Addebito separazione. Tirchieria.

L’istruttoria espletata su richiesta della ricorrente ha effettivamente dimostrato che nel corso della vita coniugale il marito ha tenuto reiteratamente condotte sintomatiche di una tirchieria ai limiti del patologico, che ha determinato la violazione degli obblighi di assistenza e di collaborazione che nascono dal matrimonio. In particolare, è emerso che il C. provvedeva direttamente agli acquisti dei viveri e dei beni per la casa e al pagamento delle utenze, senza consentire alcuna autonomia alla moglie, alla quale solo per un periodo corrispose l’importo di lire 100.000, interrotto allorquando fu erogato l’assegno di accompagnamento per la figlia L., benché tale assegno avesse finalità specifiche, non mutuabili con quelle familiari.
Le due sorelle della ricorrente, sentite in qualità di testi, hanno riferito in modo circostanziato sulle abitudini di vita familiari imposte dal cognato, abitudini che hanno dimostrato di conoscere molto bene; in particolare, le stesse hanno riferito che il C. si è sempre rifiutato di acquistare generi di beni quali il detersivo per piatti, lo shampoo, il bagnoschiuma e la carta igienica e solo in rarissime occasioni ha acquistato indumenti per la moglie, arrivando altresì a tergiversare quando si trattava di acquistare i libri per la scuola della figlia G. e a privare la figlia L. della possibilità di utilizzare acqua calda per il bagno in vasca il quale aveva un effetto calmante sulla ragazza. Tali condotte non sono state sconfessate dalle testimonianze a prova contraria introdotte dal resistente, testimonianze peraltro risultate molto meno informate sulla vita familiare. Anche i numerosi scontrini prodotti dal resistente come doc. 4, in quanto relativi ad acquisti successivi al deposito del ricorso, nulla dimostrano su quanto accadeva precedentemente. L’atteggiamento appare ancora più grave ove si consideri che le condizioni economiche della famiglia non erano affatto precarie: il reddito complessivo lordo del C. S. nel 2000 era pari a 143.834.000 lire, il marito era proprietario della casa familiare e di un altro immobile acquistato nel corso del matrimonio in regime di comunione, egli disponeva di titoli depositati del valore di oltre un milione di euro e la figlia G. era proprietaria di un ulteriore immobile acquistato dal padre sempre nel corso del matrimonio. L’attaccamento del C. S. al denaro e la forte propensione a sottrarlo alle esigenze familiari si sono ulteriormente palesati anche in epoca immediatamente precedente l’avvio della causa di separazione, allorquando il marito, avendo sentore che qualcosa sarebbe accaduto, provvide a disinvestire quanto più possibile dal dossier titoli (vedasi dichiarazioni rese dallo stesso C. S. nel procedimento a seguito di ricorso per sequestro giudiziario, accolto con ordinanza del Tribunale di Venezia depositata il 19-7-2002, doc. 8 di parte ricorrente). Invero, anche nella presente causa, vi è stato un maldestro tentativo di sottrarsi agli obblighi, con lo scioglimento dell’impresa familiare (della quale era titolare il fratello), senza pretese da parte del C. S., pur a fronte di una consistente liquidità e senza che nel bilancio fosse indicata la voce “rimanenze”.
Il suddetto comportamento, apertamente in contrasto con gli obblighi di solidarietà nascenti dal matrimonio, assume una valenza particolarmente negativa ove si consideri che si è innestato in una situazione familiare già resa molto difficile e altamente problematica dalle gravi patologie dalle quali è affetta la figlia L., della quale la madre si è sempre occupata in via prevalente, come emerso in sede d’istruttoria.
Tribunale di Venezia, 26/04/2006