Amministratore di sostegno

AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO E ASSISTENZA TECNICA DEL
DIFEN
SORE.

Per proporre ricorso
per la nomina di un amministratore di sostegno e partecipare al relativo
procedimento è necessaria l’assistenza tecnica di un difensore legalmente
esercente?

Cassazione civile ,
sez. I, 29 novembre 2006 , n. 25366

Con una lunga ed approfondita motivazione, la Suprema Corte ha stabilito che
l’assistenza del difensore è necessaria solo quando il provvedimento invocato
comporti una limitazione della capacità di agire del soggetto interessato, e
dunque una compressione della sua libertà ed autonomia, tale da incidere nella
sfera dei diritti inviolabili dell’uomo, mentre non è necessaria in presenza di
interventi che, come si è visto, si limitano all’attribuzione
all’amministratore di sostegno di compiti di mera "assistenza", a
volte solo fattuale.

LA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. OLLA
Giovanni
– Presidente –

Dott. LUCCIOLI
Maria Gabriella
– Consigliere –

Dott. MORELLI
Mario Rosario
– Consigliere –

Dott. FELICETTI
Francesco
– Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE
GENERALE PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI
VENEZIA, DOTT.

FORTUNA ENNIO;


ricorrente –

contro
T.A., P.M., T.L.;

– intimati –

avverso il decreto della Corte d’Appello di VENEZIA,
depositato il

02/02/06;

udita la relazione
della causa svolta nella pubblica
udienza del

10/10/2006 dal Consigliere Dott. Maria Rosaria SAN
GIORGIO;

udito il P.M.
in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele che ha concluso per il rigetto del
ricorso.

Fatto

1.1. – La
Corte d’appello di Venezia, con decreto depositato il 2
febbraio 2006, respingendo il reclamo del Procuratore della Repubblica presso
il Tribunale di Padova, il quale riteneva che la procedura per la nomina
dell’amministratore di sostegno non potesse essere attivata senza necessità del
patrocinio del difensore, confermò il provvedimento del Giudice tutelare di
Padova – sez. distaccata di Cittadella – che, su richiesta presentata
personalmente da T.L., aveva nominato un amministratore di sostegno in favore
di T.A., individuato nella persona della stessa richiedente.

1.2. – La decisione della Corte muove dalla considerazione
della finalità della L. n. 6 del 2004, che ha comportato una rottura con il
precedente sistema fondato sulla interdizione dell’incapace, intesa soprattutto
a proteggere la famiglia e la società dall’infermo più che l’infermo stesso,
che veniva totalmente emarginato, essendogli preclusa ogni attività: un così
radicale cambiamento non poteva non richiedere l’intervento del patrocinio
legale nel relativo procedimento.

La legge sull’amministrazione di sostegno – rileva la Corte veneta – introduce un
procedimento semplificato, improntato alla massima rapidità e
sburocratizzazione, correlato ai principi costituzionali di cui agli artt. 2 e
3 Cost., teso, com’è, ad espandere, invece che a comprimere, le potenzialità
del beneficiario. L’amministrazione di sostegno è diretta infatti ad eliminare
ostacoli all’esercizio dei diritti del soggetto debole più che a limitarlo
nell’esercizio dei suoi diritti, come l’interdizione.

Dunque, non sarebbe ipotizzarle alcuna omogeneità tra l’uno
e l’altro istituto. La nuova legge è stata concepita per venire incontro a
coloro che si trovano in difficoltà nell’esercizio dei diritti. Tale finalità
verrebbe frustrata se si imponessero rallentamenti al procedimento ed al
contatto diretto del soggetto con il Giudice tutelare. Si pensi al responsabile
del servizio di assistenza, che finirebbe per non, attivarsi per la nomina
dell’amministratore di sostegno se sapesse di doversi rivolgere per questo ad
un legale, tenuto anche conto del problema dei costi; o ancora si pensi alla
ipotesi del decesso del procuratore avvenuto subito dopo il deposito della
istanza al Giudice tutelare, e conseguente interruzione del processo.

1.3. – Del resto, le deroghe alla disposizione dell’art. 82
c.p.c. – che stabilisce il principio in base al quale le parti possono stare in
giudizio innanzi al Tribunale solo con il ministero di un procuratore
legalmente esercente – non sono solo quelle previste espressamente dalla legge,
ma tutte quelle in cui l’esclusione del patrocinio si desume in via
interpretativa dal sistema. Inoltre – si osserva nel provvedimento -, va
considerato che all’epoca della emanazione del codice civile il Giudice
tutelare era organo completamente autonomo dal Tribunale e dalla Pretura.

Per di più, secondo la Corte, dalla stessa lettera della legge sarebbe
desumibile la esclusione della necessità del patrocinio legale per proporre il
ricorso per la nomina dell’amministratore di sostegno. Infatti, l’art. 411
c.c., u.c., nel testo introdotto dalla legge in esame, prevede un ricorso
particolare, che può essere presentato anche successivamente a quello per detta
nomina, inteso ad estendere all’amministrazione di sostegno alcuni effetti o
limitazioni proprie dell’interdizione: tale ricorso può essere presentato
direttamente dal beneficiario. L’espressione "direttamente"
equivarrebbe all’altra "personalmente": sicchè, non sarebbe
concepibile che il ricorso base richieda il patrocinio del difensore.

1.4. – Si rileva ancora che nel nostro ordinamento non
esiste alcun caso di ricorso al Giudice tutelare – unico ufficio giudiziario
aperto al pubblico anche per fornire gratuitamente consigli giuridici al
pubblico – che debba necessariamente essere presentato attraverso il procuratore.

Si aggiunge, che, almeno nelle ipotesi in cui il soggetto è
lucido di mente, lo stesso risultato dell’amministrazione di sostegno si
potrebbe conseguire con una procura. Inoltre, anche con riferimento alla
ipotesi di infermità di mente, l’ordinamento conosce casi in cui non è prevista
la obbligatorietà della difesa tecnica: si pensi alla L. n. 833 del 1978, art.
35, comma 6, sul trattamento sanitario obbligatorio.

1.5. – Ed anche quanto all’argomento della previsione
dell’intervento obbligatorio del p.m. (art. 407 c.c., u.c.) – dal quale il
reclamante fa derivare la conclusione che si versi nel campo dei giudizi
contenziosi, per i quali occorre in ogni caso il patrocinio di un legale -, si
osserva che detto intervento costituisce solo una ulteriore garanzia per i
diritti dei soggetti deboli.

1.6. – Ed ancora, se è vero che la difesa tecnica è
indispensabile tutte le volte in cui il procedimento, sia pure camerale, abbia
ad oggetto situazioni sostanziali soggettivate in diritti o status, nel caso in
esame, a prescindere dal problema se l’amministrazione di sostegno rientri o
meno nella volontaria giurisdizione, in realtà il difensore non tutelerebbe il
soggetto debole, ma l’istante.

Nè sarebbe esatto che tutti i procedimenti riguardanti
capacità e status richiedano l’assistenza del difensore: si pensi alla L. n.
194 del 1978, art. 12 sulla interruzione della gravidanza. Inoltre, si avverte,
l’amministrazione di sostegno non ha la finalità di accertare la mancanza di
capacità di agire, ma di proteggere gli interessati.

1.7. – Nemmeno sarebbe decisivo il richiamo procedimentale,
messo in luce dal reclamante, agli artt. 712, 713, 716, 719, 720, 720 bis
c.p.c., che si riferiscono al procedimento di interdizione/inabilitazione,
essendo detto richiamo espressamente limitato dalla riserva "in quanto
compatibili", ed essendo il procedimento di cui si tratta sostanzialmente
incompatibile con quella parte delle disposizioni richiamate che sono state
lette, in relazione al procedimento di interdizione, come impositive della
difesa tecnica.

1.8. – Nè avrebbe rilievo la circostanza che il
provvedimento possa proseguire in Cassazione, poichè solo per quel giudizio è
richiesta necessariamente la assistenza del difensore. Del resto, anche
l’evento morte della parte ha diverse conseguenze in primo grado e in
cassazione.

1.9. – Infine, non sarebbe ravvisabile vulnus al diritto di
difesa, riguardando l’assistenza l’istante e non il beneficiato, ed avendo
comunque le parti la facoltà di farsi assistere dal difensore.

2. – Per la cassazione del richiamato, decreto ricorre il
Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Venezia.

Inizio documento
Diritto

1. – Con l’unico, complesso motivo di gravame, il
Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Venezia
lamenta "violazione ed erronea applicazione dell’art. 82 c.p.c., relativo
all’obbligo di assistenza legale, con riferimento agli artt. 404 e segg. e 414
e segg. c.c. (titolo 11^ del libro primo), nonchè all’art. 70 c.p.c., relativo
all’intervento del P.M. nelle cause davanti al Tribunale e alla Corte
d’appello". Il decreto della Corte d’appello, fondato pressochè
esclusivamente su di una errata ricostruzione sostanzialistica dell’istituto
dell’amministrazione di sostegno, trascurerebbe tutte le disposizioni
convergenti nel senso della imprescindibilità dell’assistenza del legale nel
procedimento di nomina dell’amministratore, anche se promosso dallo stesso
interessato. Dalla sostanziale omogeneità e contiguità dell’istituto di cui si
tratta con quelli della interdizione e della inabilitazione discenderebbe la
necessità di una disciplina processuale affine, se non identica, tenuto anche
conto della possibilità del passaggio dall’uno all’altro degli istituti di cui
si tratta, come, del resto, espressamente previsto dall’art. 720 bis c.p.c.,
introdotto dalla L. 9 gennaio 2004, n. 6, art. 18 il quale stabilisce che
"ai procedimenti in materia di amministrazione di sostegno si applicano,
in quanto compatibili, le disposizioni degli artt. 712, 713, 716, 71 e
720".

La Corte
di merito, nel sostenere, invece, la esigenza di una disciplina autonoma del
nuovo istituto di protezione rispetto a quelli tradizionali, in considerazione
della sua natura e delle sue peculiari finalità, fornisce una non condivisibile
lettura dell’art. 411 c.c., u.c., nel testo riformato, nella parte in cui
prevede che il provvedimento con il quale il giudice tutelare dispone che
determinati effetti, limitazioni o decadenze, previsti da disposizioni di legge
per l’interdetto o l’inabilitato, si estendano al beneficiario
dell’amministrazione di sostegno, è assunto, con decreto motivato a seguito di
ricorso che può essere presentato anche dal beneficiario
"direttamente": lettura che consentirebbe di ritenere che il ricorso
introduttivo del procedimento di nomina dell’amministratore possa essere
proposto "personalmente" dall’interessato. Secondo il ricorrente, il
richiamato art. 411 c.c. si inquadrerebbe, invece, esclusivamente nella
situazione giuridica conseguente all’amministrazione di sostegno già istituita,
e l’uso dell’avverbio "direttamente" – che non equivarrebbe all’altro
"personalmente" – sarebbe inteso solo a legittimare il beneficiario
al rapporto diretto con il giudice tutelare, anche senza il tramite dell’amministratore
di sostegno già nominato.

Del resto, aggiunge il P.G. ricorrente, l’art. 406 c.c., che
individua i soggetti che sono legittimati a proporre il ricorso introduttivo,
indica, tra di essi, il soggetto beneficiario, senza menzionare la possibilità
di presentare il ricorso stesso direttamente o personalmente. E comunque, con
detto ricorso verrebbe promosso un giudizio tra parti in conflitto, destinato
ad essere, definito con il carattere della decisorietà, reclamabile e quindi,
ai sensi dell’art. 120 bis c.p.c., comma 3, suscettibile di ricorso per
cassazione.

La impostazione secondo la quale si tratterebbe di un
giudizio tra parti, necessariamente, quindi, contenzioso, non unilaterale,
troverebbe conforto altresì nell’obbligatorietà dell’intervento del P.M., scaturente
dall’art. 70 c.p.c. – che lo prevede nelle controversie dallo stesso
proponibili, in quelle matrimoniali ed in, quelle riguardanti lo stato e la
capacità delle persone, alle quali andrebbero ascritte quelle aventi ad oggetto
la istituzione di un’amministrazione di sostegno, siccome dirette ad integrare
o assicurare l’autonomia del soggetto – e comunque espressamente prevista
dall’art. 407 c.c., u.c., nel testo introdotto dalla L. n. 6 del 2004, nonchè
dall’art. 406 novellato, il quale annovera, mediante il rinvio all’art. 417
c.c., il P.M. tra i soggetti legittimati a proporre il ricorso per
l’istituzione dell’amministrazione di sostegno.

In definitiva, il modello procedimentale prescelto dal
legislatore sarebbe quello, già sperimentato per la interdizione e la
inabilitazione, del giudizio contenzioso, con la presenza del P.M. e del/i
privato/i interessato/i, in cui la decisione compete al giudice terzo, chiamato
a dirimere un giudizio conflittuale tra parti contrapposte, senza che rilevi la
circostanza che, in concreto, la posizione delle parti non sia conflittuale.
Nessun pregio avrebbe, poi, l’accostamento, operato dalla Corte territoriale,
tra il procedimento di cui si tratta e quello in materia di trattamento
sanitario obbligatorio, in relazione al quale la L. n. 833 del 1978, art. 35, comma 6, prevede che
il giudice tutelare adotti, anche di ufficio, e quindi senza assistenza legale,
i provvedimenti urgenti per la cura della persona e la conservazione o
amministrazione del suo patrimonio, trattandosi, in detta ipotesi, di
intervengo ad esclusiva tutela della libertà personale del soggetto, senza che
il provvedimento emesso, puramente conservativo ed assolutamente urgente,
incida in alcun modo sullo stato e sulla capacità dell’interessato; nè l’altro accostamento
con la previsione, contenuta nella legge sulla interruzione volontaria della
gravidanza, secondo la quale la minore può essere autorizzata dal giudice
tutelare, quando manchi o si opponga chi esercita la potestà, o quando sia
sconsigliabile la consultazione o se i pareri siano difformi. In tal caso,
infatti, il conflitto – che, comunque, non incide sullo stato e la capacità
delle persone – è escluso dalla legge, che riconosce la prevalenza della
volontà della donna, sulla cui serietà si pronuncia il giudice tutelare, senza
intervento del P.M. o di difensore, in considerazione del carattere
strettamente privato della situazione.

Infine, la
Corte di merito avrebbe ignorato l’ulteriore argomento a
favore della tesi della natura contenziosa del procedimento di cui si tratta, e
del carattere decisorio del provvedimento che lo definisce, costituito dalla
esplicita previsione della ricorribilità in Cassazione del decreto emesso in
sede di reclamo (art. 720 bis c.p.c.).

2. – La doglianza è fondata nei sensi e nei limiti che
saranno di seguito precisati.

2.1.- La questione, sottoposta per la prima volta all’esame
della Corte, riguarda la possibilità di presentare la richiesta di nomina
dell’amministratore di sostegno e, più in generale, di partecipare al relativo
procedimento, in primo grado, senza il ministero di un difensore. Il problema
trae origine dalla mancanza, nella L. 9 gennaio 2004, n. 6, la quale ha
introdotto nell’ordinamento l’istituto dell’amministrazione di sostegno, di
alcuna disposizione che espressamente preveda la difesa tecnica nel
procedimento di cui si tratta, nè che ne escluda dichiaratamente la necessità.

2.2. – La soluzione della questione richiede una premessa
sulla portata della regola dell’onere del patrocinio, posta, in via generale,
dall’art. 82 c.p.c., comma 3, il quale stabilisce che, "salvi i casi in
cui la legge dispone altrimenti, davanti al tribunale e alla corte di appello
le parti debbono stare in giudizio col ministero di un procuratore legalmente
esercente…". Alcune delle eccezioni alla regola – la quale comporta la
nullità della domanda giudiziale priva della sottoscrizione del difensore –
sono disposte dallo stesso codice di rito, in relazione, generalmente, alla
minore rilevanza sociale ed economica della controversia, ovvero alla sua
particolare natura: si pensi, per un verso, ai procedimenti davanti al giudice
di pace (art. 82 c.p.c., comma 1 ), o alle controversie di lavoro innanzi al
tribunale (art. 417 c.p.c., comma 1) entro un limite di valore minimo; per l’altro,
ai casi di ordine di protezione contro gli abusi familiari emesso in camera di
consiglio dal Tribunale in composizione monocratica su richiesta della parte
personalmente, ai sensi dell’art. 736 bis c.p.c., introdotto dalla L. 4 aprile
2001, n. 154, sulla violenza nelle relazioni familiari.

Altre eccezioni alla richiamata regola dell’onere del
patrocinio sono contemplate da norme di leggi speciali, quali la L. 24 novembre 1981, n. 689,
art. 22 in
tema di opposizione alla ordinanza ingiunzione di pagamento di sanzioni
amministrative; il D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 13 in materia di impugnazione
del decreto di espulsione dello straniero; la L. 23 dicembre 1978, n. 833, art. 35, comma 10,
istitutiva del Servizio sanitario nazionale, in materia di procedimento
relativo agli accertamenti e trattamenti sanitari obbligatoci in condizioni di
degenza ospedaliera per malattia mentale, il quale prevede che contro il
decreto di convalida o di mancata convalida del provvedimento che dispone il
trattamento sanitario obbligatorio può essere proposto ricorso al tribunale
competente, innanzi al quale le parti possono stare in giudizio senza ministero
di difensore; il D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, art. 82, comma 6, in tema di controversie
sulla eleggibilità nei consigli comunali.

2.3. – Altre deroghe alla regola generale di cui si tratta
sono state ravvisate in via interpretativa con riguardo ad ipotesi in cui, per
le peculiarità dei procedimenti, il ricorso al patrocinio si risolverebbe in un
pregiudizio alla parte. In tale ottica, questa Corte ha ritenuto che nei
procedimenti di volontaria giurisdizione, in cui manca una contesa su diritti,
soggetta al rito camerale, e che da luogo a provvedimenti sostanzialmente
amministrativi, e solo soggettivamente giudiziari, in quanto attribuiti alla
competenza di un giudice anzichè di un’autorità amministrativa, non sia
necessario il ministero del procuratore (v. Cass., sent. n. 5814 del 1987).

E tuttavia ritiene il Collegio che il richiamo alla natura
del procedimento come di volontaria giurisdizione non sia risolutivo al fine di
stabilire se il ricorrente debba farsi rappresentare da un avvocato, stante la
ricorrente introduzione da parte del legislatore, nell’ambito dei procedimenti
di volontaria giurisdizione, di norme impositive dell’onere del patrocinio, in
ragione della esigenza sempre più avvertita del rispetto delle garanzie dirette
a realizzare la pienezza del diritto di difesa anche in relazione a
procedimenti siffatti: possono al riguardo richiamarsi, in materia di adozione,
la L. n. 184 del
1983, art. 10 come modificato dalla L. n. 149 del 2001, art. 10 – la cui
efficacia, quanto alle disposizioni processuali nella stessa contenute, è,
peraltro, tuttora sospesa, per effetto delle reiterate proroghe disposte -, il
quale impone la presenza del difensore sin dal primo atto del procedimento
relativo all’accertamento dello stato di abbandono del minore, nonchè la
prescrizione, contenuta nella stessa L. n. 149 del 2001, art. 37, che nei
procedimenti camerali di ablazione o di limitazione della potestà genitoriale
regolati dal codice civile (artt. 330, 333, 336) i genitori e il minore siano
assistiti da un difensore, anche a spese dello Stato nei casi previsti dalla
legge. Ed ancora la nuova disciplina del processo societario prevede la
necessità della difesa tecnica per tutti i procedimenti camerali di
giurisdizione volontaria bi- o plurilaterali, mentre la considera facoltativa
per i procedimenti unilaterali (D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, art. 25, comma
3).

Appare pertanto evidente che l’equivalenza tra rito della
giurisdizione volontaria ed attività amministrativa del giudice deve
considerarsi ampiamente superata e che anche il binomio rito camerale –
atecnicità della difesa non è ulteriormente sostenibile, attesa la sempre più
estesa utilizzazione da parte del legislatore di detto rito camerale, in
ragione della sua maggiore funzionalità rispetto ad esigenze di semplificazione
e concentrazione. Il rito camerale è invero divenuto una sorta di contenitore
neutro (secondo la felice espressione di SU 1996 n. 5629), nel quale possono
svolgersi non soltanto questioni inter volentes, ma vere e proprie controversie
su diritti o status.

2.4. – In definitiva, il discrimen ai fini della
affermazione, ovvero della negazione, della necessità della difesa tecnica,
nelle ipotesi di mancata previsione legislativa espressa in un senso o
nell’altro, non può essere individuato nel carattere contenzioso ovvero di
volontaria giurisdizione della procedura di cui si tratta. Come sarà poi detto,
dovrà essere rapportato, invece, alla consistenza delle situazioni soggettive
coinvolte.

2.5. – ciò posto, la risposta al quesito se tale ministero
debba ritenersi obbligatorio anche con riguardo alla procedura diretta alla
istituzione dell’amministrazione di sostegno – quesito in ordine alla cui
soluzione si sono manifestate in dottrina, come nelle pronunce dei giudici di
merito, posizioni divergenti – postula la approfondita analisi della natura,
della sfera di operatività dell’istituto di cui si tratta e delle sue finalità
peculiari.

Il tema della perimetrazione e dell’ambito di applicabilità
dell’amministrazione di sostegno in rapporto agli istituti della interdizione e
della inabilitazione è stato affrontato da questa Corte con la sentenza n.
13584 del 2006, nella quale si è sottolineato che il nuovo istituto ha la
finalità di offrire a chi si trovi nella impossibilità, anche parziale e
temporanea, di provvedere ai propri interessi uno strumento di assistenza che
ne sacrifichi nella minor misura possibile la capacità di agire,
distinguendosi, con tale specifica funzione, dagli altri istituti di
protezione, quali, appunto, la interdizione e la inabilitazione, non soppressi,
ma solo modificati dalla L. n. 6 del 2004. Rispetto a tali istituti, l’ambito
di applicazione dell’amministrazione di sostegno, secondo le affermazioni della
predetta sentenza, che il Collegio intende ribadire, va peraltro individuato
con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di
impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di
autonomia, ma piuttosto alla maggiore idoneità di tale strumento di adeguarsi
alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla
maggiore agilità della relativa procedura applicativa. In particolare, con
l’amministrazione di sostegno il legislatore ha inteso configurare uno
strumento elastico, modellato a misura delle esigenze del caso concreto, che si
distingue dalla interdizione non sotto il profilo quantitativo, ma sotto quello
funzionale: ciò induce a non escludere che, in linea generale, anche in
presenza di patologie particolarmente gravi, possa farsi ricorso sia all’uno
che all’altro strumento di tutela, e che soltanto la specificità delle singole
fattispecie, e delle esigenze da soddisfare di volta in volta, possa
determinare la scelta tra i diversi istituti, con l’avvertenza che quello della
interdizione ha comunque carattere residuale, intendendo il legislatore
riservarlo, in considerazione della gravità degli effetti che da esso derivano,
a quelle ipotesi in cui nessuna efficacia protettiva sortirebbe una diversa
misura.

Una tale scelta, ha avvertito la Corte nella citata sentenza,
non può non essere influenzata dal tipo di attività che deve essere compiuta in
nome del beneficiario della protezione. Ad un’attività minima, estremamente
semplice, e tale da non rischiare di pregiudicare gli interessi del soggetto,
ed, in definitiva, ad una ipotesi in cui non risulti necessaria una limitazione
generale della capacità dell’interessato, corrisponderà l’amministrazione di
sostegno, che si fa preferire non solo sul piano pratico, in considerazione
della maggiore snellezza della procedura, ma altresì su quello etico-sociale,
per il maggior rispetto della dignità dell’individuo che essa sottende, in contrapposizione
alle più invasive misure della inabilitazione e della interdizione, le quali
attribuiscono uno status di incapacità, concernente, nel primo caso, i soli
atti di straordinaria amministrazione, ed estesa, per l’interdizione, anche a
quelli di amministrazione ordinaria. Al contrario, la disciplina della L. n. 6
del 2004 delinea una generale capacità di agire del beneficiario
dell’amministrazione di sostegno, con esclusione di quei soli atti
espressamente menzionati nel decreto con il quale viene istituita
l’amministrazione medesima. Ne consegue che il giudice – che, non casualmente,
è il giudice tutelare, e cioè una figura cui sono normalmente affidate funzioni
riconducibili all’amministrazione di interessi ed alla vigilanza ed al
controllo (più che alla soluzione di controversie tra parti che contendano su
di un diritto), da esercitare attraverso un procedimento in relazione al quale
l’ordinamento non conosce casi in cui sia richiesto l’onere della difesa
tecnica – il quale, anche ad istanza dello stesso interessato, procede alla
nomina dell’amministratore, si limita, in via di principio, ad individuare gli
atti in relazione ai quali ne ritiene necessario l’intervento, senza peraltro
determinare una limitazione generale della capacità di agire del beneficiario.
Egli, infatti, non si muove, come il giudice della interdizione, nell’ottica
dell’accertamento della incapacità di agire della persona sottoposta al suo
esame – finalizzato essenzialmente alla difesa degli interessi dei familiari,
che potrebbero subire pregiudizio dalla sua condotta, oltre che dei terzi che
vengano con essa in contatto – ma nella diversa direzione della individuazione,
nell’interesse del beneficiarlo, dei necessari strumenti di sostegno con
riferimento alle sole categorie di atti al cui compimento lo ritenga inidoneo.

2.6. – In sintesi, deve quindi dirsi che la L. n. 6 del 2004 ha introdotto un
istituto la cui disciplina presenta caratteristiche che lo distinguono, e lo
contrappongono, nella sua stessa essenza ontologica, alle altre figure di
"protezione degli impediti ad agire" ed ai corrispondenti modelli
procedimentali già presenti nel nostro ordinamento positivo e rimasti peraltro
in vigore.

Sul piano sostanziale, l’istituto attiene a situazioni
intrinsecamente ed essenzialmente diverse tra loro che, come si è visto, si
estendono dalla mera impossibilità – anche solo fisica e transeunte – di porre
in essere atti giuridici di pochissimo momento (la materiale riscossione della
pensione) a fattispecie di vera e propria incapacità fisica o psichica,
omologhe a quelle giustificanti l’inabilitazione o l’interdizione;
correlativamente, prevede e consente interventi che si estendono dalla semplice
attribuzione all’amministratore di sostegno di compiti di mera
"assistenza", talvolta soltanto fattuale, alla possibilità
"dell’estensione al beneficiario dell’amministrazione di sostegno" di
"determinati effetti, limitazioni o decadenze previsti da disposizioni di
legge per l’interdetto o l’inabilitato" (art. 411 c.c., comma 3). Il
tutto, peraltro, senza mai comportare l’incapacità generale, totale o parziale,
dell’amministrato, ma solo una limitazione rispetto a determinate attività.

Sul piano del "modello del procedimento" relativo
all’amministrazione di sostegno si individuano precetti che – mentre sono
sicuramente armonici e coerenti al nuovo istituto – risultano del tutto
antinomici rispetto al pregresso sistema processuale ed alla sua ricostruzione
da parte della dottrina e della giurisprudenza. Valga ad esempio la finora
ritenuta impossibilità di coniugare – secondo il diritto vivente –
l’ammissibilità del ricorso per cassazione con la non definitività dei
provvedimenti connessa alla loro revocabilità e modificabilità, laddove per la L. n. 6 del 2004 è previsto il
ricorso per cassazione avverso i provvedimenti in materia di amministrazione di
sostegno (art. 720 bis c.p.c., comma 3) nonostante questi siano sempre
modificabili o revocabili (art. 407 c.c., comma 3).

Vale a dire che l’amministrazione di sostegno si configura
come un istituto nel cui contenitore sono riunite ed unificate fattispecie che
secondo il sistema previgente erano considerate tra loro ontologicamente
diverse; e che prevede rimedi e forme di tutela, anch’essi radicalmente nuovi e
non compatibili con, le preesistenti, – ma rimaste in vigore – figure normative
di protezione degli incapaci.

Ne discende anzitutto l’impossibilità di far ricorso, ai
fini interpretativi e ricostruttivi (sia in generale sia in relazione ala
specifica questione di cui si tratta), al canone sistematico ed agli arresti
giurisprudenziali (anche se delle Sezioni Unite) in materie sostanziali e
processuali sostanzialmente similari; e la necessità di utilizzare a quei fini
unicamente le regole dettate in modo espresso per l’istituto che ne occupa, apprezzate
alla luce dei principi cardine del nostro sistema costituzionale.

Ed è proprio la mancata considerazione della coesistenza in
un unicum di ipotesi diverse, della atipicità rispetto al sistema preesistente
del modello procedimentale, e della radicale novità sostanziale e formale
dell’istituto, che ha determinato e determina il contrasto (finora)
inconciliabile ed insanabile della dottrina e della giurisprudenza in ordine
alla questione che ne occupa. Da una parte e dall’altra si ipotizza un’unica
soluzione valida per tutti i casi indistintamente; ed in questa prospettiva si
contrappongono, a sostegno, precedenti precetti positivi ed arresti
giurisprudenziali che però possono valere esclusivamente per taluna delle
fattispecie assoggettabili alla amministrazione di sostegno, ma non per tutte.

Ma ne discende, anche, l’impossibilità di (ed addirittura la
preclusione ad) una soluzione unitaria del problema applicabile indistintamente
a tutte le ipotesi.

Si impone, pertanto, l’adozione di soluzioni differenziate a
seconda delle varie fattispecie per le quali è richiesta l’amministrazione di
sostegno.

Si tratta di una soluzione che – stante il radicale silenzio
della legge sulla questione di cui si tratta – non solo non è preclusa, ma è
del tutto legittima.

Nel medesimo senso, del resto, sono indirizzati gli studi
più recenti, la cui indagine infatti – dimostrata ed acquisita la
insostenibilità delle dottrine prospettanti una soluzione unitaria in un senso
o nell’altro – è diretta sia a giustificare l’ammissibilità della soluzione
differenziata, che ad individuare il relativo discrimen.

2.7. – Invero, in presenza di interventi che, come si è
visto, si limitano all’attribuzione all’amministratore di sostegno di compiti
di mera "assistenza", a volte solo fattuale, si profila del tutto
incongrua – ferma, ovviamente, la possibilità, da riconoscersi a chiunque, di
farsi assistere da un patrocinante, ove lo ritenga opportuno – la previsione
del necessario ministero del difensore a favore di un soggetto che non fa valere
una sua pretesa nei confronti di un altro soggetto, ma chiede l’intervento del
giudice in funzione attuativa di un proprio interesse, tra l’altro coincidente
con l’interesse generale. Ed invero una tale previsione appare incompatibile
con quelle esigenze di rapidità, semplificazione, non onerosità che sono a base
del nuovo istituto, non solo – e con maggiore evidenza – con riguardo ai casi
in cui il provvedimento sia richiesto dallo stesso interessato, non essendo
ragionevolmente ipotizzatile una necessità di assistenza a favore di chi non
debba difendere un suo diritto da una contestazione, ma piuttosto ricevere un
aiuto nel compimento di un’attività nel suo stesso interesse; ma anche, in via
generale, quando la richiesta sia avanzata da persona diversa dal beneficiario,
atteso che in tale ipotesi la difesa tecnica, predisposta sostanzialmente per
la stesura della istanza introduttiva della procedura e per l’assistenza del
richiedente in ogni fase della stessa, avrebbe l’effetto di assicurare il
diritto di difesa non già a favore del soggetto nei cui confronti la misura è
destinata ad operare, ma di altro soggetto (in ipotesi anche in posizione di
contrasto con il primo proprio quanto alla valutazione della opportunità della
applicazione della misura stessa).

Nè vale osservare, come fa il ricorrente, che l’art. 720 bis
c.p.c. stabilisce che ai procedimenti in materia di amministrazione di sostegno
si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni processuali che concernono
le procedure di interdizione e di inabilitazione. Ed invero il riferimento
all’art. 720 bis c.p.c. si risolve in un argomento di scarso rilievo, atteso
che la clausola di non incompatibilità delle norme richiamate non esime
l’interprete dal compito di accertare la sussistenza del requisito di
compatibilità.

Peraltro il regime di stabilità del provvedimento,
suscettibile in ogni tempo di modifica o integrazione, anche di ufficio, ed
anche per effetto di una rivalutazione delle circostanze già esaminate, nonchè
la previsione del reclamo contro il decreto del giudice tutelare a norma
dell’art. 739 c.p.c. già valgono a restringere l’ambito di compatibilità della
normativa richiamata.

Nemmeno può attribuirsi rilievo decisivo alla previsione
della ricorribilità per cassazione, contenuta nell’art. 720 bis c.p.c., comma
3, contro il decreto della Corte d’appello pronunciato in sede di reclamo
avverso il provvedimento di nomina dell’amministratore di sostegno, atteso che
l’ammissione di tale strumento impugnatorio, che ovviamente esige la presenza di
un difensore, non comporta necessariamente l’obbligatorietà del patrocinio sin
dall’inizio della procedura e non può alterare il dato sostanziale costituito
dall’assenza di una lite tra parti contrapposte. Del resto, l’ordinamento
conosce diverse ipotesi in cui è previsto il ricorso per cassazione – con
conseguente obbligo di patrocinio legale – nonostante la esclusione della
necessità del patrocinio medesimo in primo grado (si pensi a tutte le cause
davanti al giudice di pace il cui valore non eccede Euro 516,46, ovvero in cui
comunque sia lo stesso giudicante ad autorizzare la parte a stare in giudizio:
art. 82 c.p.c., comma 1 e 2; ovvero alle controversie in materia di tributi di
importo inferiore ad Euro 2.582,28, in cui le parti possono stare in giudizio
dinanzi alle commissioni tributarie anche senza assistenza tecnica: D.Lgs. 31
dicembre 1992, n. 546, art. 12, comma 5).

Nè può ancora ritenersi che la previsione della
partecipazione obbligatoria del p.m. al procedimento stesso comporti, quale
necessario contrappeso, la presenza del difensore del beneficiario, trovando
tale partecipazione fondamento nella funzione di verifica della osservanza
della legge, che non richiede necessariamente la garanzia del contraddittorio
attraverso la difesa tecnica.

A conferma della soluzione accolta non può infine non trarsi
argomento dai lavori preparatori, atteso che in sede di dibattito parlamentare
sulla L. n. 6 del 2004 un emendamento all’art. 407, comma 2, diretto ad
inserire una previsione in tal senso, dapprima presentato, venne
successivamente ritirato.

2.7. – La riferita costruzione entra, però, in crisi
allorchè il provvedimento invocato comporti una limitazione della capacità di
agire del soggetto interessato, e dunque una compressione della sua libertà ed
autonomia, tale da incidere nella sfera dei diritti inviolabili dell’uomo.

Ed invero, nell’esercizio degli ampi poteri discrezionali
affidati al giudice tutelare nella individuazione delle misure idonee a
garantire la migliore tutela del beneficiario, ed in particolare nell’avvalersi
del potere, previsto dall’art. 411 c.c., u.c., di disporre che
"determinati effetti, limitazioni o decadenze, previsti da disposizioni di
legge per l’interdetto o l’inabilitato si estendano al beneficiario
dell’amministrazione di sostegno…", ben può detto giudice emettere
provvedimenti incidenti nella sfera giuridica dell’interessato con effetti
analoghi a quelli "incapacitanti" dei due tradizionali istituti di
protezione: a fronte di detta possibilità, consentita dalla riconosciuta
permeabilità dell’istituto rispetto alle altre forme di tutela degli incapaci,
una lettura costituzionalmente orientata della normativa di riferimento esige
che il destinatario della misura ablativa di diritti disponga delle medesime
garanzie che assistono le procedure di interdizione o di inabilitazione, con
particolare riferimento al rispetto del diritto di difesa e del
contraddittorio, non potendo ragionevolmente riconoscersi garanzie
differenziate in relazione a provvedimenti che spieghino pari effetti
sostanziali. Tale diritto di difesa, che nemmeno viene in giuoco allorchè gli
interventi siano non già limitativi, ma di solo sostegno, deve pertanto trovare
completa attuazione ove si tratti di provvedimenti incidenti su diritti
fondamentali riconducigli alla esplicazione della personalità dell’individuo,
che non possono essere adottati, nel rispetto della Costituzione e della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo, se non a seguito di un
contraddittorio pieno, nel quale solo l’assistenza tecnica è in grado di
garantire il rispetto della legalità.

Ciò vale a dire che, se pure la natura, la struttura e la
funzione del procedimento in esame impediscono in linea di principio
l’applicazione della disciplina generale in materia di difesa tecnica, va
tuttavia fatta salva l’esigenza di tale difesa e del contraddittorio, quali
garanzie fondamentali offerte dal giusto processo, in ogni caso in cui il
provvedimento da emettere, sia o non corrispondente alla misura richiesta,
incida in maniera diretta sui diritti inviolabili della persona. In tali casi
il giudice è pertanto tenuto ad invitare la parte a nominare un difensore.

2.8. – Nella specie, la Corte di appello veneta, la quale correttamente
ha escluso una totale assimilazione strutturale e funzionale tra l’istituto
dell’amministrazione di sostegno da un lato e la interdizione e la
inabilitazione dall’altro, facendone scaturire la conseguenza della esclusione,
in linea di principio, della necessità della difesa tecnica, non si è, poi,
però, fatta carico di accertare se nella specie si versasse in una situazione,
tale da rendere necessario il ricorso ad alcune delle limitazioni previste per
l’interdetto e l’inabilitato, ed ha fatto, pertanto, non corretta applicazione
dei principi sopra affermati.

3. – Il ricorso deve essere, nei sensi indicati, accolto. Il
decreto impugnato va pertanto cassato e la causa rinviata alla Corte d’appello
di Venezia, in diversa composizione, che riesaminerà la questione della
necessità o meno della difesa tecnica nel giudizio de quo alla luce del
seguente principio di diritto: "Il procedimento per la nomina
dell’amministratore di sostegno, il quale si distingue, per natura, struttura e
funzione, dalle procedure di interdizione e di inabilitazione, non richiede il
ministero del difensore nelle ipotesi, da ritenere corrispondenti al modello
legale tipico, in cui l’emanando provvedimento debba limitarsi ad individuare
specificamente i singoli atti, o categorie di atti, in relazione ai quali si
richiede l’intervento dell’amministratore; necessitando, per contro, della
difesa tecnica ogni qualvolta il decreto che il giudice ritenga di emettere,
sia o non corrispondente alla richiesta dell’interessato, incida sui diritti
fondamentali della persona, attraverso la previsione di effetti, limitazioni o
decadenze, analoghi a quelli previsti da disposizioni di legge per l’interdetto
o l’inabilitato, per ciò stesso incontrando il limite del rispetto dei principi
costituzionali in materia di diritto di difesa e del contraddittorio".

P.Q.M.

La Corte
accoglie il ricorso per quanto di ragione. Cassa il decreto impugnato e rinvia
alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione
Prima Civile, il 10 ottobre 2006.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2006