provvisorie; in particolare, va considerato che, nel permanere di un simile livello di conflittualità su questioni come il nulla osta a un trasferimento scolastico (nulla osta che, come dichiarato dal dirigente scolastico, si concede "in cinque minuti, una volta valutate le ragioni"), e su questioni come un ritardo nella riconsegna dei minori (che di recente è stata occasione di querele penali tra le parti), potrebbe divenire impraticabile l’esercizio congiunto della potestà fino ad ora adottato, laddove appunto la conflittualità dei genitori risultasse nociva per gli interessi dei minori;

quanto alla prosecuzione del giudizio, le considerazioni di cui sopra rendono superflua l’ulteriore discussione delle richieste di modifica delle statuizioni temporanee, richiesta dalle parti; inoltre, la richiesta consulenza tecnica d’ufficio appare inopportuna ed esplorativa, oltre che inutile in quanto l’avvenuta concessione del nulla osta al trasferimento scolastico non è sindacabile da questo giudice e, in ogni caso, i tempi di espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio volta a disporre un ritrasferimento del minore nella classe precedente non sono compatibili con un’utile attuazione del trasferimento, specie ove si consideri l’effetto negativo di un doppio cambiamento di ambiente scolastico nel giro di pochi mesi nel corso del primo anno di istruzione elementare; d’altronde è anche contraddittorio che il padre, se ritiene nocivo di per sé – cioè in astratto, e non per circostanze concrete relative al minore – il primo trasferimento, chieda che ne venga disposto una altro all’esito di una espletanda consulenza tecnica d’ufficio, dopo il tempo verosimilmente occorrente;

ritenuto, pertanto, che:

– sussistono i presupposti di cui all’art. 709-ter c.p.c.;

– la sanzione adeguata è l’ammonimento;

– non ricorrono i presupposti per la modifica delle statuizioni temporanee, che anzi appare sconsigliabile;

– non ricorre, conseguentemente la necessità di concedere richiesto termini per note;

– non va disposta la richiesta consulenza tecnica d’ufficio;

P. T. M.

visti gli artt. 708, 709, 709-bis e 709-ter C.p.c.

ammonisce (…), nato a (…) il (…), al puntuale adempimento delle prescrizioni contenute nell’ordinanza del Presidente del Tribunale di Modena in data 26/6/06;

rigetta le richieste di termine per note e rinvio;

rigetta l’istanza di consulenza tecnica d’ufficio;

rigetta le richieste di modifica dei provvedimenti temporanei resi dal Presidente del Tribunale di cui all’ordinanza 26/6/2006, confermandone il contenuto nei sensi di cui in motivazione;

conferma la propria ordinanza 10/1/07 nei sensi di cui in motivazione ed i rinvii in essa già disposti.

Si comunichi.

Modena, 29/1/07.

Il Giudice istruttore

(Dr. G. Pagliani)

Depositata in Cancelleria 29.01.2007

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Affidamento condiviso. Tribunale Marsala, 27/01/2007

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE ORDINARIO DI MARSALA
SEZIONE CIVILE
Composto dai seguenti Magistrati:
Dott. Benedetto Giaimo Presidente
Dott. Pier Luigi Tomaiuoli Giudice estensore
Dott.ssa Caterina D’Osualdo Giudice
ha emesso la seguente
S E N T E N Z A
nella causa civile di I grado iscritta al n. 1140 del ruolo generale per
gli affari contenziosi dell’anno 2004, posta in deliberazione l’8-11-
2006 e vertente
T R A
Z.C., elett.te dom.to in Castelvetrano, Via Militello n. 5, presso lo
studio dell’Avv. Giovanni Miceli, rappresentante e difensore come da
procura a margine del ricorso introduttivo;
ricorrente,
E
P.R.A., elett.te dom.ta in Castelvetrano, Via Vittorio Emanuele n. 65,
presso lo studio degli Avv. Giovanni Lentini e Lidia Seidita,
rappresentanti e difensori come da procura in calce alla comparsa di
risposta;
resistente,
NONCHE’
il PUBBLICO MINISTERO intervenuto,
OGGETTO: cessazione degli effetti civili del matrimonio
concordatario.
CONCLUSIONI
del ricorrente: “sentire dichiarare cessati gli effetti civili del
matrimonio alle stesse condizioni di cui alla sentenza di separazione
dell’1.3.2002”; per la resistente: “revocare l’ordinanza del Presidente
del Tribunale e conseguentemente disporre un assegno di
mantenimento a favore del figlio stabilendo le modalità di erogazione
ed il suo preciso ammontare; disporre l’obbligo a carico di Z. C. di
corrispondere gli alimenti nella misura di € 350,00 al mese tenendo
conto che sussistono ragioni oggettive per le quali l’odierna
deducente non è in grado di vivere più un’esistenza libera e
dignitosa”; del Pubblico Ministero: “pronunziarsi la cessazione degli
effetti civili del matrimonio, ed adottare i provvedimenti di natura
economica in favore del coniuge non colpevole e del figlio
maggiorenne, ma non ancora autosufficiente e quelli di natura
amministrativa conseguenti”.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 20.8.2004 Z. C., premesso che in data
7.1.1988 aveva contratto matrimonio concordatario con P. R. A. e
che dall’unione in data 30.12.1987 era nato il figlio A.; che il
Tribunale di Marsala con sentenza n. 933/2000 aveva pronunziato
la separazione personale dei coniugi, affidando al padre il figlio A.,
regolamentando il diritto di visita della madre e ponendo a carico di
costei un assegno mensile di € 105,00 a titolo di contribuzione al
mantenimento del figlio; tutto quanto sopra premesso, concludeva
per la pronunzia di cessazione degli effetti civili del matrimonio, con
conferma dei provvedimenti adottati in sede di separazione e vittoria
di spese.

Si costituiva in giudizio P. R. A., la quale, nell’aderire alla richiesta di
divorzio, eccepiva che il figlio aveva sempre convissuto con la madre,
che il marito si era trasferito in Grecia ove conviveva con una
giovane donna, disinteressandosi della prole e limitandosi a fare
pervenire l’esigua somma di € 50,00 mensili; che ella versava in
condizioni economiche disagiate, essendo pendente nei suoi
confronti una procedura esecutiva su diversi immobili di sua
proprietà; che il suo stipendio di insegnante era stato pignorato per
la quota di un quarto; che il marito non aveva più adempiuto al
mantenimento del figlio; tutto quanto sopra eccepito, chiedeva
l’affidamento del figlio minore e la condanna del marito al
versamento di un assegno di € 500,00 a titolo di contribuzione al
mantenimento della prole.
All’udienza del 5.4.2005 fissata per l’audizione dei coniugi,
compariva il solo ricorrente, di guisa che non era possibile esperire il
tentativo di conciliazione.
Il Presidente affidava al padre il figlio A., regolamentava il diritto di
visita della madre e disponeva per l’ulteriore corso innanzi al giudice
istruttore.
Istruita con produzione di documenti, interrogatorio formale del
ricorrente ed audizione del figlio maggiorenne, la causa veniva
rimessa al Collegio per la decisione all’udienza dell’8.11.2006, previa
assegnazione alle parti dei termini di cui all’art.190 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio avanzata
da entrambi i coniugi è fondata ed in quanto tale deve essere
accolta.
L’ampio decorso del termine di tre anni dall’udienza presidenziale di
separazione dei coniugi (la cui pronunzia è passata in giudicato)
senza alcuna riconciliazione tra le parti e la comune richiesta di
divorzio dimostrano la fondatezza dell’assunto di entrambi i coniugi,
secondo cui è impossibile ricostituire la comunione materiale e
spirituale tra gli stessi.
La domanda della resistente di condanna del marito al versamento
in proprio favore di un assegno divorzile è inammissibile per
tardività, essendo stata spiegata per la prima volta nella memoria
difensiva depositata all’udienza di comparizione.
Essa, peraltro, sarebbe da rigettare nel merito per mancata
allegazione (e prova) da parte della ricorrente delle condizioni
economiche e patrimoniali della coppia durante il menage familiare,
il che impedisce al Tribunale di apprezzare la dedotta attuale
inadeguatezza dei mezzi, intesa siccome incapacità di conservazione
di un tenore di vita analogo a quello condotto in costanza del
matrimonio (ex multis: Cass. Civ., Sez. I, 24.1.2007, n. 1595; Cass.
Civ., Sez. I, 30 maggio 2006, n. 12869; Cass. Civ., Sez. I, 6 febbraio
2004, n. 2251; Cass. Civ., 17.1.2002, n. 432; Cass. Civ,, 4.5.2000 n.
5582; Cass. Civ, 16.6.2000, n. 8255).
Non v’è luogo a provvedere sulla domanda di affidamento del figlio
A., che nelle more del processo ha raggiunto la maggiore età.
La resistente ha poi spiegato domanda di condanna del marito al
versamento di un assegno a titolo di contribuzione al mantenimento
del figlio ormai maggiorenne ma non autosufficiente.
Essa è fondata nei limiti e per le ragioni di cui appresso.
E’ noto che prima dell’entrata in vigore della legge 54/2006
(“disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento
condiviso dei figli”) la giurisprudenza di legittimità era costante nel
ritenere che il coniuge, il quale provveda direttamente ed
integralmente al mantenimento del figlio convivente divenuto
maggiorenne e non ancora autosufficiente, è legittimato iure proprio,
e non già capite filiorum, a pretendere l’assegno di mantenimento
(oltre che il rimborso di quanto sostenuto) dall’altro coniuge (ex
multis: Cass. Civ., Sez. I, 27.5.2005, n. 11320; Cass. Civ., Sez. I,
27.5.2005, n. 11320; Cass. Civ., Sez. I, 25.6.2004, n. 11863; Cass.
Civ., sez. I, 13.2.2003, n. 2147); “legittimazione” peraltro che pur
definita “concorrente” rispetto a quella del figlio maggiorenne, resta
subordinata alla mancata iniziativa giudiziaria di quest’ultimo (Cass.
Civ., Sez. I, 24.12.2006, n. 4188; Cass. Civ., Sez. I, 16.7.1998, n.
6950; Cass. Civ., Sez. I, 10849/1996; Cass. Civ., Sez. I, 12.3.1992,
n. 3019; Cass. Civ., Sez. I, 7.11.1981, n. 5874) e si fonda sulla
circostanza che in ragione della convivenza uno dei genitori sopporta
delle spese che gravano ex art. 148 c.c. su entrambi (Cass. Civ., Sez.
I, 21.6.2002, n. 9067; Cass. Civ., Sez. I, 16.2.2001, n. 2289; Cass.
Civ., Sez. I, 16.6.2000, n. 8235; Cass. Civ., Sez. I, 5.12.1996, n.
10849; C
ass. Civ., Sez. I, 29.4.1994, n. 3049).
Su tale consolidato quadro giurisprudenziale si è innestata la
discussa nuova formulazione dell’art. 155 quinquies, I comma, c.c.,
rubricato “disposizioni in favore dei figli maggiorenni”.
Esso, inserito all’interno del capo V (del titolo VI del libro I) dedicato
allo scioglimento del matrimonio ed alla separazione dei coniugi, ha
espressamente previsto che “il giudice, valutate le circostanze, può
disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti
economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale
assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato
direttamente all’avente diritto”.
Posto che la prima parte del comma non pone particolari problemi
interpretativi (nella misura in cui si limita a positivizzare un costante
principio giurisprudenziale) e fermo restando che nessun dubbio
sussiste sulla esclusiva legittimazione ad agire in giudizio del figlio
maggiorenne non convivente con alcuno dei genitori, resta da
interrogarsi sulla effettiva portata innovativa della seconda parte del
citato comma, laddove si prevede il “versamento diretto” nelle mani
dell’avente diritto, con riguardo all’ipotesi di figlio maggiorenne non
autosufficiente convivente con uno dei genitori.
Secondo una prima tesi la novella avrebbe radicalmente capovolto il
precedente regime delineatosi in via giurisprudenziale, prevedendo il
diritto esclusivo (e quindi la “legittimazione” esclusiva ad agire in
giudizio per la) alla percezione dell’assegno del figlio maggiorenne
non autosufficiente, sicché, anche laddove il giudice della
separazione o del divorzio stabilisse il versamento nelle mani del
genitore convivente, questi non assumerebbe la veste di creditore
concorrente, ma di mero adiectus solutionis causa previsto in via
normativa.
Secondo altra tesi (pure sottesa ad alcune pronunzie già rese da
questo Tribunale) la norma in questione attribuirebbe il diritto alla
percezione dell’assegno di mantenimento, quale regola generale, al
figlio maggiorenne (“l’assegno è versato direttamente all’avente
diritto”), e solo in ipotesi residuali da verificare caso per caso un
diritto iure proprio al genitore convivente (“salva diversa
determinazione del giudice”).
Secondo una ulteriore tesi, poi, l’art. 155 quinquies, I comma,
seconda parte, c.c. si sarebbe limitato a dettare, in seno ai giudizi di
separazione e divorzio (ristretti ai coniugi), delle mere norme
regolanti il momento attuativo dell’obbligo di corresponsione
dell’assegno, prevedendo il versamento nelle mani direttamente del
figlio maggiorenne (“avente diritto”), ovvero del genitore convivente
laddove ravvisato opportuno dal giudice.
La norma de qua, dunque, lungi dall’escludere il diritto iure proprio
del genitore convivente alla percezione di un assegno a titolo di
contribuzione al mantenimento del figlio, si occuperebbe, in seno ai
giudizi di separazione e divorzio, esclusivamente delle sue modalità
attuative.
Questione processuale strettamente connessa alla precedente,
sebbene non rilevante nel caso di specie, è quella dell’attribuzione o
meno al figlio maggiorenne del ruolo di parte eventuale dei
procedimenti di separazione e divorzio, con la correlativa
ammissibilità del suo intervento, fino alla novella per lo più escluso
in ragione della constatazione che i giudizi de quibus sono stati
strutturati dal legislatore siccome “contese endoconiugali”.
Ebbene, laddove si reputi che l’art. 155 quiquies, I comma, seconda
parte, c.c. (norma rivolta al giudice della separazione e del divorzio),
abbia attributo al figlio maggiorenne un diritto esclusivo all’assegno
(prima tesi), ovvero anche laddove si reputi che ciò abbia fatto solo
in via generale (seconda tesi), appare difficile negare l’ammissibilità
dell’intervento.
Laddove invece si reputi che tale norma (rivolta al giudice della
separazione e del divorzio) abbia inteso esclusivamente regolare il
diritto del coniuge/genitore convivente alla percezione dell’assegno,
prevedendo il versamento diretto al figlio maggiorenne non
autosufficiente quale modalità alternativa di attuazione del predetto
diritto (terza tesi), non sembrerebbero emergere significative nuove
ragioni per discostarsi dalla tesi che negava l’ammissibilità
dell’intervento del figlio maggiorenne.
Questo essendo a grandi linee il panorama giurisprudenziale e
dottrinario in subiecta materia, ritiene il Tribunale, re melius
perpensa, di dovere prestare adesione all’ultimo indirizzo illustrato
per le ragioni dappresso spiegate.
Il fondamento giuridico del diritto del coniuge convivente alla
percezione dell’assegno di contribuzione al mantenimento del figlio
maggiorenne si rinviene, a tutt’oggi, nell’interesse patrimoniale del
primo a non anticipare la quota della prestazione gravante sull’altro
coniuge (debitore solidale ex art. 148 c.c.) e nel munus ad esso
spettante di provvedere direttamente ed in modo completo al
mantenimento, alla formazione ed all’istruzione del figlio (ex multis:
Cass. Civ., Sez. I, 3.4.2002, n. 4765 e diffusamente Cass. Civ., Sez.
I, 8.9.1998, n. 8868), interesse e munus che affondano le radici nelle
(immutate) disposizioni di cui agli artt. 147 e 148 c.c.,
Un tale diritto alla percezione, non solo delle somme già spese per il
mantenimento e ripetibili anche a titolo di gestione d’affari, ma
anche di quelle gravanti pro futuro e pro quota sull’altro genitore, si
ricava, poi, indiziariamente proprio dal II comma dell’art. 148 c.c.,
riguardante il concorso dei genitori negli oneri dei figli (tanto
maggiorenni quanto minorenni), ove è previsto che il Presidente del
Tribunale, in ipotesi di inadempimento di uno dei due coniugi, possa
disporre che una quota dei redditi dell’obbligato sia versata all’altro
coniuge o a chi sopporta direttamente le spese di mantenimento
della prole.
Milita ancora in favore della tesi che qui si sostiene la circostanza
che l’art. 155 quinquies, I comma, c.c., in ragione della sua
collocazione sistematica, contiene una norma (quella in esame)
direttamente rivolta al giudice della separazione e del divorzio,
chiamato a pronunciarsi sulla domanda di un coniuge di condanna
dell’altro alla corresponsione di un assegno in proprio favore,
all’interno di un procedimento che vede solo essi quali parti
processuali (vedi Corte Costituzionale, 14.7.1986, n. 185).
Il giudice della separazione e del divorzio, dunque, laddove investito
da una domanda proveniente dal genitore convivente con figlio
maggiorenne non autosufficiente, dovrà (sussistendone i
presupposti) riconoscere il diritto iure proprio del genitore
postulante, salva la facoltà di modulare in concreto il provvedimento
prevedendo un “versamento” (terminologia, questa, che ben si confà
alla regolamentazione di un mero aspetto attuativo del diritto) nelle
sue mani, ovvero direttamente nelle mani del figlio maggiorenne,
ovvero in parte all’uno ed in parte all’altro.
Tale impostazione non appare in alcun modo pregiudicare il
“concorrente” diritto del figlio maggiorenne alla percezione
dell’assegno di mantenimento, posto che in capo ad esso si configura
l’autonoma facoltà di iniziare un procedimento ordinario volto al
riconoscimento di quel diritto, facoltà peraltro che, come si è sopra
rammentato, la
ddove esercitata, esclude la legittimazione in capo al
genitore convivente (Cass. Civ., Sez. I, 24.12.2006, n. 4188; Cass.
Civ., Sez. I, 16.7.1998, n. 6950; Cass. Civ., Sez. I, 10849/1996;
Cass. Civ., Sez. I, 12.3.1992, n. 3019; Cass. Civ., Sez. I, 7.11.1981,
n. 5874).
Pur consapevole della portata di certo non strettamente ermeneutica
di un ragionamento che faccia leva sugli effetti derivanti da
un’interpretazione normativa, osserva il Collegio che siffatta
impostazione ha il pregio di non stravolgere la natura dei giudizi di
separazione e di divorzio, evitandone l’allargamento (anche in punto
di impugnazioni) ad ulteriori soggetti, il cui coinvolgimento in
processi ordinariamente ad elevata conflittualità può rivelarsi poco
opportuno e foriero di inutili strumentalizzazioni economiche e
morali.
Appare, peraltro, oltremodo opportuno che il figlio maggiorenne, pur
non potendosi ritenere parte del procedimento di separazione e
divorzio, sia comunque ascoltato dal Tribunale, al fine di avere una
rappresentazione completa delle circostanze di fatto rilevanti per la
decisione.
Vale la pena di osservare, poi, che le citate soluzioni attuative del
diritto iure proprio del coniuge convivente non si presentano, a ben
vedere, nella disposizione normativa in alcun significativo ordine
preferenziale, poiché la “diversa” decisione del giudice (rispetto al
versamento dell’assegno all’avente diritto) non è ancorata alla
sussistenza di alcun presupposto legale, né è definito residuale
(all’uopo non sembrando bastevole la locuzione adoperata “salvo
diversa determinazione”).
Ritiene il Collegio, in via esemplificativa e salvo l’esame del caso
concreto, che la modalità di versamento diretto nei confronti della
prole sia da preferirsi nell’ipotesi di figlio maggiorenne convivente ma
non stabilmente dimorante con il genitore (come nella classica
ipotesi dell’universitario fuori sede), ovvero in ipotesi di figlio
maggiorenne di età adulta, in quanto tale auspicabilmente
chiamando ad una corresponsabile gestione delle risorse finanziarie
della famiglia, ovvero nell’ipotesi di esistenza di una consolidata
prassi in tal senso.
Così ricostruito il quadro normativo attuale, può passarsi all’esame
del caso di specie, ove il figlio A. di 19 anni, convivente con la madre,
in sede di audizione ha dichiarato di ricevere dal padre un
contributo settimanale di € 70,00 (per complessivi € 280,00 mensili)
mediante versamento su carta di credito prepagata.
La madre convivente di A. è insegnante e gode di un reddito (anche
fondiario) imponibile annuo di circa € 25.000,00, mentre il padre ha
asserito, in sede di interrogatorio formale, di percepire una
retribuzione oscillante tra € 1.200,00 e 1.500,00 mensili, quale
dipendente di una impresa edile.
Il ricorrente, tuttavia, né nel presente giudizio, né in quello di
separazione (come si evince dalla lettura della sentenza versata in
atti) ha prodotto in giudizio le proprie dichiarazioni dei redditi,
sebbene gravato per legge di tale obbligo e sebbene a tanto
espressamente invitato dal giudice istruttore.
Alla luce del contegno processuale del resistente (ed in ragione
dell’impossibilità di disporre accertamenti tributari sui redditi dello
Z., cittadino, residente e svolgente attività lavorativa in Grecia,
nonché in difetto di allegazioni concrete delle parti sulla sua
possidenza di cespiti patrimoniali) ritiene il Collegio di potere
presumere una capacità contributiva dei genitori quanto meno
paritaria, anche in ragione del non florido momento patrimoniale
della resistente (alcuni dei cui beni immobiliari sono oggetto di
procedimenti esecutivi).
Ritenuto quanto sopra ed in considerazione delle esigenze
ordinariamente connesse all’età del figlio maggiorenne, il quale ha
peraltro manifestato l’intenzione di trasferirsi in altra regione per
intraprendere gli studi universitari, ritiene il Collegio di potere
fissare la misura del detto assegno gravante sullo Z. in € 380,00
mensili.
L’esistenza di una prassi consolidata (sulla cui efficacia nessuno ha
mosso doglianze) induce il Collegio a stabilire il versamento diretto
nelle mani del figlio maggiorenne non autosufficiente nella misura di
€ 280,00 mensili (anche mediante rate settimanali di pari importo
come avvenuto sino ad ora), ed il versamento di € 100,00 mensili
nelle mani della resistente genitore convivente, entro il giorno 5 di
ogni mese e presso il suo domicilio.
Affinché l’importo predetto rimanga adeguato anche in futuro, si
dispone che esso sia aggiornato automaticamente ogni anno secondo
gli indici del costo della vita per le famiglie di operai ed impiegati
elaborati dall’ ISTAT a decorrere dal mese di febbraio 2008 (indice
base febbraio 2007).
La natura del processo di separazione ed i motivi della decisione
integrano giusta causa di compensazione delle spese di lite.
P. Q. M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così decide:
a) dichiara cessati gli effetti civili del matrimonio concordatario
tra Z. C. e P. R. A.;
b) ordina all’ufficiale dello stato civile di Castelvetrano di
procedere all’annotazione della presente sentenza nel registro
degli atti di matrimonio, anno 1988, parte I, n. 1;
c) dichiara inammissibile la domanda di P. R. A. di condanna del
ricorrente al versamento di un assegno di mantenimento in
suo favore;
d) determina in € 380,00 l’assegno dovuto da Z. C. per il
mantenimento del figlio maggiorenne A. convivente con la
madre, e condanna il primo al versamento della somma di €
280,00 mensili (secondo le modalità di cui in parte motiva) al
figlio, nonché della somma di € 100,00 alla madre convivente
entro il giorno 5 di ogni mese presso il suo domicilio. Dispone
che l’assegno predetto sia annualmente rivalutato in
conformità al criterio indicato in motivazione;
e) compensa tra le parti le spese di lite.

Così deciso in Marsala, il 26.2.2007
IL PRESIDENTE

L’ESTENSORE

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Affidamento condiviso. Tribunale Catania, decreto 14/01/2007

TRIBUNALE DI CATANIA

Prima Sezione Civile

———–

Procedimento ex art. 9, l. 898/1970.

———–

Il Tribunale, riunito in camera di consiglio e composto dai magistrati

dr Antonio Maiorana Presidente

dr Giovanni Dipietro Giudice

dr Massimo Escher Giudice rel.

letti gli atti del procedimento n. 1074/2006 R. Gen. e il ricorso depositato, ex art. 155 ter c.c., da R.C., con il quale lo stesso ha chiesto che – a modifica delle condizioni stabilite con la sentenza dell’1.04.2005 di cessazione degli effetti civili del matrimonio a suo tempo contratto con M.C. – la figlia minore V. venga affidata condivisamente ad entrambi i coniugi, con conseguente sostituzione, almeno parziale, del regime di contribuzione indiretto con quello diretto;

sentite le parti all’ udienza camerale;

ritenuto che l’art. 155 cod. civ., come riformulato dalla legge 8.2.2006, n. 54 (disposizioni in materia di separazione dei coniugi e affidamento condiviso), prevede che anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e che per realizzare detta esigenza il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa, valutando prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati ad entrambi i genitori (salva la possibilità, in deroga a tale principio, di disporre l’affidamento esclusivo all’uno o all’altro);

Ritenuto, pertanto, che la regola è l’affidamento condiviso, mentre l’eccezione (giustificata da validi motivi) è l’affidamento esclusivo ad uno solo dei genitori;

Ritenuto che, tuttavia, nel caso di specie, ricorrono quelle giustificate ragioni ostative all’affidamento del minore anche al C., e ciò avuto esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale del minore;

ritenuto, infatti, che negli ultimi sette anni dalla cessazione della convivenza e quindi dalla comparazione dei coniugi innanzi al presidente nel giudizio di separazione, il C. ha pervicacemente disatteso i provvedimenti giudiziari con i quali era stato onerato del pagamento di una somma in favore della C. a titolo di contributo per il mantenimento della minore (da ultimo l’assegno era stato fissato dalla sentenza di divorzio in euro 280,00);

Ritenuto che tale ostinata violazione degli obblighi di mantenimento risulta confermata dalla sentenza con la quale, il 24.5.2006, il tribunale Penale di Catania ha condannato il C., ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 570, comma 2, n. 2, c.p., per violazione degli obblighi di assistenza, avendo fatto mancare i mezzi di sussistenza alla figlia minore V.;

Ritenuto che a fronte di tale inadempimento – si ripete – totale rispetto all’assegno fissato, prima, in sede di separazioni e, quindi, di divorzio, il C. ha saputo opporre soltanto presunti mantenimenti diretti, documentando, tuttavia, esclusivamente spese per poche centinaia di euro (in sette anni) la maggiorparte delle quali risalenti al 1999/200 ed una sola delle quali al 2004 (di 4 euro);

Ritenuto che il dovere di mantenimento è uno dei doveri primari previsto dall’art. 147 c.c. a carico dei genitori, essendo finalizzato ad assicurare l’esistenza in vita, la salute ed il benessere del minore, ed è quindi strettamente collegato con il dovere di assistenza (che deve essere non solo morale ma altresì “materiale”);

Ritenuto che tale collegamento è ben riconosciuto dalla giurisprudenza, allorquando, invero, ha individuato nel mancato mantenimento del figlio uno degli elementi necessari per realizzare lo stato di abbandono (Cass. 23.5.1997, 4619; Cass. 4.11.1996, n. 9776; Cass. pen. 18.3.1996, n. 4904);

Ritenuto che la violazione del dovere di mantenimento, per la sua gravità, nel caso di specie, non può non refluire sulla violazione del più ampio dovere di cura del minore, così da imporre un giudizio negativo sulle capacità genitoriali del C.;

Ritenuto che va, infine, respinta la domanda riconvenzionale della C. di aumento del contributo di mantenimento in questione, non risultando sostanziali modifiche delle esigenze della minore rispetto alla recente sentenza di divorzio;

Ritenuto che, in ragione della natura della controversia e dell’attività difensiva svolta, le spese in questione vanno compensate;

P.Q.M.

Rigetta le domande e compensa tra le parti le spese processuali.

Così deciso in Catania, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 14.1.2007.

Il Presidente

Affidamento condiviso. Trib. Catania, sent. 19/01/2007

Repubblica Italiana

in nome del Popolo Italiano

__________

IL TRIBUNALE DI CATANIA

Prima Sezione Civile

__________

composto dai magistrati

dr Antonio Maiorana Presidente

dr Giovanni Dipietro Giudice

dr Francesco Distefano Giudice rel. ed est.

ha emesso la seguente
SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 1303/03 R.G.Sep., avente ad oggetto separazione personale promossa
DA

T.G. n. Acireale il (…) e res. in (…) via (…)

rappr. e dif. per mandato a margine del ricorso introduttivo del giudizio dall’avv (…)presso il cui studio è elettivamente domiciliata.

Attrice

CONTRO

G.G. n (…) il (…) e res.in (…) via (…)

rappr. e dif. per mandato a margine del ricorso introduttivo del giudizio dall’avv. (…) presso il cui studio è elettivamente domiciliato .

Convenuto

Con l’intervento del pubblico ministero.

Rimessa al collegio per la decisione all’esito dell’udienza del 10.10.06 sulle conclusioni precisate come in atti.

*******

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 10.2.2003 T.G. chiedeva a questo Tribunale la pronuncia della sua separazione personale da. G.G..

Esponeva la ricorrente che il matrimonio, celebrato con il rito concordatario il 29.6.87 e dal quale erano nate i figli M. (…88) M. (…90) e M. (…93) era entrato in crisi a causa della condotta violenta e prevaricatrice del marito, tanto da costringerla 28.12.2001 ad allontanarsi da casa portando con sé i figli a P., dove si stabiliva; tornata nel mese di agosto, decideva di ritrasferirsi a C. (precisamente in un abitazione in V.) e dovendo sbrigare alcuni incombenti in P. lasciava momentaneamente i due figli più piccoli al marito; tuttavia questi da allora non aveva più inteso riconsegnaglieli.

Chiedeva quindi di pronunciare la chiesta separazione con affidamento a sé dei minori l’assegnazione della casa coniugale (in comproprietà) ed un assegno di mantenimento per sé (priva di reddito) e per i figli.

Rimasto vano il tentativo di conciliazione delle parti all’udienza presidenziale del 14.4.2003

il giudizio proseguiva nel merito.

Il convenuto costituitosi in giudizio, chiedeva l’affidamento dei figli e dichiarasi l’addebito della separazione alla moglie, esponendo che elle in realtà intratteneva da tempo una relazione adulterina con altro uomo; ciononostante egli aveva preferito pazientare, confidando nel ristabilirsi della situazione ed essendo disposto anche a dimenticare quanto avvenuto; a fronte di tali proposte riceveva però solo risate di scherno (da qui il diverbio insorto il giorno di natale del 2001); quindi la moglie il 28 dicembre dello stesso anno si a allontanava dal domicilio recandosi a P. insieme all’amante e ai figli, senza dare notizia alcuna; rientrata nel mese di agosto insieme ai figli, i due più piccoli decidevano, ritrovati i loro affetti, di non tornare con la madre.

Disposto (a seguito dell’udienza presidenziale del 14.4.03 ) ex art. 708 l’affidamento dei figli M. e M. al padre (con l’assegnazione conseguente in suo favore della casa coniugale) ed un assegno a carico del G. di €. 200,00 a titolo di concorso per il mantenimento dell’altro figlio M. affidato alla madre, la causa rimessa innanzi al g.i. veniva istruita mediante prova per testi e Ctu psicologica.

Acquisiti i documenti offerti in produzione veniva quindi rimessa al collegio che la decideva sulle conclusioni precisate come in atti.

Il pubblico ministero chiedeva pronunziarsi la separazione dei coniugi.
MOTIVI DELLA DECISIONE

Nel merito la domanda di separazione è fondata.

Invero, la separazione di fatto tra i coniugi, l’insuccesso del tentativo di conciliazione, la natura delle doglianze esposte e il comportamento mantenuto da entrambe le parti nella conduzione del presente giudizio sono tutti elementi che comprovano la sussistenza di una situazione tale da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza.

La separazione medesima va peraltro addebita a colpa della ricorrente T. essendo rimasto provato in giudizio che elle intratteneva da tempo una relazione extraconiugale col suo attuale compagno (tale B.F., vicino di casa) che il giorno 28 dicembre 2001 ha raggiunto a P., abbandonando improvvisamente il domicilio domestico e portando con sé i figli all’insaputa del marito.

La circostanza dell’esistenza di siffatta relazione, oltre ad esser acclarata dal fatto stesso che immediatamente dopo la separazione di fatto ella è andata a convivere col B. (donde è evidente che non essendo intercorso alcun intervallo temporale questa relazione già esisteva prima ed è stata la causa scatenante della separazione), è rimasta confermata dalla deposizioni resa dal figlio maggiore M. il quale appunto ha riferito del continuo stato di tensione dei genitori causato proprio da tale situazione, e poi sfociati nella lite del natale 2001 e successivo abbandono della casa tre giorni dopo da parte della T..

In ogni caso poi già l’abbandono del domicilio deve presumersi causa d’addebito ove non emergano (come nella specie) elementi di fatto dai quali evincere che in realtà l’intollerabilità della convivenza era maturata in epoca precedente per fatto non ascrivibile a colpa e che quella condotta ne costituisca solo l’effetto conseguente.

La circostanza poi che il G. abbia avuto violente reazioni a fronte del comportamento della moglie (come ha riferito sempre il figlio M.) non toglie rilievo al fatto che pur configurando in sé siffatta condotta violenta violazione di legge, cionondimento la causa originaria che ha reso intollerabile la convivenza e dalla quale è in sostanza scaturita la crisi della coppia rimane la violazione (continuata) dell’obbligo di fedeltà.

Per ciò che concerne i figli minori (di anni 16 M. e 13 M., mentre M. è ormai divenuto maggiorenne) essi vanno affidati ad entrambi i genitori ai sensi del novellato art. 155 c.c.

L’affidamento condiviso non può infatti o ritenersi precluso di per sé dalla mera conflittualità esistente (come nel caso in esame) tra i coniugi, poiché altrimenti avrebbe solo un applicazione residuale, coincidente con il vecchio affidamento congiunto (e ciò anche considerato il fatto che l’uno dei coniugi potrebbe strumentalmente innescare in via unilaterale i conflitti al fine magari di orientare il decidente verso un affidamento esclusivo).

Piuttosto nell’ipotesi di conflittualità o comunque di opportunità di programmazione pur nell’ambito dell’affidamento condiviso l’intervento del giudice soccorrerà oltre a stabilire con quale dei genitori la prole debba convivere,a disciplinare i diversi tempi di permanenza e la “elasticità” o – viceversa – “rigidità” delle disposizioni impartite al riguardo verrà graduata caso per caso sino anche a coincidere, per il genitore non convivente, con il vecchio “diritto di visita”: ma con la differe
nza in questo caso che verrà comunque conservato l’esercizio della potestà e quindi il diritto ad aver voce in capitolo anche nei rapporti con i terzi (ad esempio nell’ambito scolastico).

Inoltre proprio a causa della conflittualità esistente tra le parti è opportuno prevedere l’esercizio separato della potestà, nel senso che nei periodi di rispettiva permanenza ciascuno – disgiuntamente – e quindi senza l’accordo interno dell’altro (o anche contro la sua volontà) potrà effettuare le scelte di ordinaria amministrazione che più riterrà opportune.

Ciò detto occorre ulteriormente precisare che non può esser in ogni caso disposta l’assegnazione della casa coniugale (di proprietà comune) a nessuna delle parti giacché ai sensi del novellato art. 155 quater “il diritto al godimento della casa coniugale viene meno nel caso che l’assegnatario …conviva more uxorio", ed entrambi i coniugi, per come è pacifico, si trovano attualmente in tale situazione di convivenza.

La lettera della norma non lascia invero diverso spazio interpretativo vietando l’assegnazione con un automatismo che prescinde da ogni eventuale valutazione del concreto interesse dei minori, ritenendo evidentemente il legislatore che l’ingresso di un terzo stravolga l’originario habitat familiare a tutela del quale l’assegnazione medesima è preposta.

Va dunque revocata l’assegnazione della casa coniugale già disposta in favore del padre (affidatario dei due odierni figli minori dalla fase presidenziale) con la conseguenza che per l’immobile di cui trattasi – in comproprietà tra le parti – troverà applicazione l’ordinaria disciplina civilistica, da far eventualmente valere in altra sede.

Circa i rispettivi tempi di rispettiva permanenza va rilevato che il designato consulente dott.ssa V., con tre distinte relazione succedutesi ad intervalli di tempo tali da consentite di monitorare la situazione, con approfondita indagine ha accertato che sia M. che M. (la quale peraltro data l’età si sposta autonomamente) desiderano un riavvicinamento più intenso con la madre lasciando intuire di preferire di andare a vivere con lei, anche per il non buon rapporto) che hanno con la nuova compagna del padre (soprattutto M., ostile alla autorità, a differenza di quello, più sereno, che intrattengono con il convivente della madre).

Inoltre mentre la T. è casalinga il G. bracciante agricolo è spesso fuori per lavoro con la conseguenza che i minori di fatto rimangano affidati alle cura della conviventi o della zia. (e il più piccolo M. ha anche avuto un pessimo andamento scolastico tanto da perdere l’anno, benché la madre lo avesse iscritto ad un doposcuola dove il G. però – genitore affidatario – non lo ha mai condotto).

Ed ancora si consideri che il CTU ha evidenziato il bisogno di tutti e tre i fratelli di stare insieme – specie considerando l’attaccamento del più piccolo agli altri due – e l’ormai maggiorenne M. vive stabilmente per sua scelta con la madre (alla quale peraltro era stato anche affidato).

Così stando le cose reputa opportuno il Collegio che i due figli minori vivano prevalentemente con la madre ma con ampi tempi di permanenza col padre, e cioè, in mancanza di diversi accordi ogni martedì e giovedì pomeriggio; il primo e terzo week-end di ogni mese dalle 14 del sabato alle 20 della domenica successiva; nonché gli altri fine settimana alternando il sabato e la domenica; continuativamente, per venti giorni nel periodo estivo; per sette giorni, comprensivi ad anni alterni del Natale e del Capodanno, nel periodo natalizio; per tre giorni, comprensivi ad anni alterni della Pasqua e del lunedì dell’Angelo, nel periodo pasquale; ad anni alterni il giorno del compleanno e dell’onomastico.

Il resistente deve contribuire al mantenimento degli stessi (il maggiorenne lavora ed è economicamente indipendente) con il versamento di una somma proporzionata alle sue condizioni economico-finanziarie (è bracciante agricolo con entrate medie nette di circa di circa €. 1.000,00 mensili), che va determinata in 300,00 euro al mese (da rivalutarsi annualmente), oltre al 50% delle spese straordinaria di natura sanitaria e scolastica; e ciò con decorrenza dalla data di pubblicazione della presente sentenza (rimando valevoli per il pregresso i provvedimenti provvisori resi) .

Va ovviamente escluso il diritto della ricorrente all’assegno di mantenimento essendole stata addebitata la separazione.

Le spese processuali stante l’accoglimento della domanda di addebito vanno poste a carico della T. e liquidate come in dispositivo (ferma restando le spese di CTU a carico della parte che di volta in volta le ha anticipate).

P.T.M.

Il Tribunale, definitivamente decidendo, pronuncia la separazione personale dei coniugi T.G. e G. G..

Addebita la separazione a carico dell’attrice T..

Affida ad entrambi i genitori i figli minori con l’esercizio separato della potestà nei periodi di rispettiva permanenza.

Dispone che gli stessi vivano con la madre e regolamenta i periodi di permanenza del padre come in parte motiva.

Revoca l’assegnazione della casa coniugale in favore del G. per le ragioni di cui in motivazione.

Pone a carico del G. l’obbligo di corrispondere mensilmente alla moglie, a titolo di contributo per il mantenimento dei due minori, un assegno mensile di €. 300,00 (che dovrà essere automaticamente adeguato ogni anno con riferimento agli indici ISTAT), oltre al 50% delle spese straordinaria di natura sanitaria e scolastica; e ciò con decorrenza dalla data di pubblicazione della presente sentenza.

Rigetta la domanda di assegno di mantenimento per sé avanzata dall’attrice.

Condanna la ricorrente T. al pagamento delle spese processuali che liquida in €. 1.600,00 per onorario ed €. 800,00 per diritti oltre iva e c.p.a..

Cosi deciso in Catania il 19.1.07

Il Giudice est Il Presidente