Quando ci si mettono i suoceri

Sapete come funzionano talvolta i matrimoni.
All’inizio tutti felici e d’accordo. Il padre di lei mette la casa. Il padre di lui si offre di ristrutturarla.
Arriva il fatidico giorno. Si mangia, si brinda, si balla.
Ma poi le cose non vanno.
Marito e moglie litigano e si separano.
Allora il padre di lui dice al consuocero: “Tu mi devi dare i soldi che mi spettano per la ristrutturazione della casa”.
E il padre di lei dice all’ex genero: “Tu mi devi dare i canoni di affitto per tutto il tempo che sei stato a casa mia”.
Sapete come funzionano talvolta i matrimoni.
All’inizio tutti felici e d’accordo. Il padre di lei mette la casa. Il padre di lui si offre di ristrutturarla.
Arriva il fatidico giorno. Si mangia, si brinda, si balla.
Ma poi le cose non vanno.
Marito e moglie litigano e si separano.
Allora il padre di lui dice al consuocero: “Tu mi devi dare i soldi che mi spettano per la ristrutturazione della casa”.
E il padre di lei dice all’ex genero: “Tu mi devi dare i canoni di affitto per tutto il tempo che sei stato a casa mia”.
E iniziano le cause.
Proprio una vicenda come questa ha deciso il Tribunale di Roma che ha rigettato entrambe le domande, visto che nella specie la messa a disposizione dell’immobile e la ristrutturazione altro non erano che liberalità d’uso ex art. 770, II comma c.c..
Stabilisce questa norma che “Non costituisce donazione la liberalità che si suole fare in occasione di servizi resi o comunque in conformità agli usi”.
Osserva il Tribunale che il padre dello sposo né prima, né durante il matrimonio ha mai domandato il pagamento di alcun corrispettivo. La prima (e unica) richiesta di pagamento era quella formulata con l’atto di citazione, notificato a distanza di quasi 16 mesi dalla consegna dei lavori.
Gli elementi di fatto sopra descritti hanno pertanto indotto il giudice a ritenere che questi abbia realizzato i lavori di cui si discute per spirito di liberalità, in previsione del matrimonio del proprio figlio, realizzando così una liberalità d’uso, ex art. 770, comma 2, c.c..
Si ha, infatti, liberalità d’uso, ai sensi della norma citata, quando la elargizione si uniformi, anche sotto il profilo della proporzionalità alle condizioni economiche dell’autore dell’atto, agli usi e costumi propri di una determinata occasione, da vagliarsi anche alla stregua dei rapporti esistenti fra le parti e della loro posizione sociale (Cass., sez. II, 23-04-1993, n. 4768, in RFI, 1993, Donazione, n. 7; Cass., sez. I, 10-03-1994, n. 2351, in RFI, 1994, Donazione, n. 6).
Ed è notorio (art. 115 c.p.c.) come, nell’attuale contesto storico e sociale, in occasione delle nozze i genitori dei nubendi li aiutano con un particolare sostegno economico, tanto in natura, quanto in denaro. Appare, quindi, del tutto plausibile che il padre dello sposo artigiano edile, non sia venuto meno a tale costume, contribuendo con la propria opera a rendere più confortevole la futura casa coniugale del proprio figlio (cfr., sostanzialmente nello stesso senso, Trib. Ravenna, 09-03-1994, in Gius, 1994, fasc. 11, 177; Trib. Napoli, 09-10-1981, in Giur. it., 1982, I, 2, 524).
Il Tribunale aggiunge che, se davvero l’attore avesse stipulato un contratto di appalto con il con suocero sarebbe inspiegabile la sua condotta successiva. Non è infatti ragionevolmente credibile che un artigiano attenda 16 mesi per sollecitare il pagamento di quanto dovutogli, né è altrimenti spiegabile la esatta coincidenza tra la richiesta di pagamento e la separazione tra figlio e nuora.
Né ha rilievo, secondo il giudice, l’ammontare dei lavori eseguiti: è infatti pacifico, in giurisprudenza, che il rilevante valore della donazione non è ostativo alla configurazione di una liberalità d’uso prevista dall’art. 770, 2º comma, c.c., che non costituisce donazione in senso stretto e perciò non è soggetta alla forma propria di questa (Cass., sez. I, 09-12-1993, n. 12142, in RFI, 1993, Donazione, n. 8; Cass., 10-12-1988, n. 6720, in Giust. civ., 1989, I, 596).
Anche la domanda del padre della sposa è stata rigettata in quanto non ha in alcun modo provato di avere concesso in locazione il proprio immobile al marito della propria figlia. L’uso dell’immobile da parte della coppia quindi non poteva essere avvenuto che a titolo di comodato, il quale è essenzialmente gratuito (art. 1803, comma 2, c.c.).