Licenziamento per giusta causa

Il lavoratore che insulta il dirigente va licenziato anche se l’espressione irriguardosa («delinquente») è pronunciata in un contesto particolarmente animoso come quello di un’accesa assemblea sindacale.
Cassazione civile , sez. lav., 19 gennaio 2007, n. 1668
Entrare in una cartella di documenti che ha password e user name, anche se è nello spazio comune della rete informatica aziendale, può essere causa di legittimo licenziamento.
Cassazione civile , sez. lav., 09 gennaio 2007, n. 153
La qualifica di dirigente spetta soltanto al prestatore di lavoro che, come”alter ego” dell’imprenditore, sia preposto alla direzione dell’intera organizzazione aziendale ovvero ad una branca o settore autonomo di essa, e sia investito di attribuzioni che, per la loro ampiezza e per i poteri di iniziativa e di discrezionalità che comportano, gli consentono, sia pure nell’osservanza delle direttive programmatiche del datore di lavoro, di imprimere un indirizzo ed un orientamento al governo complessivo dell’azienda, assumendo la corrispondente responsabilità ad alto livello (c.d. dirigente apicale); da questa figura si differenzia quella dell’impiegato con funzioni direttive, che è preposto ad un singolo ramo di servizio, ufficio o reparto e che svolge la sua attività sotto il controllo dell’imprenditore o di un dirigente, con poteri di iniziativa circoscritti e con corrispondente limitazione di responsabilità (c.d. pseudo-dirigente). L’accertamento in concreto della sussistenza delle condizioni necessarie per l’inquadramento del funzionario nell’una o nell’altra categoria costituisce apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità soltanto per vizi di motivazione. Il licenziamento “ad nutum”, a prescindere dalla sussistenza di una giusta causa o da un giustificato motivo, è applicabile solo al dirigente apicale, mentre il licenziamento dello pseudo-dirigente è soggetto alle norme ordinarie. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che si era attenuta, con motivazione logica ed adeguata, ai richiamati principi, riconoscendo all’intimato la qualifica di pseudo-dirigente e l’applicazione allo stesso della cosiddetta tutela reale).
Cassazione civile , sez. lav., 22 dicembre 2006, n. 27464
L’allontanamento del lavoratore dipendente dalla propria abitazione in costanza di malattia configura un grave inadempimento comportante un serio pregiudizio all’interesse del datore di lavoro, in virtù del mero pericolo di aggravamento delle condizioni di salute o di ritardo nella guarigione del lavoratore medesimo, perché risultano violati gli obblighi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del rapporto di lavoro allorché la natura dell’infermità sia stata giudicata, con valutazione “ex ante”, incompatibile con la condotta tenuta dal dipendente. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, rilevandone l’adeguatezza e la logicità della motivazione anche sotto il profilo del giudizio di proporzionalità della sanzione espulsiva, con la quale era stata respinta l’impugnativa del licenziamento intimato nei confronti di una lavoratrice e fondato – unitamente alla valutazione di altre assenze ingiustificate alle cui contestazioni non era seguita l’irrogazione di alcuna sanzione, invece inflitta, nella forma della sospensione, per un episodio di rifiuto di espletamento delle proprie mansioni – sull’accertato ulteriore comportamento consistito nell’allontanamento dalla sua abitazione durante un periodo di malattia a cui si era accompagnato addirittura il prolungamento dell’assenza dal luogo di lavoro oltre la prognosi attestata dalla certificazione medica).
Cassazione civile , sez. lav., 19 dicembre 2006, n. 27104
La giusta causa e il giustificato motivo soggettivo di licenziamento costituiscono mere qualificazioni giuridiche di comportamenti ugualmente idonei a legittimare la cessazione del rapporto di lavoro, l’uno con effetto immediato e l’altro con preavviso, con il conseguente potere del giudice – e senza violazione del principio generale di cui all’art. 112 c.p.c. – di valutare un licenziamento intimato per giusta causa come licenziamento per giustificato motivo soggettivo (fermo restando il principio dell’immutabilità della contestazione e persistendo la volontà del datore di risolvere il rapporto), attribuendo al fatto addebitato al lavoratore la minore gravità propria di quest’ultimo tipo di licenziamento. Da questo principio consegue che nelle più ampie pretese economiche, collegate dal lavoratore all’annullamento del licenziamento, asserito come ingiustificato, ben può ritenersi compresa quella, di minore entità, derivante da un licenziamento che, pur qualificandosi come giustificato, prevedeva il diritto del lavoratore al preavviso.
Cassazione civile , sez. lav., 19 dicembre 2006, n. 27104
In caso di licenziamento illegittimo, mentre in relazione alla tutela reale – in forza dell’efficacia ripristinatoria del contratto attribuita dalla legge – l’indennità sostitutiva del preavviso è incompatibile con la reintegra, perché non si ha interruzione del rapporto, viceversa, stante il carattere meramente risarcitorio accordato dalla tutela obbligatoria, il diritto all’indennità sostitutiva del preavviso sorge per il fatto che il rapporto è risolto. In quest’ultimo caso, l’indennità prevista dall’art. 2 della legge n. 604 del 1966 va a compensare i danni derivanti dalla mancanza di giusta causa e giustificato motivo, mentre l’indennità sostitutiva del preavviso va a compensare il fatto che il recesso, oltre che illegittimo, è stato intimato in tronco. Conseguentemente, non vi è incompatibilità tra le due prestazioni, mentre sarebbe incongruo sanzionare nello stesso modo due licenziamenti, entrambi privi di giustificazione, l’uno intimato con preavviso e l’altro in tronco .
Cassazione civile , sez. lav., 16 ottobre 2006, n. 22127
Il licenziamento disciplinare intimato senza la preventiva osservanza delle garanzie procedimentali stabilite dall’art. 7 l. 20 maggio 1970 n. 300, non è viziato da nullità, ma è soltanto ingiustificato, nel senso che il comportamento addebitato al dipendente ma non fatto valere attraverso il suddetto procedimento non può, quand’anche effettivamente sussistente e rispondente alla nozione di giusta causa o giustificato motivo, essere addotto dal datore di lavoro per sottrarsi all’operatività della tutela apprestata al lavoratore dall’ordinamento nelle diverse situazioni e, cioè, a quella massima, cosiddetta reale, di cui all’art. 18 della legge n. 300 del 1970, ovvero all’alternativa tra riassunzione e risarcimento del danno, secondo il sistema della legge n. 604 del 1966, o, infine, all’onere di preavviso ex art. 2118 c.c., con la conseguenza che, in relazione a siffatta diversificazione delle varie forme di tutela, la detta inosservanza rende l’atto di recesso inidoneo alla realizzazione della sua causa risolutiva del rapporto di lavoro soltanto nell’area di operatività della tutela reale, rimanendo negli altri casi tale effetto comunque realizzato, in quanto considerato preminente rispetto all’interesse del lavoratore alla conservazione del posto .
Cassazione civile , sez. lav., 05 ottobre 2006, n. 21412
Per stabilire in concreto l’esistenza di una giusta causa di licenziamento, che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro ed in particolare di quello fiduciario, occorre valutare da un lato la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all’intensità dell’elemento intenzionale, dall’altro la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare; la valutazione della gravità dell’infrazione e della sua idoneità ad integrare giusta causa di licenziamento si risolve in un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto lesivo della fiducia che deve caratterizzare il rapporto di lavoro il comportamento di un dipendente di un supermercato addetto al reparto pescheria, il quale aveva confezionato per sé e altri due dipendenti tre grossi pacchi di pesce applicando prezzi notevolmente inferiori a quelli di vendita) .
Cassazione civile , sez. lav., 08 settembre 2006, n. 19270
Il requisito della immediatezza della reazione è elemento costitutivo del recesso per giusta causa di cui all’art. 2119 c.c. e come tale deve essere verificato d’ufficio dal giudice; costituisce invece un’eccezione in senso stretto, soggetta alle preclusioni di cui agli art. 414, 416, 437 c.p.c., rispetto all’esercizio del potere datoriale di recedere per giusta causa, la deduzione da parte del lavoratore del difetto di immediatezza della contestazione dell’addebito disciplinare quale vizio procedimentale lesivo del diritto di difesa garantito dall’art. 7 legge n. 300 del 1970. Occorre quindi che la parte, pur senza necessità di ricorrere a formule rituali, manifesti con chiarezza la volontà di denunciare il suddetto vizio procedimentale. (Nella specie la S.C. ha ritenuto che il lavoratore avesse tempestivamente sollevato l’eccezione evidenziando sin dal ricorso introduttivo del giudizio il notevole lasso temporale tra la data in cui l’azienda era venuta a conoscenza dei fatti e il tempo in cui era stata formulata la contestazione disciplinare) .
Cassazione civile , sez. lav., 06 settembre 2006, n. 19159
In materia di licenziamento, la valutazione della gravità dell’infrazione e della sua idoneità ad integrare giusta causa di licenziamento si risolve in un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione adeguata e non inficiata da errori logici e giuridici. (Nella specie, la S.C. ha rigettato il ricorso rilevando la correttezza e l’adeguatezza della motivazione della sentenza impugnata, con la quale era stato ritenuto che l’accertata differenza qualitativa fra il comportamento contestato e le ipotesi previste dal codice disciplinare giustificasse un’autonoma valutazione della gravità della condotta del lavoratore di un’impresa assicurativa che, mediante l’uso di mezzi artificiosi – consistenti nell’utilizzo di una tessera magnetica non appartenente ad alcun dipendente – era stato in grado di eludere i meccanismi di controllo di entrata ed uscita dall’ufficio, così producendo la lesione del rapporto di fiducia con il datore di lavoro e giustificando il provvedimento di licenziamento adottato a suo carico).
Cassazione civile , sez. lav., 23 agosto 2006, n. 18377
Nel giudicare se la violazione disciplinare addebitata al lavoratore abbia compromesso la fiducia necessaria ai fini della permanenza del rapporto di lavoro, e quindi costituisca giusta causa di licenziamento, va tenuto presente che il fatto concreto va valutato nella sua portata oggettiva e soggettiva, attribuendo rilievo determinante, ai fini in esame, alla potenzialità del medesimo di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto sufficiente a minare irrimediabilmente il rapporto di fiducia con il datore di lavoro e a giustificare il licenziamento per giusta causa il comportamento del dipendente che, abusando del possesso delle chiavi dello stabilimento, si era introdotto all’interno di esso in giorno festivo e quindi nell’ufficio del direttore, coprendosi il volto per eludere la sorveglianza televisiva, e si era avvicinato ad un armadio dal quale in precedenza erano stati sottratti dei valori).
Cassazione civile , sez. lav., 07 luglio 2006, n. 15491
Il principio dell’immediatezza della contestazione disciplinare, la cui ratioriflette l’esigenza dell’osservanza della regola della buona fede e della correttezza nell’attuazione del rapporto di lavoro, non consente all’imprenditore-datore di lavoro di procrastinare la contestazione medesima in modo da rendere difficile la difesa del dipendente o perpetuare l’incertezza sulla sorte del rapporto, in quanto nel licenziamento per giusta causa l’immediatezza della contestazione si configura quale elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro. Peraltro, il criterio di immediatezza va inteso in senso relativo, dovendosi tener conto della specifica natura dell’illecito disciplinare, nonché del tempo occorrente per l’espletamento delle indagini, tanto maggiore quanto più è complessa l’organizzazione aziendale. La relativa valutazione del giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici. (Nella specie, la S.C., sulla scorta dell’enunciato principio, ha rigettato il relativo motivo di ricorso della società datrice di lavoro, rilevando la congruità e logicità della motivazione della sentenza di merito impugnata con la quale era stata ravvisata la tardività nella contestazione degli addebiti rilevanti disciplinarmente nei riguardi del dipendente sul presupposto dell’emergenza della prova che la prima conoscesse i fatti così come ascritti al lavoratore già diversi mesi prima dell’intervenuta contestazione in virtù della sua partecipazione all’elaborazione di un documento offensivo nei confronti della dirigenza della società datrice di lavoro presentato all’assemblea dei soci circa otto mesi prima della formalizzazione della medesima contestazione) .
Cassazione civile , sez. lav., 20 giugno 2006, n. 14115
Il principio dell’immediatezza della contestazione disciplinare, la cui ratioriflette l’esigenza dell’osservanza della regola della buona fede e della correttezza nell’attuazione del rapporto di lavoro, non consente all’imprenditore-datore di lavoro di procrastinare la contestazione medesima in modo da rendere difficile la difesa del dipendente o perpetuare l’incertezza sulla sorte del rapporto, in quanto nel licenziamento per giusta causa l’immediatezza della contestazione si configura quale elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro. Peraltro, il criterio di immediatezza va inteso in senso relativo, dovendosi tener conto della specifica natura dell’illecito disciplinare, nonché del tempo occorrente per l’espletamento delle indagini, tanto maggiore quanto più è complessa l’organizzazione aziendale. La relativa valutazione del giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici. (Nella specie, la S.C., sulla scorta dell’enunciato principio, ha rigettato il ricorso del lavoratore dipendente, rilevando la correttezza della sentenza di merito impugnata con la quale era stata ritenuta la tempestività della reazione da parte della società datrice di lavoro in ordine all’illecito rilevante disciplinarmente nei confronti del dipendente e derivante da un’intervenuta condanna a suo carico in sede penale, con la sua conseguente sospensione dal rapporto di lavoro, senza che la sua successiva riammissione in servizio potesse intendersi quale manifestazione della volontà aziendale di soprassedere all’esercizio dell’azione disciplinare, in virtù dell’espressa riserva formulata al riguardo dalla medesima datrice di lavoro) .
Cassazione civile , sez. lav., 20 giugno 2006, n. 14113
In caso di licenziamento illegittimo, mentre in relazione alla tutela reale – in forza dell’efficacia ripristinatoria del rapporto attribuita dalla legge – l’indennità sostitutiva del preavviso è incompatibile con la reintegra, perché non si ha interruzione del rapporto, viceversa, stante il carattere meramente risarcitorio accordato dalla tutela obbligatoria, il diritto all’indennità sostitutiva del preavviso sorge per il fatto che il rapporto è risolto. In quest’ultimo caso, l’indennità prevista dall’art. 2 della legge n. 604 del 1966 va a compensare i danni derivanti dalla mancanza di giusta causa e giustificato motivo, mentre l’indennità sostitutiva del preavviso va a compensare il fatto che il recesso, oltre che illegittimo, è stato intimato in tronco. Conseguentemente, non vi è incompatibilità tra le due prestazioni, mentre sarebbe incongruo sanzionare nello stesso modo due licenziamenti, entrambi privi di giustificazione, l’uno intimato con preavviso e l’altro in tronco.
Cassazione civile , sez. lav., 08 giugno 2006, n. 13380