Non può essere ritenuto redattore chi non è giornalista, e chi svolge un lavoro che non ha caratteristiche redazionali.
Ai fini del riconoscimento della qualifica di collaboratore è necessario soltanto che l’attività sia continuativa, con un minimo mensile obbligatorio di almeno otto collaborazioni al mese.
E’ irrilevante che la pubblicazione degli articoli sia soggetta al vaglio discrezionale dei redattori e dei capi servizio.
Va tenuta in considerazione la competenza in alcuni campi specie se alcune rubriche vengono affidate in maniera pressochè esclusiva, nonchè l‘elevata produzione di articoli che provano di essere in presenza di una attività lavorativa caratterizzata dalla costanza dell’impegno e dalla continuità della prestazione.
Il rapporto di collaborazione fissa può sussistere anche il difetto di un obbligo di orario e di una postazione fissa.
Ai fini della integrazione della qualifica di redattore e della sua distinzione dalie altre figure di giornalisti, è imprescindibile il requisito della quotidianità della prestazione in contrapposizione alla semplice sua continuità, caratterizzante la figura del collaboratore fisso.
Non è di per sè sufficiente lo svolgimento di compiti propri di ogni attività giornalistica (quali il controllo della notizia e la sua elaborazione, la stesura di pezzi o di articoli) e l’esecuzione di inchieste (modalità di acquisizione e verifica delle notizie su un tema, di cui possono servirsi anche i redattori in sede, i corrispondenti e i collaboratori fissi), in caso, poi, di accertata eccedenza delle attività svolte dal lavoratore rispetto a quelle del normale corrispondente, può configurarsi il diritto del medesimo ad un’integrazione della retribuzione ex art. 36 Cost.” (Cass. civ., 28 luglio 1995, n. 8260).
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Licenziamento per svolgimento di attività durante la malattia
Lo svolgimento da parte del dipendente di una attività lavorativa in proprio o presso terzi durante il periodo di assenza dal lavoro per malattia può giustificare il licenziamento per violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, oltre che nell’ipotesi in cui l’attività esterna sia di per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, anche quando la medesima attività, valutata “ex ante” in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione e con essa il rientro del lavoratore in servizio.
Cassazione civile , sez. lav., 24 aprile 2008, n. 10706
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Licenziamento per rifiuto di eseguire la prestazione
E’ illegittimo il licenziamento per rifiuto del lavoratore di eseguire la prestazione, allorquando il rifiuto sia giustificato dalle condizioni insalubri dell’ambiente di lavoro.
Cassazione civile, sent. 11664/2006
Licenziamento per dipendenza da alcool
Nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, la dipendenza da alcool non è di per sè motivo sufficiente a far venire meno la fiducia del datore di lavoro, essendo necessario accertare di volta in volta la condotta del dipendente, nella concretezza dello svolgimento del rapporto, così come per ogni altro lavoratore, alla stregua degli ordinari criteri stabiliti dalla legge e dal contratto collettivo, al fine di valutare la legittimità o meno della sanzione irrogata. (Nella specie, la sentenza di merito, confermata dalla S.C., aveva ritenuto legittimo il licenziamento irrogato ad un dipendente bancario, avendo accertato che il provvedimento non era stato adottato per il fatto in sè della patologia da cui questi era affetto, ma per taluni comportamenti particolarmente gravi dello stesso dipendente che, ancorché favoriti dal suo stato psichico, avevano comportato discredito e disordine anche nei confronti della clientela).
Cassazione civile , sez. lav., 26 maggio 2001, n. 7192
Licenziamento per insubordinazione e minacce
I continui episodi di insubordinazione da parte del lavoratore, consistenti nel rifiuto reiterato di svolgere le proprie mansioni e nell’uso di espressioni ingiuriose e minacciose nei confronti dei superiori gerarchici, in quanto suscettibili di ledere il vincolo fiduciario tra il datore e il dipendente giustificano l’intimazione del licenziamento per giusta causa.
Cassazione civile , sez. II, 01 dicembre 2004, n. 22532
Licenziamento preavviso
La giusta causa e il giustificato motivo soggettivo di licenziamento costituiscono mere qualificazioni giuridiche di comportamenti ugualmente idonei a legittimare la cessazione del rapporto di lavoro, l’uno con effetto immediato e l’altro con preavviso, con il conseguente potere del giudice – e senza violazione del principio generale di cui all’art. 112 c.p.c. – di valutare un licenziamento intimato per giusta causa come licenziamento per giustificato motivo soggettivo (fermo restando il principio dell’immutabilità della contestazione e persistendo la volontà del datore di risolvere il rapporto), attribuendo al fatto addebitato al lavoratore la minore gravità propria di quest’ultimo tipo di licenziamento. Da questo principio consegue che nelle più ampie pretese economiche, collegate dal lavoratore all’annullamento del licenziamento, asserito come ingiustificato, ben può ritenersi compresa quella, di minore entità, derivante da un licenziamento che, pur qualificandosi come giustificato, prevedeva il diritto del lavoratore al preavviso.
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Licenziamento per appropriazione indebita
Il giudizio circa la gravità delle infrazioni commesse da parte del lavoratore subordinato e la loro attitudine a costituire giusta causa o giustificato motivo di licenziamento implica un accertamento di fatto demandato al giudice di merito, la cui valutazione è incensurabile in cassazione se priva di errori logici o giuridici. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, con cui era stata rigettata l’impugnativa proposta contro un licenziamento disciplinare intimato a un lavoratore addetto alla cassa di un supermercato di alimentari, che – secondo la ricostruzione giudiziale – aveva commesso un’appropriazione indebita, intenzionalmente registrando uno degli articoli acquistati da un cliente per un importo inferiore di L. 10.000 a quello effettivo, integrando poi lo scontrino fiscale a penna sul retro e facendosi corrispondere la somma complessiva, con esposizione quindi della datrice di lavoro a gravi responsabilità di tipo contabile e fiscale).
Cassazione civile , sez. lav., 28 settembre 1996, n. 8571
Licenziamento per scarso rendimento
È legittimo il licenziamento intimato al lavoratore per scarso rendimento qualora sia risultato provato, sulla scorta della valutazione complessiva dell’attività resa dal lavoratore stesso ed in base agli elementi dimostrati dal datore di lavoro, una evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente – ed a lui imputabile – in conseguenza dell’enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione per il lavoratore e quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento, avuto riguardo al confronto dei risultanti dati globali riferito ad una media di attività tra i vari dipendenti ed indipendentemente dal conseguimento di una soglia minima di produzione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata con la quale era stata affermata la legittimità del recesso datoriale in relazione alla violazione dell’obbligo contrattuale di collaborazione da parte di un ispettore dipendente di una società assicurativa secondo i programmi di produzione e le direttive impartite, ravvisando la congruità della motivazione circa la valutazione delle risultanze acquisite comprovanti il notevole calo del rendimento nell’arco degli ultimi anni del rapporto di lavoro comparato in percentuale con quello dei colleghi e l’imputabilità dello scarso rendimento alla negligenza del lavoratore).
Cassazione civile , sez. lav., 22 febbraio 2006, n. 3876
Licenziamento per assenza ingiustificata
In tema di licenziamento della lavoratrice in stato di gravidanza, l’art. 2, comma 3, lett. a, della legge n. 1204 del 1971 per rendere inoperante il divieto di licenziamento richiede la “colpa grave da parte della lavoratrice” quale requisito più severo del giustificato motivo di cui all’art. 1 legge n. 604 del 1966 o dalle previsioni disciplinari del contratto collettivo, ma tale verifica deve essere eseguita tenendo conto del comportamento complessivo della lavoratrice, in relazione alle sue particolari condizioni psicofisiche legate allo stato di gestazione, le quali possono assumere rilievo ai fini dell’esclusione della gravità del comportamento sanzionato solo in quanto abbiano operato come fattori causali o concausali dello stesso. (Nella specie la S.C ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto legittimo il licenziamento di una lavoratrice, assentatasi ingiustificatamente per dieci giorni consecutivi, che sette giorni dopo la contestazione aveva fatto pervenire un certificato medico giustificativo, a fronte di una previsione contrattuale che comminava la sanzione del licenziamento per assenza ingiustificata di tre giorni, con obbligo di giustificazione entro un giorno dall’assenza stessa).
Cassazione civile , sez. lav., 17 agosto 2004, n. 16060
Licenziamento per carcerazione preventiva
Con riguardo alla carcerazione preventiva del lavoratore per fatti estranei allo svolgimento del rapporto di lavoro, la quale non costituisce inadempimento di obblighi contrattuali ma integra un fatto oggettivo determinante una sopravvenuta impossibilità temporanea della prestazione lavorativa, la persistenza o meno, nel datore di lavoro di un apprezzabile interesse a ricevere le ulteriori prestazioni del lavoratore detenuto dev’essere valutata alla stregua di criteri oggettivi, riconducibili a quelli fissati nell’ultima parte dell’art. 3 l. 15 luglio 1966 n. 604, e cioè con riferimento alle oggettive esigenze dell’impresa, da valutare, con giudizio “ex ante” e non già “ex post”, tenendo conto delle dimensioni della stessa, del tipo di organizzazione tecnicoproduttiva in essa attuato, della natura ed importanza delle mansioni del lavoratore detenuto, nonché del già maturato periodo di sua assenza, della ragionevolmente prevedibile ulteriore durata della sua carcerazione, della possibilità di affidare temporaneamente ad altri le sue mansioni senza necessità di nuove assunzioni e, più in generale, di ogni altra circostanza rilevante ai fini della determinazione della misura della tollerabilità dell’assenza. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza del giudice di merito che aveva respinto l’impugnazione del licenziamento valorizzando il dato della prevedibile durata della carcerazione preventiva, desumibile dal titolo di reato).
Cassazione civile , sez. lav., 05 maggio 2003, n. 6803