Violazione della ragionevole durata del processo.
CORTE DI APPELLO DI L’AQUILA RICORSO EX ART. 2 L. 89/2001
Per: Ing. L. G., residente in R. (61037), via …… codice fiscale ……, rappresentato e difeso dall’Avv. Mirco Minardi, giusta delega a margine del presente atto, ai fini della presente procedura, presso lo studio dell’Avv. …….;
Contro: Ministero della Giustizia, in persona del Ministro in carica, domiciliato in L’Aquila, via Portici S. Bernardino, N. 2, presso gli uffici dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis,
In punto a: equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo civile n. ……. deciso dal Tribunale di Ancona con sentenza non notificata, depositata il ………
I IN FATTO
1. In data 30 aprile 1991, l’odierno ricorrente, professionista abilitato con il titolo di ingegnere civile, era citato a comparire dal Sig. Maurizio R. e dalla ditta G. G. S.r.l per l’udienza del 30.09.1991, innanzi al Tribunale di Ancona, nel procedimento iscritto al n. ….
2. Gli attori avevano adito il tribunale per ottenere la declaratoria di risoluzione del contratto datato 02/03/1990, asseritamente per fatto e colpa dell’odierno ricorrente professionista, nonché per sentire condannare il medesimo al pagamento della somma di lire 9.710.152.
3. Con decreto presidenziale del 03.02.1992, il procedimento era assegnato alla seconda sezione civile del Tribunale di Ancona.
4. Successivamente, con decreto del Presidente della seconda sezione civile, il processo era assegnato al Giudice Istruttore, il quale fissava la prima udienza per il giorno 14.05.1992.
5. Alla prima udienza del 14.05.1992, la causa veniva rinviata dal Giudice istruttore al giorno 10 dicembre 1992, stante l’assenza del convenuto.
6. Il convenuto si costituiva all’udienza del 10.12.1992; in tale occasione, la difesa dell’attore chiedeva un termine per l’esame degli scritti difensivi della controparte. Il giudice accordava il termine richiesto rinviando la causa al giorno 4 maggio 1993.
7. All’udienza del 4.05.1993 le parti chiedevano e ottenevano dal giudice un termine per l’articolazione dei mezzi istruttori, per effetto del quale la causa veniva rinviata all’udienza del 21 dicembre 1993.
8. All’udienza del 21.12.1993 le parti formulavano al giudice istruttore richiesta di fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni, che veniva fissata per il giorno 24 maggio 1994.
9. All’udienza del 24 maggio 1994, la difesa di parte attrice chiedeva l’interrogatorio del convenuto sulle premesse dell’atto di citazione; l’udienza veniva così rinviata al 21 febbraio 1995.
10. All’udienza del 21.02.1995, il difensore dell’attuale ricorrente depositava foglio di deduzioni; stante la richiesta di un termine da parte della difesa dell’attore, il giudice istruttore rinviava la causa all’udienza del 23 gennaio 1996.
11. All’udienza del 23.01.1996 il difensore di parte convenuta chiedeva la fissazione dell’udienza per la precisazione delle conclusioni, che veniva fissata al 17 dicembre 1996.
12. All’udienza del 17.12.1996, la difesa di parte convenuta precisava le proprie conclusioni, mentre la difesa di parte attrice chiedeva breve termine per la formulazione dei mezzi istruttori o per la precisazione delle conclusioni: il giudice rinviava all’udienza del 21 gennaio 1997.
13. All’udienza del 21.01.1997, la difesa degli attori chiedeva ammettersi prova per interrogatorio formale del convenuto, odierno ricorrente, nonché prova per testi. Il Giudice, dopo essersi riservato sulle richieste avanzate, ritenendo la causa sufficientemente istruita, invitava le parti a precisare le proprie conclusioni da sottoporre al Collegio, fissando a tal fine l’udienza del 15 aprile 1997.
14. All’udienza del 15.04.1997, le parti precisavano le conclusioni ed il giudice istruttore rinviava per la discussione all’udienza del 19 novembre 1999.
15. Quest’ultima udienza, tuttavia, non veniva mai tenuta, perché nel frattempo entrava in vigore la l. 276/1997, istitutiva delle Sezioni Stralcio, che determinò una situazione di stasi del procedimento de quo dal 15 aprile del 1997 fino al 2 ottobre 2002.
16. In particolare, la Cancelleria della Sezione Stralcio, con proprio biglietto, informava le parti che la causa sarebbe proseguita per l’istruttoria innanzi al Giudice Onorario Aggregato (GOA) in data
15 dicembre 2000; detto giudice, però, per propri problemi di salute, rinviava le udienze fissate in tale data al giorno 13 aprile 2001.
17. Con nuovo biglietto, la cancelleria informava le parti che il procedimento era stato assegnato ad altro magistrato, con l’effetto che la nuova udienza veniva fissata per il giorno 22 marzo 2002.
18. All’udienza del 22/03/2002, poiché nessuna delle parti si presentava in udienza, il giudice rinviava la causa al 2 ottobre 2002.
19. All’udienza del 02/10/2002, le parti chiedevano un rinvio per concreta possibilità di risolvere la questione in via bonaria; il giudice fissava nuova udienza al 23 gennaio 2003.
20. All’udienza del 23/01/2003, si costituiva un nuovo procuratore in nome e per conto dell’odierno ricorrente. La difesa dell’attore chiedeva un termine per esame che il giudice concedeva, rinviando la causa all’udienza del 22/02/2003.
21. L’udienza del 22/2/2003 era rinviata al 13/03/2003 per impedimento del giudice.
22. All’udienza del 13/03/2003, la causa era rinviata al 16/10/2003, su concorde richiesta delle parti per la pendenza di trattative.
23. All’udienza del 16/10/2003 le parti non comparivano e per l’effetto la causa era rinviata d’ufficio al 14/05/2004 e successivamente al 30/06/2004.
24. All’udienza del 30/06/2004 la causa era rinviata per la precisazione delle conclusioni all’udienza del 30/09/2004.
25. All’udienza del 30/09/2004, il giudice tratteneva la causa in decisione. La sentenza veniva depositata il 18 maggio 2005; con essa le domande degli attori venivano integralmente rigettate. Le spese del procedimento erano compensate.
II IL DIRITTO AD UNA DURATA RAGIONEVOLE DEL PROCESSO NELLA GIURISPRUDENZA DELLE SEZIONI UNITE DELLA CASSAZIONE
Preliminarmente all’esame del caso concreto, questa difesa intende fornire gli elementi di diritto alla base della domanda, sulla scorta delle recenti sentenze della Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sent. n. 1338-1339-1340/2004).
Con le suddette sentenze, infatti, le Sezioni Unite, stante la particolare rilevanza della materia ed i contrasti di giurisprudenza verificatisi all’interno della sezione I, hanno fissato i seguenti importanti principi.
II. 1 SULLA NATURA DEL DIRITTO ALLA RAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO
A. L’art. 111, secondo comma, Cost. (nel testo risultante a seguito della legge costituzionale 23 novembre 1999 n. 2), nella norma secondo cui “la legge assicura la ragionevole durata” di ogni processo, si integra con l’art. 6 della CEDU, il quale dispone che “ogni persona ha diritto ad una udienza…entro un termine ragionevole”.
B. Il bene tutelato dalle due disposizioni normative è, infatti, il medesimo: la durata ragionevole del processo.
C. Deve ritenersi, in conformità con l’interpretazione della Corte Costituzionale, che il diritto della parte ad un processo che non si protragga in modo irragionevole sia previsto e trovi la propria tutela nella Costituzione, di cui pertanto la legge n. 89/2001 costituisce attuazione.
D. In particolare, il fatto giuridico che fa sorgere il diritto all’equa riparazione da essa prevista è costituito dalla “violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955 n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione”.
II. 2 SUL RUOLO DELLA CORTE DI STRASBURGO
E. La legge n. 89/2001 identifica il fatto costitutivo del diritto all’indennizzo per relationem, riferendosi ad una specifica norma della CEDU. Questa Convenzione ha istituito un giudice (Corte europea dei diritti dell’uomo) per il rispetto delle disposizioni in essa contenute (art. 19), onde non può che riconoscersi a detto giudice il potere di individuare il significato di dette disposizioni e perciò di interpretarle.
F. Poiché il fatto costitutivo del diritto attribuito dalla legge n. 89/2001 consiste in una determinata violazione della CEDU, spetta al Giudice della CEDU individuare tutti gli elementi di tale fatto giuridico, che pertanto finisce con l’essere “conformato” dalla Corte di Strasburgo, la cui giurisprudenza si impone, per quanto attiene all’applicazione della legge n. 89/2001, ai giudici italiani.
II. 3 Il DANNO NON PATRIMONIALE NELLA GIURISPRUDENZA DI STRASBURGO E DELLE SEZIONI UNITE
G. Dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo si desume che il danno non patrimoniale conseguente alla durata non ragionevole del processo, una volta che sia stata provata detta violazione dell’art. 6 della CEDU, viene normalmente liquidato alla vittima della violazione, senza bisogno che la sua sussistenza sia provata, sia pure in via soltanto presuntiva. E ciò a differenza del danno patrimoniale, per cui si richiede invece la prova della sua esistenza.
H. Siffatto orientamento interpretativo della Corte europea non va inteso, però, nel senso che il danno non patrimoniale sia insito nella mera esistenza della violazione, in quanto tale tesi interpretativa si porrebbe in chiaro contrasto proprio con l’art. 41 CEDU, ove si prevede che, accertata la violazione, la Corte europea accorda un’equa soddisfazione alla parte lesa “quando è il caso”, e quindi non in tutti i casi.
I. Va dunque accolta, per le Sezioni Unite, la tesi del c.d. danno-evento, e cioè del danno non patrimoniale insito nella violazione della durata ragionevole del processo.
J. Il danno non patrimoniale, anche secondo la CEDU, costituisce una conseguenza di detta violazione, la quale, però, a differenza del danno patrimoniale, si verifica normalmente, e cioè di regola, per effetto della violazione stessa. Ed invero è normale che l’anomala lunghezza della pendenza di un processo produca nella parte che vi è coinvolta un patema d’animo, un’ansia, una sofferenza morale che non occorre provare, sia pure attraverso elementi presuntivi. Trattasi di conseguenze non patrimoniali che possono ritenersi presenti secondo l’id quod plerumque accidit, senza bisogno di alcun sostegno probatorio relativo al singolo caso.
K. Più in generale, può dirsi che la piena consapevolezza nella parte processuale civile della infondatezza delle proprie istanze o della loro inammissibilità rende inesistente il danno non patrimoniale, perché tale consapevolezza fa venire meno l’ansia ed il malessere correlati all’incertezza della lite, essendo con gli stessi incompatibile (v., in tal senso, Cass. 11 dicembre 2002 n. 17650; 18 settembre 2003 n.13741).
L. In assenza di tali situazioni particolari che si rilevino presenti nel singolo caso concreto, il danno non patrimoniale non può essere negato alla persona che ha visto violato il proprio diritto alla durata ragionevole del processo, ed ha perciò subito l’afflizione causata dall’esorbitante attesa della decisione (a prescindere dall’esito della stessa, e quindi anche se di contenuto sfavorevole alla vittima della violazione).
M. Il ritenere che il danno non patrimoniale si verifica normalmente per effetto della violazione dell’art. 6 della CEDU (sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole) non si pone in contrasto con le disposizioni della legge n. 89/2001, ed in particolare con l’art. 2, che configura il diritto all’equa riparazione.
N. Deve, quindi, ritenersi che non sia in contrasto con la CEDU la norma dell’art. 2 della legge n. 89/2001, la quale ricollega l’indennizzo all’avere “subito un danno patrimoniale o non patrimoniale”, non considerando sufficiente l’accertamento della mera violazione della CEDU.
O. A proposito del danno non patrimoniale derivante dalla violazione dell’art. 6 della CEDU, può parlarsi non di danno insito nella violazione (danno in re ipsa), ma di prova (del danno) di regola in re ipsa, nel senso che provata la sussistenza della violazione, ciò comporta, nella normalità dei casi, anche la prova che essa ha prodotto conseguenze non patrimoniali in danno della parte processuale.
P. Tale consequenzialità, proprio perché normale e non necessaria o automatica, può trovare, nel singolo caso concreto, una positiva smentita qualora risultino circostanze che, come si è precisato dimostrino che quelle conseguenze non si sono verificate.
Q. Siffatta interpretazione, relativa alla prova del danno non patrimoniale richiesto dalla legge n. 89/2001, deve ritenersi consentita dalle disposizioni contenute in detta legge, e va adottata al fine di porla in piena sintonia con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sulle conseguenze del mancato rispetto del termine ragionevole, evitandosi così i dubbi di contrasto della stessa legge con la Costituzione italiana.
II. 4 LA QUANTIFICAZIONE DEL DANNO NON PATRIMONIALE
R. Per quanto attiene alla quantificazione del danno non patrimoniale, nella decisione Scordino, la Corte di Strasburgo ha precisato, con specifico riferimento alla riparazione del danno non patrimoniale, che il giudice nazionale “può allontanarsi da un’applicazione rigorosa e formale dei criteri adottati dalla Corte” europea, ma, pure conservando un “margine di valutazione”, non può liquidare somme che non siano in “relazioni ragionevoli con la somma accordata dalla Corte negli affari simili”, restando quindi fermo il suo dovere di “conformarsi alla giurisprudenza della Corte così accordando somme conseguenti”.
S. La legge n. 89/2001 non pone alcun ostacolo a tale dovere di prendere a punto di riferimento dell’equa riparazione del danno non patrimoniale la giurisprudenza della Corte europea, perché detta legge richiama, attraverso l’art. 2056 c.c., l’art. 1226 c.c., che prevede una valutazione con criteri equitativi, i quali possono essere commisurati, in linea generale, all’equa soddisfazione prevista dall’art. 41 CEDU.
T. Consegue che i criteri di determinazione del quantum della riparazione applicati dalla Corte europea non possono essere ignorati dal giudice nazionale, anche se questi può discostarsi in misura ragionevole dalle liquidazioni effettuate a Strasburgo in casi simili.
U. Tale regola di applicazione della legge n. 89/2001, per quanto attiene alla riparazione del danno non patrimoniale, ha natura giuridica, perché inerisce ai rapporti tra la detta legge e la CEDU, onde il mancato rispetto di essa da parte del giudice del merito concretizza il vizio di violazione di legge denunziabile alla Corte di legittimità.
V. L’ambito giuridico della riparazione equitativa del danno non patrimoniale è, in altri termini, segnato dal rispetto della CEDU, per come essa vive nelle decisioni, da parte di detta Corte, di casi simili a quello portato all’esame del giudice nazionale.
III SULLA IRRAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO “DE QUO”
Il processo de quo è durato in primo grado dal 30 aprile 1991 al 18 maggio 2005, data di deposito della sentenza.
Attualmente sono ancora in corso i termini per proporre appello.
Complessivamente, dunque, esso è stato pendente per 4.979 giorni, come si evince dalla seguente tabella:
UDIENZA RINVIO CAUSALE DEL RINVIO GIORNI
30/04/91 14/05/92 Rinvio presidenziale 227
14/05/92 10/12/92 Rinvio per assenza convenuto 210
10/12/92 04/05/93 Rinvio per richiesta termine 145
04/05/93 21/12/93 Rinvio per articolazione mezzi istruttori 231
21/12/93 24/05/94 Rinvio per fissazione udienza di pc 154
24/05/94 21/02/95 Rinvio per richiesta mezzi istruttori 273
21/02/95 23/01/96 Rinvio per richiesta termine 336
23/01/96 17/12/96 Rinvio per richiesta udienza di pc 329
17/12/96 21/01/97 Rinvio per richiesta mezzi istruttori 35
21/01/97 15/04/97 Rinvio per udienza di pc 84
15/04/97 22/03/02 Rinvio per la discussione 1802
22/03/02 02/10/02 Rinvio per assenza parti 194
02/10/02 23/01/03 Rinvio per trattative 113
23/01/03 22/02/03 Rinvio per richiesta termine 30
22/02/03 13/03/03 Rinvio per impedimento del giudice 19
13/03/03 16/10/03 Rinvio per trattative 217
16/10/03 14/05/04 Rinvio per assenza delle parti 211
14/05/04 30/06/04 Rinvio d’ufficio 47
30/06/04 30/09/04 Rinvio per pc 92
30/09/04 18/05/05 Deposito sentenza 230
TOTALE 4979
Nel valutare la durata ragionevole, la legge stabilisce che occorre considerare la complessità della causa, il comportamento delle parti e il comportamento delle autorità procedenti.
Anche tenendo in considerazione i tre elementi indicati dalla legge, il processo de quo ha avuto comunque una durata irragionevole.
Va anzitutto evidenziato che si trattava di una causa assai semplice, avente ad oggetto l’accertamento di un inadempimento contrattuale. Nel corso del giudizio non sono state assunte prove costituende, ma solo prove precostituite; il numero delle parti è rimasto invariato; non vi sono state questioni di particolare complessità da trattare.
L’irragionevole durata è riconducibile al comportamento dell’amministrazione giudiziaria, per l’omesso adeguamento delle strutture giudiziarie, sia sotto il profilo normativo, sia sotto il profilo organizzativo.
Il lungo intervallo intercorrente tra le varie udienze, è certamente riferibile alla ben nota inadeguatezza degli organici del personale giudicante.
Venendo al “comportamento della parte”, occorre dire che durante i lunghi anni del processo, alcuni slittamenti si sono avuti per la mancata comparizione delle stesse (dal 14/05/92 al 10/12/92 = 210 giorni – dal 16/10/2004 al 14/05/2005 = 210 giorni ) o per la richiesta di rinvii (durante la fase finale) giustificati da trattative in corso (dal 2/10/2002 al 23/01/2003 e dal 13/3/03 al 30/06/2004 = 587 giorni) per complessivi 1.007 giorni.
Sottraendo al numero complessivo dei giorni di durata del processo (pari a 4.979), i giorni di ritardo, per così dire, “imputabili” alle parti (1.007), si ha comunque una durata complessiva di 3.972 giorni, che rapportata in anni è superiore a 10!!!
Di questi, per oltre 5 anni e 6 mesi e precisamente dal 15/04/1997 al 02/10/2005 il processo non ha avuto alcuna udienza. Più precisamente dal 15/04/1997 al 15/12/2000 il processo è rimasto in “letargo”, in attesa dell’incardinamento dei G.O.A. alle sezioni stralcio. Successivamente, per impedimento del giudice nominato e per disfunzioni della cancelleria, il processo è rimasto bloccato sino al 02/10/2002.
Se si considera che in base alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo la durata ragionevole del processo di primo grado è di due – tre anni, si ricava che nella fattispecie vi è stata una durata irragionevole quantificabile in almeno 8-9 anni.
Senza contare, poi, che anche laddove il processo si è protratto per colpa delle parti (loro assenza) il rinvio disposto è stato eccessivo e dunque non imputabile integralmente alle stesse.
IV SUL DANNO NON PATRIMONIALE SUBITO DAL RICORRENTE E SULLA SUA QUANTIFICAZIONE.
Una volta accertato che il processo ha avuto una durata irragionevole non imputabile alla parte, la prova del danno, in base alla giurisprudenza della C.E.D.U. e delle Sezioni Unite della Cassazione, è in re ipsa, salvo che circostanze del caso escludano in concreto l’esistenza di detto danno.
Non vi è dubbio che il prolungarsi della pendenza del processo abbia prodotto nell’attuale ricorrente una non trascurabile ansia e un patema d’animo.
Per quanto concerne le circostanze del caso concreto, appare evidente che il convenuto non si è giovato affatto della lunga durata del processo, tutt’altro!!!
Il Sig. G. è, infatti, un libero professionista conosciuto e stimato per la sua preparazione, correttezza e rettitudine, che si è visto protagonista, suo malgrado, di un processo durato oltre 13 anni, in cui si metteva in dubbio proprio la sua professionalità.
Il processo ha rappresentato per l’odierno ricorrente fonte di preoccupazione, ansia e stress, perché oltre a mettersi nel dubbio la sua professionalità si cercava di attentare anche al suo patrimonio, con una richiesta di condanna tanto impudente quanto imprudente, a cui il Tribunale ha reso però giustizia.
Il professionista ha vissuto per anni nell’ansia dovuta all’incertezza circa l’esito del giudizio. Tali stati d’animo non possono non portare, come auspicato ad un risarcimento del danno.
In proposito, va ricordato che la Corte europea, in due decisioni emanate il 19 febbraio 2002 e relative a ritardi della giustizia italiana, ha determinato l’equa soddisfazione per il danno non patrimoniale nella somma di euro 10.000 per un giudizio di primo grado che è durato poco più di otto anni (Sardo c. Italia) e nella somma di euro 8.000 per un giudizio che è durato sette anni ed undici mesi (Donato c. Italia).
Tenendo in considerazione la giurisprudenza della Corte di Strasburgo sopra citata ed essendo la durata irragionevole nel caso de quo di oltre 7 anni, si ritiene equo proporre un indennizzo di 12.000,00 euro, tenuto anche conto della svalutazione monetaria nel frattempo intervenuta dalla emanazione delle decisioni sopra citate, risalenti al 2002.
Alla luce di quanto sopra si rassegnano le seguenti
Una volta accertato che il processo ha avuto una durata irragionevole non imputabile alla parte, la prova del danno, in base alla giurisprudenza della C.E.D.U. e delle Sezioni Unite della Cassazione, è in re ipsa, salvo che circostanze del caso escludano in concreto l’esistenza di detto danno.
Non vi è dubbio che il prolungarsi della pendenza del processo abbia prodotto nell’attuale ricorrente una non trascurabile ansia e un patema d’animo.
Per quanto concerne le circostanze del caso concreto, appare evidente che il convenuto non si è giovato affatto della lunga durata del processo, tutt’altro!!!
Il Sig. G. è, infatti, un libero professionista conosciuto e stimato per la sua preparazione, correttezza e rettitudine, che si è visto protagonista, suo malgrado, di un processo durato oltre 13 anni, in cui si metteva in dubbio proprio la sua professionalità.
Il processo ha rappresentato per l’odierno ricorrente fonte di preoccupazione, ansia e stress, perché oltre a mettersi nel dubbio la sua professionalità si cercava di attentare anche al suo patrimonio, con una richiesta di condanna tanto impudente quanto imprudente, a cui il Tribunale ha reso però giustizia.
Il professionista ha vissuto per anni nell’ansia dovuta all’incertezza circa l’esito del giudizio. Tali stati d’animo non possono non portare, come auspicato ad un risarcimento del danno.
In proposito, va ricordato che la Corte europea, in due decisioni emanate il 19 febbraio 2002 e relative a ritardi della giustizia italiana, ha determinato l’equa soddisfazione per il danno non patrimoniale nella somma di euro 10.000 per un giudizio di primo grado che è durato poco più di otto anni (Sardo c. Italia) e nella somma di euro 8.000 per un giudizio che è durato sette anni ed undici mesi (Donato c. Italia).
Tenendo in considerazione la giurisprudenza della Corte di Strasburgo sopra citata ed essendo la durata irragionevole nel caso de quo di oltre 7 anni, si ritiene equo proporre un indennizzo di 12.000,00 euro, tenuto anche conto della svalutazione monetaria nel frattempo intervenuta dalla emanazione delle decisioni sopra citate, risalenti al 2002.
Alla luce di quanto sopra si rassegnano le seguenti
CONCLUSIONI
Piaccia alla Corte di Appello adita, accertata la durata irragionevole della causa iscritta al n. 1193/91 dei registri della cancelleria civile del Tribunale di Ancona, e così violato l’art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, condannare il Ministero di Grazia e Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, a corrispondere in favore del ricorrente la somma di euro 12.000,00, oltre interessi dal dovuto, o in quella maggiore o minore ritenuta di giustizia, a titolo di equa riparazione del danno non patrimoniale subito. Con vittoria di spese di lite. Il presente procedimento è esente dal contributo unificato.
IN RITO
Si chiede l’acquisizione del fascicolo d’ufficio relativo al procedimento n. …..R.G. instauratosi innanzi al Tribunale Civile di Ancona.
Si chiede altresì, in caso di costituzione del Ministero della Giustizia, in persona del Ministro della Giustizia pro tempore, la concessione ex art. 3, comma 5 Legge 89/01, di congruo termine per il deposito di memorie e documenti.
Produce:
1. Copia sentenza di primo grado.
2. Copia estratti del fascicolo d’ufficio di primo grado.
3. Fascicolo di parte di primo grado.
Senigallia / L’Aquila, lì 28/02/2007
Avv. Mirco Minardi